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«Un tale gli corse incontro»

XXVIII domenica del tempo ordinario

Sap 7,7-11; Sal 89 (90); Eb 4,12-13; Mc 10,17-30

         Il Vangelo di questa domenica ci mette davanti tutta una serie di questioni abbastanza complesse e intersecate tra loro. Vediamo innanzitutto le tematiche che sono in gioco.

         La prima è sicuramente l’osservanza della Torah come indicazione concreta, a livello etico, di una vita conforme al disegno di Dio: «Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Ma subito bisogna notare che tale osservanza, come sottolinea Gesù, è possibile solo a partire da un fondamento che non è di per sé etico, e che si situa su un piano differente: «Solo Dio è buono».

         Contrariamente a quanto sostiene qualche teologo «in auge», scrittore di bestseller, non è l’etica che precede il Vangelo o, ancor più precisamente, le Scritture di Israele e della Chiesa, bensì sono queste Scritture che, rivelando l’infinita bontà di Dio, fondano l’etica, offrendo delle indicazioni di massima, così come le riporta il Vangelo, che vanno poi declinate con una costante ricerca e riflessione nella complessità della vita di ieri, di oggi e di domani.

         Una seconda tematica, che s’intreccia a questa appena accennata, è quella della salvezza: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Anche qui le regole non bastano, l’osservanza di norme morali non è sufficiente, manca sempre qualcosa: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo».

         E la risposta di Gesù introduce la terza tematica, che riguarda appunto la ricchezza: si può star bene economicamente e allo stesso tempo essere «eticamente» a posto? Che cosa «manca» veramente a questo «tale»? È da notare, inoltre, il paradosso: per ottenere ciò che gli «manca» deve eliminare, dare via ciò che ha, gli deve «mancare» qualcos’altro: «Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri».

         Al centro e al fondamento di questa richiesta da parte di Gesù c’è un piccolo inciso: «Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse ... seguimi».

         Se la bontà di Dio è superiore a qualsiasi norma etica, la sicurezza che deriva dalla ricchezza è un impedimento a qualsiasi altra «ricchezza» – «e avrai un tesoro in cielo» –, ma soprattutto rende la persona incapace di corrispondere all’amore. Un amore che è tale solo se si basa sul dono di sé, sulla consegna di ogni propria fragilità, debolezza, sulla rinuncia a qualsiasi tipo di «sicurezza» che sia estranea a quello stesso amore.

         La richiesta di Gesù va oltre qualsiasi osservanza di norme morali, supera qualsiasi visione etica, e pone «il dito» sull’unica possibilità di accesso a quella relazione eternamente vitale che è possibile solo con l’amore. Senza questa totale fiducia, abbandono e dono non ci può essere una vera relazione d’amore, non ci possono essere le premesse fondamentali e vitali di questa relazione.

         La fede non è l’osservanza di norme, la fede è vivere, desiderare, rincorrere l’unica cosa che ci rende veramente vitali: quella relazione d’amore in cui noi siamo sempre «secondi», attratti da quello sguardo che ci continua ad amare per «primo». Senza questo affectum, allora il nostro rapporto con Dio può assomigliare a quel genere di matrimoni in cui prima delle nozze viene richiesto di firmare un contratto che prevede la rinuncia alla parte che spetterebbe come risarcimento in caso di divorzio (credo che si chiami «accordo prematrimoniale»). E la cosa «buffa» – lo si vede in molti film americani – è che a pretendere queste forme di garanzia prematrimoniale sono proprio le persone «ricche».

         Di fronte a certe scene offerteci dalla fiction è facile esprimere il nostro distacco, la nostra perplessità, esclamare «ma che razza di amore è questo!». La questione diventa più complessa quando, nella nostra esperienza di fede, ci troviamo di fronte, come quel «tale» del Vangelo, a una richiesta di radicalità così pretenziosa: mettere in gioco o, meglio, rinunciare a tutte quelle sicurezze che ci fanno stare tranquilli, al sicuro. Ci può essere, infatti, qualcosa di sicuro nell’amore?

         Di fronte a tale richiesta il «tale» «si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni». E la constatazione di Gesù è ancora più amara e allo stesso tempo tagliente: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio! ... È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».

         Ora la questione della «cruna di un ago» e del «cammello» sicuramente risuonava evidente ai discepoli di Gesù e, forse, anche ai primi lettori/uditori di questo brano evangelico; oggi, invece, risulta a noi davvero ostica da capire, quasi un enigma da risolvere.

         Tra le varie ipotesi c’è chi ritiene che ci sia dietro un errore del copista e che non si tratti di un cammello, ma di una «gomena», per cui l’immagine si riferisce a delle grosse corde tipiche dei marinai e al tentativo di utilizzarle, inserendole magari in grossi aghi per ricucire delle grosse reti. Un’altra ipotesi è che ci fosse una porta di accesso alle mura della città di Gerusalemme che per le sue dimensioni richiamava l’immagine della cruna di un ago, quindi qualcosa di molto stretto che non potesse permettere il passaggio di un cammello magari carico di merci.

         In realtà nessuna di queste ipotesi (e di altre ancora) risulta molto convincente, e la «questione» della cruna e del cammello rimangono a tutt’oggi irrisolte. Ciò che conta forse è proprio la percezione dell’impossibilità che tale immagine – a qualunque cosa si riferisca – vuole dare, e questo lo si capisce anche dalla reazione dei discepoli, che rimangono interdetti dalle parole del Maestro: «E chi può essere salvato?». Chi, infatti, non tiene qualche «sicurezza» ben riposta nel cassetto?

         Forse quella che segue è una delle più belle espressioni che rendono ragione del fatto che il Vangelo è davvero un «buona notizia»: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio». C’è forse qualcuno che può limitare, «normare», «pre-scrivere», delimitare l’amore di Dio?

 

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