b
Blog

Offrire tutto

XXXII domenica del tempo ordinario

1Re 17,10-16; Sal 146 (145); Eb 9,24-28; Mc 12,38-44

          «Les larmes de la veuve coulent sur les joues de Dieu» («Le lacrime della vedova scorrono sulle guance di Dio», Sir 35,18, così Nodet): traduzione affascinante, che non piacerà a tutti. Nel greco infatti Dio non è qui citato e il testo non è chiaro.         Essa però evoca con molta efficacia la condizione di assoluta debolezza di vedove e orfani nel Vicino Oriente antico, di cui Dio era l’unico difensore, fino a epoche, purtroppo, anche molto recenti.

          Nel Primo Testamento, a parte le eccezioni di vedove coraggiose e audaci, come Tamar, Noemi e Rut, lo statuto della vedova è quello della persona indifesa e priva di risorse, così come lo è l’orfano. Un caso tutto a parte è quello del racconto di Giuditta: sappiamo bene che non è una storia fondata storicamente, il nome stesso della protagonista (Yehudit, femminile di Yehuda) tradisce lo scopo edificante del racconto.

          La povertà di una vedova poteva esser tale da arrivare a vendere i figli (questo poteva capitare anche a un padre non vedovo) o sé stessa come schiava e non sempre il sovrano, come re-pastore custode dell’orfano e della vedova, era veramente tale (Zaccagnini).

          Sappiamo anche di una vedova ricca, tale Babatha, che possedeva tre palmeti ereditati dal padre come figlia più anziana e beni fruttiferi ricevuti dal primo marito. Il suo archivio però, rinvenuto nella cosiddetta Grotta delle Lettere a sud ovest del mar Morto da Yadin negli anni Sessanta del secolo scorso e risalente agli anni 96-134 e.v. (Hartmann) testimonia di lunghe cause giudiziarie con gli altri eredi che avevano impugnato il testamento del primo marito (Di Cintio) nonché, in seguito, col tutore del figlio. In breve: benché ricca o forse proprio per questo, aveva avuto una vita difficile.

          Del resto anche Lc 18,2-3 parla di una vedova che ha a che fare con un giudice disonesto, a riprova delle difficoltà che una donna sola poteva incontrare. Nel nostro contesto invece nel ruolo di sfruttatori dei beni delle vedove compaiono gli scribi del tempio, in forte contrasto con lo scriba appena incontrato in Mc 12,28ss.

          La figura della vedova serve così a focalizzare una polemica contro l’ambiente templare, e indirettamente anche contro il ricco e i ricchi di Mc 10,17ss e i venditori di Mc 11,15ss.

          Di fatto il santuario in epoca erodiana era percepito dalla società agricola, che era maggioritaria, come una struttura oppressiva (Hanson-Oakman). Il termine «spelonca di ladri» (spelaion leston, Mc 11,17), comune a tutti gli evangelisti, sembra rispecchiare una mentalità diffusa e condivisa.

          Ma subentra per i discepoli il momento dell’ultima chiamata (proskalesamenos tous mathetas, v. 43): Gesù li convoca presso di sé per commentare la scena di chi offre denaro al tempio. Esordisce con amen lego umin, tuttavia secondo il racconto marciano non pare che il suo commento sia positivo: nessun elogio esplicito dell’offerta della vedova, solo una semplice constatazione: ha dato più dei ricchi.

          Il testo gioca sul forte contrasto su quanto si dice degli scribi prima e dei ricchi poi, insistendo su alcuni dettagli (le lunghe vesti, tipiche di chi non fa lavori manuali; il prestigio sociale dei saluti e dei primi posti; la forte visibilità; l’ostentazione religiosa; le molte monete), mentre niente si dice della vedova che si può immaginare dimessa negli abiti e nella postura: una persona irrilevante che vuole passare inosservata e pare riuscirci, perché solo Gesù sembra accorgersi di lei.

          Il contrasto tra il superfluo e il necessario alla vita è preparato dalla precedente serie di atteggiamenti ed è contrassegnato da sette occorrenze del verbo «gettare» (ballo, coniugato variamente e usato indifferentemente per i ricchi e per la vedova, con il sottinteso senso conclusivo, per lei, di «gettare via»: vv. 41 due volte, v. 42, v. 43 due volte, v. 44 due volte). La donna infatti ha buttato via quello che aveva e che già era quasi niente, ma le era indispensabile, mentre i ricchi hanno semplicemente gettato qualcosa.

          Come si è detto il racconto marciano non esprime giudizi di valore, ma la donna, che pare relegata nella sua dimensione di povertà e anonimato, ha comunque adempiuto, «con tutte le forze», il primo comandamento.

Lascia un commento

{{resultMessage}}