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Un rinnovato cantico d'amore

Ai discepoli di Gesù risulta immediato il riferimento alla vigna di Isaia e al suo significato

V domenica di Pasqua
At 9,26-31; Sal 21 (22); 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8

Il vangelo di questa domenica presenta la bellissima immagine della vite, dove i tralci possono portare frutto, riempirsi di grappoli d’uva solo se collegati al tronco.

Molte volte, nel testo biblico, la vigna è una rappresentazione di Israele e della sua relazione al Signore. Un esempio per tutti è quello che si trova nel libro del profeta Isaia: al capitolo 5 Israele è paragonato a una vigna di viti scelte, di qualità, che viene curata, coltivata e custodita dal suo proprietario con un grandissimo amore ma, nonostante tutte le attenzioni e precauzioni, non produce i frutti sperati e proprio per questo viene abbandonata a «rovi e pruni» (Is 5,6) che finiranno per soffocarla.

Leggiamo però, sempre in Isaia, che non è questa l’ultima parola: nel capitolo 27 ecco che di nuovo la vigna riappare come «deliziosa», frutto dell’amore e della cura del vignaiolo che afferma: «vi fossero rovi e pruni, muoverei loro guerra, li brucerei tutti insieme» (Is 27,4).

In ambedue i testi viene ribadito l’amore che il vignaiolo-Dio ha per la sua vigna e, al di là della risposta di quest’ultima, la tenacia e la fedeltà con cui lui ne ha e ne avrà sempre cura.

In queste immagini è dunque espresso l’amore, si potrebbe proprio dire, incondizionato di Dio per la sua vigna, lo spazio sempre aperto di attesa della risposta, la libertà della vigna di corrispondere o meno alle cure ricevute.

Tutto questo ci aiuta a comprendere l’immagine evangelica e soprattutto il paragone che Gesù fa per descrivere la relazione tra lui e i suoi discepoli; discepoli che, come il loro maestro, conoscevano molto bene le Scritture di Israele e per i quali, di conseguenza, risulta immediato il riferimento alla vigna di Isaia insieme al messaggio ivi contenuto.

La vite «scelta» che in pienezza risponderà all’amore del Padre è il Figlio, ma questa vite ha dei tralci e la loro possibilità di portare frutto o meno è data dal loro essere o meno «attaccati» alla vite. Spetta dunque a ogni tralcio la scelta: «rimanere» nell’amore della «vite», che a sua volta è «canale» dell’amore del vignaiolo, o staccarsi nell’illusione di poterne fare a meno.

L’insegnamento di Gesù, a partire da questo implicito e allo stesso tempo chiaro, almeno per i suoi, riferimento alla tradizione profetica di Israele, va ancora più in profondità: «se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto».

Vorrei partire proprio dalla fine di questa affermazione: «chiedete quello che volete e vi sarà fatto».
A prima vista sembrerebbe un invito chiaro e, per la verità, spesso smentito. Quante volte le persone hanno chiesto qualcosa e non è avvenuto o non si è realizzato? Sono dunque false queste parole di Gesù?

Forse non così chiara è la condizione che costituisce la prima parte dell’affermazione che il Maestro fa o, perlomeno, non è così immediato il porvi attenzione: «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi». La chiave di tutto è proprio qui. Cosa significa «rimanere in me»? E, conseguentemente, che «le mie parole rimangono in voi»?

Credo che il «rimanere» nel Signore significhi tendere lo sguardo, il cuore e la mente costantemente verso di lui, entrare nel suo mondo, sintonizzarsi con il suo sguardo, le sue intenzioni, i suoi desideri, il suo senso dell’esistenza, imparare a comprendere il progetto d’amore e di salvezza che ogni giorno il Signore porta avanti e a cui chiede di prendere parte.

Tutto questo fa sì che le sue «parole rimangano» in noi, abitino i nostri pensieri, i nostri desideri e soprattutto i nostri criteri di giudizio, di comprensione e di risposta nei confronti della realtà che viviamo dentro di noi e attorno a noi.

Allora, e solo allora, ciò che saremo in grado di chiedere, ciò che ci verrà naturale e coerente chiedere non potrà che realizzarsi, proprio perché sarà in sintonia con quanto Dio stesso desidera, spera, opera e ama. Se «le sue parole» abitano in noi e diventano le «nostre parole», allora anche la nostra preghiera, le nostre richieste, non potranno che essere le sue richieste, le sue preghiere, come, ad esempio, l'ultima: «non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).

E di questo possiamo essere più che certi: niente e nessuno potrà mai impedire a Dio di compiere la sua volontà.

 

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