Un sepolcro «vuoto»

Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore
At 10,34a.37-43; Sal 117 (118); Col 3,1-4; Gv 20,1-9
Il centro della fede cristiana è la risurrezione di Gesù, la sua Pasqua.
Nel Vangelo di Giovanni prima una donna, Maria di Magdala, e poi due uomini, Pietro e Giovanni, si recano al sepolcro per scoprire e constatare che questo è vuoto. Non hanno ancora chiaro che cosa sia successo, e sappiamo dagli altri racconti evangelici che l’imbarazzo, il dubbio e le ipotesi di trafugamento del cadavere costituiscono le prime reazioni di fronte a tale «vuoto».
È l’incontro con il Gesù risorto che cambia la loro «visione», apre le loro menti e fa loro credere e testimoniare che il loro Maestro è davvero vivo. Certo è avvenuto un «passaggio», egli ora è nella pienezza di vita, la sua realtà non è più «storica» ma «metastorica», abbraccia tutta la storia e tutta la realtà. Ma questo non è facile da capirsi, c’è bisogno di una comprensione lenta, fatta ancora di segni, di «contatti», di sguardi. È quello che Pietro stesso ci dice nella prima lettura di questa domenica: «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At 10,40-41).
Che cosa rimane a livello puramente storico? Solo una tomba vuota, qualche telo e un sudario. Eppure il Vangelo ci dice che «l’altro discepolo», entrato anche lui nella tomba, «vide e credette».
Da quel momento in poi quel sepolcro è diventato il luogo privilegiato della fede cristiana, o almeno lo è per la maggioranza dei cristiani se teniamo conto che per i protestanti il sepolcro, anch’esso vuoto, è in un altro luogo, sempre a Gerusalemme.
Per secoli quel luogo è stato protetto, si sono fatte anche guerre – chiamate «crociate» –, si sono divisi gli spazi tra le diverse confessioni cristiane e questo, anche, non sempre in modo pacifico; per tutti questi secoli un infinito numero di pellegrini si sono recati lì, a contemplare un «sepolcro vuoto» o meglio il «vuoto» di un sepolcro. Un «vuoto» che attira, che genera fede, che parla al cuore di tante persone e che nessuno può possedere.
Si può «incapsulare» quel vuoto – com’è stato fatto – si può litigare per il possesso delle mura che lo contengono – come qualche volta avviene –, ma non si può possedere quel «vuoto». La «verità» che esso manifesta è visibile a tutti, ma non tutti riescono a vederla; eppure in quel «vuoto» c’è la risposta a tutte le domande dell’uomo, c’è la consolazione a tutte le sofferenze e a tutti i mali del mondo, c’è la sconfitta della morte, c’è la storia redenta, c’è la promessa di vita senza fine, c’è il senso di ogni singola esistenza umana.
Ma soprattutto c’è la presenza/assenza di Colui che continuamente ci dice: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla finedel mondo» (Mt 28,20). Non vi è più nessun angolo del mondo, infatti, che non sia penetrato dalla sua «presenza», ogni realtà è immersa in lui, sia essa un fiore, un insetto o una semplice foglia che cade; tutto è redento e tutto è destinato a vivere per sempre.
Bene lo aveva compreso Paolo quando scriveva: «La creazioneinfatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazionesarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,20-21).
A questo punto qualcuno potrebbe obiettare: ma se questo è vero, perché allora ci sono ancora guerre, sofferenze, malattie, ingiustizie; perché l’essere umano distrugge il creato anziché prendersene cura, perché…? Un po’ come in quella storiella, già ricordata in un altro mio commento, che racconta la reazione di un rabbino alla notizia che gli viene data: «Lo sai che il Messia è già venuto?» E il rabbino guarda dalla finestra o apre la prima pagina del giornale e risponde: «Non mi pare che possa essere così: il mondo è ancora lo stesso».
Sì è vero, il mondo è ancora abitato dalla morte; una morte che si manifesta nelle sue molteplici facce: guerra, violenza, malattia, cataclismi, terremoti ecc. E ciò che vediamo dalla «finestra» o che leggiamo sul giornale non sembra farci sperare in meglio. Eppure tutto questo «male», tutta questa «morte» non può riempire quel «vuoto», non può impossessarsene. Il «vuoto» rimane lì, impossibile da cancellare, impossibile da «fagocitare». Un «vuoto» che parla, che attira, che testimonia l’ultima e definitiva «parola» di Dio: vita per sempre.