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Leggere la Scrittura con la Scrittura

II domenica del tempo ordinario

Is 49,3.5-6; Sal 39 (40); 1Cor 1,1-3; Gv 1,29-34

Nel Vangelo di oggi troviamo due immagini che descrivono Gesù e la sua realtà messianica. La prima è quella dell’agnello: «In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo». Nella memoria biblica, certamente ben presente all’autore del quarto Vangelo e ai suoi primi lettori, l’agnello, o meglio il suo sangue, è ciò che salva il popolo in Egitto dalla visitazione di Dio mediante l’angelo della morte.

Nel testo di Es 12,13 si legge: «Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d’Egitto». Il sangue è quello dell’agnello, che viene immolato e poi consumato insieme famiglia per famiglia. Il tutto viene poi sancito come celebrazione della «pasqua del Signore» (Es 12,11), ovvero del suo passaggio che prepara e permette il passaggio che gli israeliti faranno, attraverso il mar dei Giunchi, per salvarsi dalle mani del Faraone e del suo esercito.

L’agnello dunque dice salvezza, liberazione, redenzione, e questo non solo dal nemico o dal male di turno ma, nel caso del Vangelo di Giovanni, del «peccato del mondo». Attraverso quindi questa breve frase – «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» – si annuncia qualcosa che è in continuità con la storia di salvezza operata da Dio per il suo popolo, ma che è anche completezza e universalità: qui l’«agnello di Dio» «toglie» (sarebbe forse meglio tradurre «solleva su di sé») il peccato, non solo quello del popolo di Israele, ma del mondo, di tutta l’umanità.

Se l’agnello esodale sta a indicare la salvezza che Dio opera «passando oltre» le case degli israeliti, questo «agnello» è chiamato a realizzare una salvezza più profonda, a portare su di sé «il peccato del mondo», come Paolo in un altro modo dirà: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21). 

L’altra immagine che troviamo nel Vangelo di oggi è quella della colomba: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui». Anche qui la memoria biblica ci riporta a un’altra colomba, quella di Noè che ritorna da lui con un ramoscello d’ulivo, segno che la vita è ritornata a risplendere sulla terra: «E la colombatornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco una tenera foglia di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra» (Gen 8,11).

La colomba significa pace, benevolenza, vita, salvezza, e, nel Vangelo di Giovanni, è lo stesso Spirito di Dio che discende su Gesù al momento del battesimo. Come lo Spirito di Dio, in Gen 1,2 «aleggiava sulle acque», ora lo stesso Spirito si posa su colui che è chiamato a essere il Messia, la cui vita, passione, morte e risurrezione darà inizio alla nuova e definitiva creazione.

Vi è, inoltre, un ulteriore collegamento tra la «colomba» e il Messia che la tradizione ebraica posteriore al Vangelo riporta: «Un portale deve essere aperto e da esso verrà una colomba. Ma (un giorno) tornerà attraverso questo portale, e prenderà una corona in bocca, e la metterà sulla testa del re Messia» (Zohar 164b). È difficile dire chi ha influenzato chi, se è il testo evangelico ad aver influenzato lo Zohar (probabilmente composto in Spagna tra il 1100 e 1400 d.C.) o, viceversa, è questo testo appartenente alla mistica ebraica ad avere in sé tracce di una tradizione molto antica che può essere coeva al testo evangelico.

Al di là di tutto, l’immagine della colomba come simbolo messianico può suggerirci un’ulteriore chiave ermeneutica di un altro passo, questa volta del Vangelo di Matteo: «Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona» (Mt16,4). Ora se da una parte il testo può sicuramente fare riferimento al profeta Giona, dall’altra è possibile comprendere queste parole anche in un senso più evocativo: il termine «giona», infatti, in ebraico significa «colomba» (yonah) e il segno della colomba, come abbiamo visto, sta proprio a indicare la messianicità di Gesù!

Commenti

  • 14/01/2023 Bruna Donati

    Magnifico questo elevarsi in volo da parte dell'autrice per abbracciare con un solo sguardo tutta la Scrittura per coglierne i segnali, gli elementi significativi e tutto ciò che parla a chi legge...

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