Un «tocco» che spezza le barriere
XIII domenica del tempo ordinario
Sap 1,13-15; 2,23-24; Sal 29 (30); 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43
Nel brano evangelico di questa domenica ci sono due racconti di guarigione intrecciati tra loro, che hanno come soggetti in difficoltà due donne: la giovane figlia di Giairo, uno dei capi della sinagoga di Cafarnao, e una donna con gravi problemi di emorragia. Ciò che le accomuna è il numero «dodici». La donna infatti è afflitta da una malattia emorragica da dodici anni e dodici sono anche gli anni della figlia di Giairo. Tutte e due sono in condizioni disperate.
La donna, che «aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando», ora si ritrova stremata, povera e senza più alcuna speranza. Anche la sorte della ragazzina non è da meno: secondo quanto lo stesso padre riferisce a Gesù «sta morendo», anche per lei non sembra esserci speranza.
Inoltre, dettaglio non dichiarato apertamente, ma implicito nel testo, ambedue queste figure femminili si trovano in una condizione di impurità per via della fuoriuscita di sangue, per una, e della condizione mortale, per l’altra. Per questo motivo il solo «toccarle» renderebbe impuro chiunque. È bene a questo punto ricordare che tale «stato di impurità» non ha una valenza etica, ma appartiene alle norme igieniche che gli ebrei del tempo osservavano; impurità che prevedeva di conseguenza una serie di riti di purificazione, abluzione ecc.
Tutto questo, però, non preclude il «contatto» tra queste due figure femminili e Gesù. Nel primo caso è la stessa donna a prendere l’iniziativa e a «toccare» Gesù; nel secondo è Gesù stesso a «toccare» la giovinetta, anche se nel frattempo è stata dichiarata morta. Con questo non si vuole dire che Gesù non rispettasse le regole di purità, ma che, pur rispettandole, come ebreo osservante sa molto bene che salvare una vita precede qualsiasi altra norma, anche solo di carattere igienico.
La centralità di questi due episodi intrecciati tra loro sta proprio nella relazione tra Gesù e queste due figure femminili, una relazione che va oltre le regole, oltre i limiti. Sia i limiti imposti da una mentalità socio-religiosa che i limiti imposti dalla stessa natura umana nella sua dimensione mortale.
Interessante è anche come questa relazione tra Gesù e queste due donne sia reciprocamente passiva e attiva. Nel primo caso è la donna a prendere l’iniziativa e a «toccare» Gesù che, pur sommerso dalla folla, avverte quel «tocco» e cerca in mezzo alla gente di vedere «quella» donna. Nel secondo caso la ragazza, inerte e apparentemente morta, riceve il «tocco» di Gesù che, prendendola per mano, la fa rialzare: «Prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!”».
Due scene molto belle e commoventi, in cui si coglie una grande tenerezza e sensibilità tra Gesù e il mondo «al femminile» verso cui, non solo in questa pagina evangelica ma in tante altre, il Maestro dimostra di avere un’attenzione particolare e, soprattutto, rivoluzionaria e contro-corrente, rispetto agli usi e alla mentalità del suo tempo.
C’è da chiedersi che ne è stato e ne è di tutto questo. Fino a poco tempo fa una donna non poteva nemmeno avvicinarsi all’ambone e le chiese avevano spazi separati: il presbiterio separato con un transetto, il matroneo collocato in alto e riservato alle donne ecc. Il tutto per «preservare» una «sacralità» del tutto maschile e garantire così una «purezza» rituale. Purtroppo, anche se in termini spaziali oggi qualcosa si è modificato, nonostante i nostalgici che tentano sempre una «restaurazione», i «muri» di separazione continuano a essere forti e, in un certo qual modo, «ostinati». In tutto questo c’è davvero una cecità evangelica, dato che pagine come questa sono davanti agli occhi di tutti. Forse però non si è mai calcolato, o sarebbe meglio dire «visto», a quali conseguenze tutto questo sta portando e ha portato, ovvero al «vuoto», all’assenza.
Mi piace terminare con questo pensiero-domanda un po’ paradossale, ma non per questo meno importante e soprattutto foriero di speranza: se Gesù entrasse oggi in una chiesa, in quale posto si metterebbe, in quale posto vorrebbe stare? Accanto all’altare, nel presbiterio, o in mezzo alla gente, magari circondato da delle donne?