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Una corona di spine

Cristo re dell’universo

2Sam 5,1-3; Sal 121 (122); Col 1,12-20; Lc 23,35-43

In questa domenica si celebra la festa di Cristo re dell’universo e si chiude anche l’anno liturgico C; la prossima domenica infatti, con l’inizio dell’Avvento, entreremo in un nuovo anno liturgico, l’anno A.

Si compie così un itinerario che culmina nella proclamazione della regalità di Gesù come Cristo, ovvero come messia, l’unto di Dio, e lo si fa attraverso la contemplazione di un uomo che sta morendo in croce incoronato di spine. Direi che rispetto alla storia dei vari regni terreni, alle immagini che ancora oggi possiamo vedere di re, di incoronazioni e anche di funerali regali, la scena che abbiamo davanti, leggendo il Vangelo, è del tutto capovolta: un uomo morente appeso a una croce e, per giunta, deriso da chi il potere lo esercita davvero.

A insultare questa «specie» di re sono «i capi» religiosi, i soldati, e anche chi con lui sta condividendo la stessa sua sorte: «Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”». Verrebbe da chiedersi: ma che razza di re e di regno è questo? E perché parlare proprio di un regno? Certo oggi, a eccezione di qualche paese, il sistema monarchico è quasi scomparso o funge più da vetrina che da reale struttura di governo, per cui, forse, l’idea di un re o di un regno ci è sempre più estranea e lontana. In realtà dovremmo sentirci, proprio per questo, più fortunati di chi ci ha preceduto, proprio perché meno condizionati da modelli terreni e umani. 

Ma da dove viene questa immagine di re, questo vocabolario? Per comprendere tutto questo forse è bene fare un passo indietro. È interessante ricordare che quando il popolo di Israele, secondo la storia biblica, entra nella terra di Canaan non ha un re e non è neanche organizzato in una monarchia.

L’esperienza della presenza di Dio che cammina in mezzo al suo popolo durante tutti gli anni del suo peregrinare nel deserto è stata l’unica realtà salvifica e centrale per la vita e l’identità stessa di questo insieme di clan. Non solo, ma l’alleanza del Sinai, che vede ogni individuo coinvolto nel rispetto del patto, è ciò che garantisce la convivenza e la coesione del popolo.

Quando, però, si arriva nella terra di Canaan ci si imbatte in altri popoli e in altri sistemi di organizzazioni sociali, si scopre che esistono re e regni e nasce così il desiderio di voler essere uguali agli altri. Ecco la richiesta che viene fatta a Samuele: «Stabilisci quindi per noi un re che sia nostro giudice, come avviene per tutti i popoli» (1Sam 8,5). E, nonostante lo sdegno di Samuele, Dio accetta che il popolo abbia un re, che si costituisca in un regno e che sia «come gli altri popoli».

La storia va avanti e di regni a un certo punto ce ne saranno due, uno a Sud e uno a Nord; tutti e due cadranno e per secoli il popolo sarà alla mercé delle potenze straniere di turno, ma la speranza di vedere ristabilito il regno e la dinastia regale permane fino ai tempi di Gesù. E con lui arriva anche la risposta definitiva di Dio a quell’antica richiesta: «Vogliamo un re che regni sopra di noi».

Se da una parte Dio ha accettato di «abbassarsi» alla richiesta umana, facendosi quasi da parte, ora risponde, esaudendo quel desiderio, ma secondo la sua logica, una logica divina e non umana. Così il Re, l’unico possibile Re, non solo dei giudei ma di tutta l’umanità e persino di tutto l’universo, sarà il messia, l’unto di Dio. Un re incoronato, ma di spine, come di spine era il roveto che ardeva e non si consumava.

E come dal roveto Mosè ode la voce di Dio che dice «ho udito la miseria del mio popolo… e sono sceso per liberarlo» (Es 3,7.8), così questo Re, incoronato di spine, può aprire le porte del suo regno a tutti i crocifissi della storia, liberare dalle catene dell’odio e della violenza, ridare dignità agli oppressi «avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,20).

Un regno senza sfarzi, né sudditi, aperto a tutti, all’insegna della vita e della libertà, dove regnare significa servire (Mc 10,45; Mt 20,28) e dove tutto è avvolto da «l’amor che move il sole e l’altre stelle» (Dante, Paradiso, XXXIII, 145). 

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