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«Sedeva lungo la strada a mendicare»

L’episodio evangelico di questa domenica si colloca a Gerico, dove probabilmente Gesù si trova di passaggio in quella che sarà la sua salita verso Gerusalemme.

XXX domenica del tempo ordinario

Ger 31,7-9; Sal 125 (126); Eb 5,1-6; Mc 10,46-52 

         L’episodio evangelico di questa domenica si colloca a Gerico, dove probabilmente Gesù si trova di passaggio in quella che sarà la sua salita verso Gerusalemme. E di salita propriamente si tratta, dato che Gerico si trova a circa 200 metri sotto il livello del mare, mentre Gerusalemme è a circa 800 metri sopra tale livello.

         Inoltre la Gerico di Gesù è quella del tempo erodiano, contrassegnata dalla residenza estiva di Erode e da altri palazzi e ben distante dall’antica Gerico del tempo dei Giudici. I resti di tale cittadina si possono vedere ancora oggi proprio all’uscita del waddi Kelt, il letto del torrente per la maggior parte dell’anno secco, che segna il percorso che nel deserto di Giuda collegava la città a Gerusalemme. Un percorso, quindi, in pendenza (quasi mille metri di dislivello) e tortuoso, spesso e volentieri luogo privilegiato dai briganti per imboscate e rapine.

         Il testo di Marco ci dice che Gesù era in partenza da Gerico, quindi sulla via principale, «insieme ai suoi discepoli e a molta folla». Probabilmente incuriosito dal calpestio di tante persone un cieco di nome Bartimeo, che letteralmente potremmo tradurre con «figlio di Timeo» o, secondo l’ipotesi di alcuni, ancora più letteralmente con «figlio di una persona onorata», chiede che cosa sta avvenendo.

         Il primo dettaglio significativo è proprio il contrasto tra il suo nome e la sua condizione, dato che l’essere cieco lo ha reso un mendicante, qualcuno che è posto ai margini della società e che ha bisogno dell’aiuto e della carità degli altri per sopravvivere. Il suo posto è sedere sul ciglio della strada e mendicare. Quando, però, gli viene detto che il trambusto che sente è dovuto al fatto che sta passando di lì «Gesù Nazareno», immediatamente incomincia a gridare: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».

         Bargil Pixner, archeologo e biblista benedettino che ha vissuto tantissimi anni sia a Gerusalemme che in Galilea, in uno dei suoi testi, Con Gesù attraverso la Galilea: secondo il quinto Vangelo (1992), fa notare come la correlazione tra «Gesù Nazareno» e «Figlio di Davide» non sia affatto scontata. In altre parole, come mai Bartimeo chiama Gesù Nazareno «figlio di Davide»? Secondo Pixner si ha qui un indizio di una possibile correlazione tra l’essere di Nazaret e l’appartenere alla discendenza davidica, dato che, secondo il benedettino, era molto probabile che il villaggio di Nazaret fosse abitato da un clan davidico soprannominato «nezer» (germoglio), termine che compare in Is 11,1 per indicare la discendenza di Iesse, padre di Davide.

         Tale particolare non solo può risultare interessante dal punto storico-geografico, ma apre a un’ulteriore comprensione del racconto marciano. Chiamandolo «figlio di Davide» e chiedendogli salvezza, Bartimeo riconosce in Gesù il messia davidico atteso. Non solo: nella sua cecità egli è capace di vedere oltre, di vedere ciò che gli altri – che continuano a zittirlo e rimproverarlo – non vedono, dato che nella risposta che gli era stata data il personaggio di passaggio era semplicemente «Gesù Nazareno», mentre per lui quel nome è la «visione» di qualcosa che va ben oltre.

         Il grido e la richiesta di salvezza vengono uditi da Gesù che, fermatosi e fattolo chiamare a sé, gli chiede che cosa vuole che egli faccia. La risposta del cieco è: «Rabbunì, che io veda di nuovo!».

         Di fronte a questa richiesta si può notare anche un altro particolare: l’ultima volta che Gesù si è imbattuto in un cieco, nel Vangelo di Marco (Mc 8,22-26), sulla riva del lago di Galilea a Betsaida, la guarigione operata è stata – passatemi il termine – «faticosa»: per due volte ha dovuto porre le mani sugli occhi di quel non vedente per ottenere il risultato desiderato. Qui, invece, non solo non compie alcun gesto, ma semplicemente constata che Bartimeo può tornare a vederci di nuovo, grazie alla sua fede: «Va’, la tua fede ti ha salvato. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada».

         Come abbiamo visto, la capacità di vedere di Bartimeo era al di là di quella degli altri «vedenti», era una visione dal di dentro e, allo stesso tempo, dal «basso». Forse è proprio la sua condizione di emarginato, seduto sul ciglio della strada, che gli ha permesso di «vedere» quanto stava accadendo in un’altra prospettiva, una prospettiva capace di riconoscere la «salvezza».

         E ora, riacquistata la vista anche «esteriore», non può che fare l’unica cosa che desidera davvero: seguire colui che salva, Gesù Nazareno, figlio di Davide.

         Forse per capire davvero cosa sia importante fare, quale sia davvero la strada da percorrere per essere fedeli alla sequela del Signore, bisognerebbe cambiare prospettiva e guardare la realtà e i problemi che ci stanno davanti «dal ciglio della strada», seduti per terra come dei mendicanti. Lo sguardo «degli esclusi e delle escluse», a volte, è più penetrante e illuminante di coloro che sono principalmente (o forse unicamente) occupati e preoccupati a mantenere e/o salvaguardare solo la propria «inclusione».

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