b
Blog

Solo cinque pani e due pesci

XVII domenica del tempo ordinario

2Re 4,42-44; Sal 144 (145); Ef 4,1-6; Gv 6,1-15

Il «miracolo» della moltiplicazione dei pani e dei pesci è presente in tutti i Vangeli, compreso quello di Giovanni che la liturgia di questa domenica propone. Il fatto che tutti i Vangeli, e non solo quelli sinottici, riportino questo episodio sta a sottolineare non solo la sua importanza, ma anche la sua «veridicità».

La struttura del racconto è più o meno la stessa in tutte e quattro le narrazioni, ma in questo caso seguiamo quella giovannea: Gesù si sposta «su un’altra riva» – forse per prendere un po’ di respiro e di riposo – e molte persone lo raggiungono. Di fronte a così tanta gente la prima preoccupazione di Gesù è di dare loro da mangiare, e per questo motivo pone questa domanda a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».

Giovanni fa notare che questa domanda non è data solo da un’attenzione concreta che Gesù ha nei confronti delle persone, ma è anche un modo per mettere alla prova il suo discepolo Filippo: «Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere».

Di quale «prova» si tratta? Filippo risponde che il denaro che hanno a disposizione non è sufficiente per comprare tutto il pane necessario per sfamare quelle persone e, a questo punto, interviene anche un altro discepolo, Andrea: c’è un ragazzo che «ha cinque pani d’orzo e due pesci»; ma se duecento denari non sono sufficienti, ancora meno lo sono cinque pani e due pesci.

Se dunque una considerazione del genere è così ovvia, perché viene invece rimarcata? Che differenza c’è tra i «duecento denari» e i «cinque pani e due pesci»? In ambedue i casi si tratta di qualcosa che di per sé non può soddisfare il bisogno e permettere a quella gente di ricevere cibo a sufficienza. Eppure una differenza c’è: i «duecento denari» rappresentano un potere di acquisto, la possibilità di acquisire qualcosa che ancora non si ha, mentre i «cinque pani e i due pesci» sono ciò che concretamente si ha già a disposizione; in un certo senso sono la risorsa concreta che è già lì, presente, nella bisaccia di quel ragazzo. La differenza è tra ciò che è possibile ottenere e ciò che, invece, già si ha. 

Prima però di procedere alla condivisione di ciò che si ha, Gesù fa un altro gesto molto importante – in realtà è un gesto che ogni ebreo osservante compie anche oggi –: prende i pani e rende grazie. Credo che questo atto di «rendere grazie» – in greco eucharisteo – sia un elemento centrale di tutto il racconto. Rendere grazie significa riconoscere che ciò che si ha (e sottolineerei «concretamente») è un «dono», è sempre qualcosa che si è ricevuto. Il pane e il pesce sono certamente il frutto del lavoro dell’uomo – in questo caso del contadino, del panettiere, del pescatore –, ma alla base c’è il dono fondamentale della creazione e della potenzialità di vita in essa racchiusa. È riconoscere che tutto è dono, che tutto è dato, anche ciò che è frutto del nostro lavoro od opera delle nostre mani.

Il passaggio successivo è la condivisione: tutti ricevono qualcosa, ma non solo il necessario. Questa condivisione si rivela capace di «abbondanza» per tutti: «E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”. Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato». 

Il miracolo eucaristico sta proprio in questo: riconoscere che ciò che si ha è dono, un dono che, proprio perché tale, va condiviso; in altre parole, se vogliamo esprimerlo in termini più economici, non è tanto il potere di acquisto quanto le risorse già presenti e condivise ciò che genera benessere.

Comprendere tutto questo non è semplice, proprio perché implica una condivisione, cioè un coinvolgimento in prima persona; e allora è più facile comprendere il tutto come un «potere» che Gesù manifesta e per cui, appunto, vale la pena proclamarlo re. Un re, certamente, «messianico»: «“Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!”. Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo». 

La ritirata di Gesù in disparte è emblematica. Un «messianismo» del genere non gli appartiene, sarebbe come avallare quella forma di populismo – sempre in voga in ogni periodo della storia – con cui si ottiene il consenso delle masse garantendo loro il minimo dei bisogni primari. Ma il «miracolo» della moltiplicazione dei pani e dei pesci sta a monte, e non consiste tanto nel fatto che tutti abbiano avuto di che sfamarsi, quanto nella capacità e nel coraggio di rischiare di mettere a disposizione ciò che si ha, riconoscendo che ogni «possesso» è in realtà un dono; un dono che, proprio per la sua natura, può essere solo condiviso.

 

Commenti

  • 27/07/2024 Elena Giustacchini

    Grazie, Ester, per aver sottolineato la differenza tra i "duecento denari" ed i " cinque pani e due pesci", tra la materialità del possesso e la disponibilità di ciò che si ha ( o si è ). E' per me una rilettura molto interessante da far calare nel quotidiano.

Lascia un commento

{{resultMessage}}