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Marta o Maria?

XVI domenica del tempo ordinario

Gen 18,1-10a; Sal 14 (15); Col 1,24-28; Lc 10,38-42

La pagina evangelica di questa domenica ha dato vita a numerose interpretazioni, che vedono in queste due sorelle modalità differenti di porsi nei confronti di Gesù e del suo messaggio. Così Marta è diventata la rappresentante, nell’ambito religioso, della vita attiva, apostolica, mentre Maria l’emblema della vita contemplativa e anche claustrale.

Poi si è passati anche a vedere, sempre nelle due figure, i diversi aspetti che coesistono in una vita di fede, indipendentemente dalle scelte prettamente religiose (vita apostolica o contemplativa), e che riguardano qualsiasi fedele, sia laico che religioso, sottolineando come ogni cammino di fede debba avere una dimensione attiva e una contemplativa allo stesso tempo.

Al centro comunque rimangono queste due persone e il loro modo di accogliere un ospite, avendo cura di offrirgli tutto quanto possa essere a lui gradevole e prestandogli attenzione e ascolto.

A questo punto, al di là di quanto si è già detto (v. ad esempio il mio commento https://re-blog.it/2022/07/14/tra-servizio-e-ascolto/), vorrei proporre un’ulteriore riflessione che parte da una domanda: «Chi vorremmo essere, Marta o Maria?». La risposta sembrerebbe scontata; a primo acchito, forse la maggior parte di chi legge risponderebbe: «Maria», dato che sicuramente fa una bella figura e Gesù stesso le dice che «ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Ma se cambiamo la domanda e ci chiediamo: «Chi ha più potere, Marta o Maria?», allora le cose si complicano, o perlomeno Marta viene investita di una luce diversa. È Marta, infatti, colei che amministra la casa, dispone di tutto ciò che può esserle utile ai fini dell’ospitalità, agisce, «serve», e di fatto decide come e cosa «servire». Certo, si lamenta del fatto che sia da sola a farlo, ma forse non sarebbe neanche contenta di cedere una parte di quel servizio e, soprattutto, del potere che questo comporta, alla sorella. Insomma da una parte si lamenta perché «rimasta sola», ma dall’altra, forse, le torna anche comodo il non dover condividere il «potere amministrativo» che le compete.

Detto tutto questo, se ritorniamo alla domanda «Chi vorremmo essere, Marta o Maria?», forse la risposta non sarebbe più così scontata. Anzi, proprio questa domanda potrebbe tornare utile a comprendere la realtà ecclesiale in cui ci muoviamo. È un lamento comune e ricorrente nelle nostre diocesi che i preti sono sempre di meno, sono sempre più «soli» nel loro servizio, che non ce la fanno più, mentre le «cose da fare» sono sempre tante. Che, detto in altri termini, significa: sempre meno persone a gestire diversi ruoli di potere, un «potere», ovviamente, che si esplica come «servizio».

A volte infatti in diverse diocesi (molte o poche che siano) i vescovi fanno fatica a investire su laiche e laici preparati affidando loro ruoli di potere/servizio, e preferiscono continuare ad affidare tali incarichi ai propri presbiteri, oberandoli di più «mansioni» e responsabilità.

Il risultato, a volte, è una sempre maggiore passività dei primi e una sempre maggiore «autoesaltazione» dei secondi, che si ritrovano a ricoprire ruoli senza un’adeguata preparazione e a «gestire» persone che per competenza e «anzianità» sarebbero di gran lunga più idonee a tali «servizi». Il risultato di questo tipo di «politica» è davanti ai nostri occhi, e se uno conosce un po’ alcuni ambiti di potere/servizio, come ad esempio le Caritas diocesane o le realtà di formazione teologica (istituti o facoltà), avrà molti esempi da fornire.

Ma ci sono anche ulteriori «risultati» che questo tipo di «amministrazione» produce, come ad esempio la «solitudine» dei presbiteri, una solitudine non solo fisica ma soprattutto umana, relazionale – troppo investiti del loro ruolo per essere «fratelli in mezzo ai fratelli» (Presbyterorum ordinis I, 3) – o il disinteresse sempre maggiore dei laici a una vita ecclesiale che li vede sempre come «passivi» fruitori di un qualcosa.

Il problema è dunque importante, e anche se tutti vorrebbero essere «Maria» di fatto, solo alcuni possono essere «Marta», e l’essere «Maria» non è frutto di una scelta ma di uno «status»: quello laicale!

Termino con una «consolazione» finale: alla fine risulterà che il «ruolo di Maria» è la parte migliore e che è l’unico che non verrà mai tolto!

Commenti

  • 18/07/2025 Lia

    Mi ha colpito l'espressione "il disinteresse sempre maggiore dei laici che li vede sempre sempre come fruitori di qualcosa" , perché mi ci ritrovo appieno. Anzi direi che, se un tempo il non poter essere parte attiva nel mondo ecclesiale poteva farmi dispiacere, attualmente l'esserlo mi metterebbe a disagio. E' come se quel mondo non mi appartenesse più. Mi consola il fatto che la stessa cosa mi stia succedendo anche con la politica e quindi l'estinzione dell'interesse verso la religione non dovrebbe significare la morte di essa nel mio cuore così come non considero in me morta la passione politica.

  • 18/07/2025 Marcello Delverme

    Soprattutto, penso che sia la solitudine dei presbiteri, non sposati (perché e perché mai?) a marcare la differenza tra l'essere soli e sereni (difficile a realizzarsi) e il voler essere sereni (ma si è purtroppo soli). Quando si arriverà anche nella comunità cattolica romana (e vaticana) al ripensamento e alla ristrutturazione dei ministeri, maschili e femminili, secondo il dettato evangelico e non canonico (e tardivo) forse potremmo vedere volti maschili e femminili, impegnati nella 'causa del regno di Dio in terra' meno soli e - se possibile - dispensatori di sorriso e bellezza. Valete omnes ac shalom/eirene/pax/salam. mdv

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