Le strane nozze di Cana
II domenica del tempo ordinario
Is 62,1-5; Sal 96 (95); 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-11
La liturgia di questa domenica ci presenta il passo evangelico di Gv 2,1-11, meglio conosciuto come «le nozze di Cana». Secondo la maggior parte degli archeologi il villaggio di Cana, in Galilea, doveva distare circa 13 km da Nazaret, ed è probabile che i contatti tra i due villaggi implicassero anche rapporti di amicizia o di parentela tra i loro abitanti. Questo spiega il fatto che Maria, insieme a Gesù e ai suoi discepoli, fosse stata invitata a una festa di nozze.
Fin qui nulla di strano; strano è però il modo con cui questo episodio viene raccontato, dove alcuni particolari sono evidenziati e altri invece risultano mancanti od omessi. Ad esempio si parla di una festa di nozze, ma nel testo non compare mai una sposa; non vi è alcuna traccia di altri invitati presenti alla festa; Gesù si rivolge alla madre chiamandola «donna» e, pur essendo un invitato come gli altri, si mette a dare ordini ai servi; inoltre la quantità di vino che viene offerto alla fine è enorme, dato che sei giare corrispondono all’incirca a 600 litri.
Insomma ci sono parecchi elementi nel racconto che, se osservati con attenzione, rappresentano gli indizi per una comprensione più profonda di quella che all’apparenza sembra una semplice festa di nozze, ma che in realtà è la descrizione di qualcos’altro, ovvero di ciò che potremmo definire «le nozze messianiche» di Gesù con il suo popolo.
Alcuni elementi che vanno in questa direzione sono proprio la mancanza di vino, il termine «donna», le parole di Maria ai servi e l’abbondanza finale di vino che risulta essere qualitativamente migliore. Cerchiamo di collegare insieme questi elementi.
La mancanza di vino indica una situazione di crisi ma anche la speranza, l’attesa di qualcosa che possa cambiare la situazione, che possa ridare gioia; a notare questo è proprio Maria, la cui figura e ruolo, nel Vangelo di Giovanni, sarà proprio quello di «donna-popolo», così come apparirà più chiaramente nell’altra menzione di Maria come «donna» nella scena sotto la croce in Gv 19,26.
Una conferma di questo la si può trovare proprio nella risposta che Gesù dà alla madre e che può essere letta come un’interrogativa: «La mia ora non è già venuta?». Se si legge il testo in questo modo il senso non è più negativo, ma positivo: Gesù afferma che «la mia ora è già venuta», non ancora pienamente, senza dubbio, ma realmente, come inizio (cf. v.11). E l’«ora» di Gesù, che comincia qui, è l’«ora» della sua manifestazione messianica, quella alla quale Israele aspirava fin dal tempo dei profeti. Essa comincia ora, ma continuerà durante tutta la vita pubblica di Gesù e raggiungerà il suo compimento totale nel mistero della croce e della risurrezione.
Se passiamo poi alle parole che Maria rivolge ai servi, troviamo anche qui un riferimento a quello che sarà il compimento dell’evento messianico, ovvero la «nuova alleanza» tra Dio e il suo popolo. Le parole «fate ciò che vi dirà» richiamano proprio la risposta che il popolo dà a Mosè ai piedi del Sinai: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo» (Es 19,8) e Maria, utilizzando tale formula, viene a personificare in un certo senso il popolo di Israele nel contesto dell’alleanza; dall’altra parte, con quelle stesse parole, riprende il ruolo di mediazione che Mosè aveva svolto nell’alleanza sinaitica tra Dio e il suo popolo.
Ultimo elemento su cui riflettere è l’abbondanza finale di vino. Anche qui le Scritture di Israele, a cui Giovanni fa riferimento, ci indicano che tale vino è il «vino messianico» annunciato dai profeti. Ad esempio in Amos si legge: «Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – in cui chi ara s’incontrerà con chi miete e chi pigia l’uva con chi getta il seme; i monti stilleranno il vino nuovo e le colline si scioglieranno. Muterò le sorti del mio popolo Israele, ricostruiranno le città devastate e vi abiteranno, pianteranno vigne e ne berranno il vino, coltiveranno giardini e ne mangeranno il frutto» (Am 9,13-14); oppure in Isaia: «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati».
Attraverso questi elementi risulta allora più chiaro che il racconto delle «nozze di Cana» è un modo con cui Giovanni non solo racconta una scena di festa a cui forse realmente Maria, suo figlio e i suoi discepoli hanno preso parte, ma soprattutto descrive l’inizio e la manifestazione messianica di Gesù in un contesto di gioia che, allo stesso tempo, s’inserisce nella continuità dell’unica alleanza tra Dio e il suo popolo.