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Quaranta giorni

I domenica di Quaresima

Dt 26,4-10; Salmo 90 (91); Rm 10,8-13; Lc 4,1-13

Con questa domenica entriamo nel tempo di Quaresima, un tempo che dura 40 giorni e che, secondo una consuetudine che risale al IV secolo, inizia con il Mercoledì delle ceneri e termina con il triduo pasquale. I quaranta giorni fanno riferimento proprio ai quaranta giorni che, secondo il Vangelo di Matteo e quello di Luca che si legge oggi, Gesù trascorre nel deserto di Giuda, affrontando differenti tipi di tentazione che il diavolo gli presenta davanti.

Il diavolo è una figura che di per sé non appartiene alla tradizione biblica antica, e che si fa sempre più viva e presente solo nel tardo giudaismo, principalmente negli scritti intra-testamentari (i cosiddetti apocrifi dell’Antico Testamento).

Il suo ruolo è quello di contrastare la venuta del regno di Dio e di impedire l’attuarsi del disegno di salvezza; pertanto l’accanimento contro il futuro Messia è più che comprensibile. Un accanimento che nel Vangelo di Luca compare qui, nell’episodio delle tentazioni, e alla fine, nel tradimento di Giuda: «Allora Satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era uno dei Dodici» (Lc 22,3).

Ma questa figura, emblema di tutto ciò che si contrappone al bene, alla salvezza e a Dio stesso, è anche una modalità di esprimere, in un modo personificato, la potenzialità di male che di fatto abita nel cuore degli uomini. Tale potenzialità è data proprio dalla libertà umana, dalla possibilità che l’essere umano ha di scegliere e compiere il bene o di perseguire il male. Costantemente, come è scritto nel Deuteronomio, l’uomo è posto di fronte a tale scelta: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male» (Dt 30,15).

Quali sono quindi queste tentazioni di fronte alle quali Gesù nel suo «oggi» deve prendere posizione, deve fare una scelta? Se leggiamo il testo lucano, possiamo sintetizzarle in questo modo.

La prima riguarda il cibo, non tanto come necessario elemento di sostentamento, ma come forma di potere: chi gestisce il cibo gestisce le masse, governa i popoli. Non è un caso infatti che anche oggi le più grandi multinazionali al mondo sono a capo di tutto il sistema alimentare mondiale.

La seconda tentazione riguarda il potere come ruolo centrale e di comando, un potere «glorioso» che fa di chi lo detiene «un dio in terra», capace con una sola parola di imporre il proprio volere, la propria visione e, soprattutto, i propri interessi sulla testa di popolazioni intere. E di questo tipo di potere non c’è bisogno di fare esempi, perché purtroppo li abbiamo davanti a noi ogni giorno sui giornali.

La terza tentazione riguarda il superamento del «limite», l’immortalità, l’incolumità a tutti i livelli. È l’illusione di non dover mai morire, di potersi sempre salvare da qualsiasi situazione, di non «inciampare» in qualsiasi condanna, di farla sempre franca. E anche su questo punto sono diversi i «personaggi» che nel nostro quotidiano possono essere presi come esempio.

Ma c’è un aspetto di questo Vangelo che va oltre questa visione macroscopica del mondo, ed è il fatto che Gesù in questo momento della sua vita non è né famoso, né potente; al contrario è un semplice uomo, sconosciuto a molti, che solo – o meglio in compagnia dello «Spirito» – vive quaranta giorni in una zona desertica non molto distante da villaggi abitati. Se la tradizione è veritiera, infatti, il luogo delle tentazioni non è molto lontano dall’antica Gerico. Credo che questo particolare meriti una maggiore attenzione, soprattutto perché rende questo testo più prossimo a chiunque lo legga: ogni lettore «sconosciuto» può immedesimarsi in questa esperienza, può far suo questo tempo di «solitudine», può analizzare queste tentazioni nel proprio vissuto, nella propria realtà esperienziale e vitale e, in definitiva, può decidersi di fronte a quell’«oggi».

Il tempo di Quaresima, per un credente, è proprio questo: la possibilità per quaranta giorni di fermarsi, ogni giorno, e analizzare nella propria vita quali sono i desideri, le decisioni e le azioni che si perseguono. Si tratta di un allenamento, di un percorso che mira a produrre un habitus, cioè un’attitudine costante, capace di ri-conoscere nel proprio vivere le reali motivazioni che animano scelte, azioni, desideri. Per quaranta giorni siamo chiamati a porre davanti a noi tutto ciò che realmente produce vita, in noi e attorno a noi, e a distinguerlo da tutto ciò che produce morte; ad ascoltare il nostro cuore, a vegliare sui nostri pensieri, a ri-conoscere le motivazioni del nostro agire.

Certo tutto questo non eliminerà dal nostro mondo «i potenti» della terra e forse non produrrà nella realtà che ci sovrasta alcun cambiamento, ma – e questo è il primo punto da ri-conoscere – per fortuna non siamo Dio e non spetta a noi salvare il mondo. E poi chissà…

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