«Santo è il Tempio di Dio, che siete voi»
Che cosa rende sacro uno spazio, un edificio? È questa la domanda a cui sia la Prima lettura che il Vangelo offrono una risposta.
Dedicazione della Basilica lateranense
Ez 47,1-2.8-9.12; Sal 45 (46); 1Cor 3,9c-11.16-17; Gv 2,13-22
Che cosa rende sacro uno spazio, un edificio? È questa la domanda a cui sia la Prima lettura che il Vangelo offrono una risposta.
Nella Prima lettura viene descritta una visione che il profeta Ezechiele ha mentre è in esilio. Il Tempio, come tutta la città, ormai era stato distrutto, tutto era in macerie, ma anche se i Babilonesi avevano fatto tutto questo, non avevano potuto però distruggere la presenza di Dio nel Tempio, una presenza (che più tardi nella tradizione rabbinica verrà chiamata shekinah) che indica la fedeltà di Dio al suo popolo, il suo essere sempre con e in mezzo a loro.
Per tutto questo, infatti, in una visione precedente il profeta descrive l’uscita della gloria/presenza di Dio dal Tempio, pronta ad andare in esilio con il suo popolo.
Ma l’esilio avrà prima o poi una fine e il popolo potrà ritornare alla sua terra, e con lui anche la gloria di Dio tornerà e riprenderà dimora nel suo Tempio. Questa ripresa di possesso del Tempio viene descritta con un’immagine di lavacro, di rigenerazione. Dalla sorgente del Ghicon (che ancora oggi si trova sul lato orientale che guarda verso la valle del Cedron) l’acqua inizia a zampillare in alto e a inondare il Tempio.
Quest’acqua rigeneratrice e purificatrice non risana solo il Tempio, ma fuoriesce da questo per inondare la valle sottostante, diventando un torrente che, percorrendo proprio la valle del Cedron, sfocia nel Mar Morto rigenerandolo.
Così non solo la santità del Tempio ritorna a essere tale, ma tale santità diventa un’azione di grazia che inonda tutto ciò che incontra e trasforma ciò che è morte in vita. Questa immagine molto bella e suggestiva non si esaurisce nella realizzazione di quanto avverrà, ovvero il ritorno del popolo dall’esilio e la ricostruzione del Tempio, ma permane come qualcosa che attende ancora un compimento ultimo, totale; non è un caso, infatti, che un kibbuz fondato nel 1929 sulle rive del Mar Morto si chiami Kalya, che è l’acronimo in ebraico della frase «il mare morto ritornerà alla vita».
Non sono dunque le pietre, le costruzioni, per quanto grandi e belle, ciò che rende santo un luogo, ma la presenza di Colui che solo è il Santo, una presenza che «santifica», vivifica, inondando ogni spazio e realtà con la sua grazia.
Tutto questo è molto chiaro e presente alla mente e al cuore di Gesù, a cui la sacralità e la santità del Tempio stanno molto a cuore. Proprio per questo assistiamo nel Vangelo a uno scatto d’ira − anche Gesù ha perso la calma, qualche volta −, che porta il Maestro a mandare all’aria le varie «bancarelle» che s’incontravano nell’atrio più esterno del Tempio.
Ma come mai dei venditori di animali e dei cambiamonete erano presenti nel Tempio? Chi saliva al Tempio per un sacrificio doveva consegnare ai sacerdoti un animale «puro», cioè senza macchia e senza difetti, un animale che doveva essere «certificato» dagli stessi sacerdoti e che veniva appunto venduto sul posto, così come anche chi voleva fare un’offerta in denaro al Tempio doveva farlo con monete che non avessero nessuna effige (nel nostro caso, per esempio, dell’imperatore romano di turno), e quindi vi erano dei cambiamonete che scambiavano le monete correnti con altrettante monete dello stesso peso e materiale (bronzo, argento o oro), ma idonee per le offerte.
Che cosa c’era dunque di male in tutto questo? Assolutamente nulla, era la prassi; ma allo stesso tempo tutto, dato che il pericolo insito in questo tipo di offerte, sacrifici o, come oggi, devozioni e altro, è la sottile tentazione, l’ambiguità che può insinuarsi in tali atti di pietà, ovvero quella di potersi, in un certo qual modo, «comprare» la grazia.
Allora il Tempio, come oggi una chiesa, può diventare un «mercato» in cui si può «acquistare» una grazia. In fondo è stato questo che ha provocato la protesta di Lutero contro le indulgenze e, senza andare molto indietro, ancora oggi gli atti di culto possono avere una «tabella dei prezzi». C’è chi si fa pagare la messa per i defunti, il funerale, il matrimonio ecc., e tutto questo non solo è prassi ma ha bisogno di direttive particolari. L’ultima, per esempio, è stata emanata dal Dicastero per il clero il 13 aprile 2025.
Se ritorniamo al Vangelo, Gesù non critica il Tempio né vuole la sua distruzione, non sta abolendo il Tempio, che continuerà a essere la casa di preghiera per i suoi discepoli anche dopo la sua morte. Per lui il Tempio è la casa del Padre, è il segno tangibile della sua presenza in mezzo al suo popolo, ma come la santità di Dio non è data da delle mura, così anche la santità di ogni fedele è data non dalle offerte quanto dalla propria vita, dal proprio corpo inteso come «spazio di relazioni» attraverso cui possiamo «consumarci» per amore.
È questo l’invito che troviamo nel Levitico: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2, cf. anche Lv 11,44 e 20,7). Le pietre di un edificio possono cadere e può venire meno anche la possibilità di fare sacrifici o offerte, ma rimane sempre valido l’invito di Dio, l’anelito a perseguire la santità nella nostra carne, sapendo che tale santità non può essere distrutta o «polverizzata» dalla morte: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1) o ancora, come si legge nella seconda lettura, «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi».
Nicolas Poussin, La distruzione e il saccheggio del Tempio di Gerusalemme, 1625-1626. Gerusalemme, Museo di Israele.
