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Nemmeno un capello

XXXIII domenica del tempo ordinario

Ml 3,19-20a; Sal 97 (98); 2Ts 3,7-2; Lc 21,5-19

È evidente che la pagina di Vangelo di questa domenica riflette non tanto il tempo di Gesù, quanto ciò che è avvenuto qualche anno dopo la sua morte. Si parla della distruzione del Tempio, delle persecuzioni e di una divisione ormai chiara tra i seguaci del Maestro e altri ebrei, il cui riferimento ora sono le sinagoghe. Anni difficili, bui, confusi, in cui era difficile comprendere il senso degli avvenimenti e trovare la direzione verso cui guardare e verso cui dirigere i propri passi. Inoltre, non dimentichiamolo, la caduta del Tempio segna un grande vuoto e disorientamento per tutto il mondo ebraico del tempo, anche per i seguaci di Gesù che, stando agli Atti (At 2,46; 3,1; 5,20-21.42), continuavano a frequentarlo assiduamente, anche dopo la morte del Maestro. 

Se da una parte, quindi, è difficile dire quanto nel testo di Luca sia attribuibile direttamente a Gesù e quanto sia una rilettura di un suo insegnamento attualizzato al presente per la comunità a cui l’evangelista si rivolge, dall’altra sicuramente nel testo vi sono frasi che risalgono a uno o più discorsi di tono «apocalittico» che Gesù ha pronunciato e che sono presenti anche, per esempio, in Mc 13. Lasciando agli specialisti la discussione, a tutt’oggi ancora aperta, sull’analisi diacronica di questo testo, credo che l’insegnamento e il messaggio che vi contiene sia valido anche per il nostro tempo.

Per alcuni versi, infatti, questa pagina non è tanto diversa da quella di un nostro quotidiano: oggi come allora abbiamo guerre, divisioni, persecuzioni a carattere religioso e falsi messia che promettono di poter dominare il mondo e di avere in tasca la soluzione giusta per tutti.

Di fronte a tutto questo il Vangelo di questa domenica non offre una soluzione, neanche un piano strategico da seguire; anzi incalza annunciando tradimenti anche all’interno del proprio nucleo familiare, proprio a dire che anche la fiducia nell’altro verrà meno. Anche di questo aspetto la storia ha fatto esperienza, se pensiamo a come il sistema di delazione ha permesso a dittature, come quella nazista e non solo, di tenere sotto controllo in modo capillare una popolazione intera. 

Nulla quindi viene risparmiato, quasi che la follia umana del male non abbia limiti o confini. Ma in realtà è proprio quel male a essere limitato, finito, contato, poiché l’orizzonte verso cui Gesù invita ad alzare lo sguardo va oltre questo confine mortale e si apre a una realtà di vita in cui non solo non c’è più posto per la morte, ma c’è senso e pienezza per tutte le vittime che il male umano ha causato nella storia.

Il tutto è espresso in un’immagine delicatissima: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto». Di fronte a questa frase mi vengono in mente i volti di tutti quei prigionieri nei lager, uomini, donne e bambini, a cui è stato rasato il capo come estremo segno di perdita d’identità in un corpo già denudato, privato di dignità. Guardare quei volti e pensare che nemmeno un capello del loro capo andrà perduto è la sfida della nostra fede e, allo stesso tempo, la forza della nostra speranza, consolazione per l’oggi e fiducia per il domani.

In fondo è questo l’invito finale: «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita». C’è qualcosa che il male non può annientare, distruggere o annichilire e questa «cosa» è la nostra vita interiore, la nostra identità più profonda, ciò che nel testo evangelico letteralmente è espressa con il termine psiche che, indipendente dalla valenza con cui il termine è utilizzato nel mondo della psicologia, qui indica non tanto, o solo, la vita biologica, quanto il senso ultimo della nostra esistenza, quella scintilla d’amore da cui proveniamo e verso cui siamo diretti, la nostra origine e, allo stesso tempo, il nostro fine: prima di ogni cosa amati, pensati, voluti da Dio per essere sempre con lui, avvolti nel suo amore in cui ogni capello del nostro capo sarà oggetto del suo sguardo, della sua cura e della sua tenerezza.

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