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L’arte della «pesca»

V domenica del tempo ordinario

Is 6,1-2a.3-8; Sal 137 (138); 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11

Che cosa trasforma dei provetti pescatori in «pescatori di uomini»? Due elementi nel racconto di Luca forniscono la risposta a questa domanda.

Il primo è sicuramente la fede, intesa come fiducia, apertura, attenzione a chi sta loro parlando. È interessante notare come questi atteggiamenti non siano per nulla scontati nella reazione sia di Simone (Pietro) che degli altri. In fondo Gesù è per loro un rabbi, bravo a parlare, che attira le folle, non un pescatore.

Il secondo elemento è ciò che motiva la loro scelta di dar seguito all’invito di Gesù di gettare di nuovo le reti: «sulla tua parola». È la Parola ciò che permette questa trasformazione. Non la parola di «qualcuno», seppure autorevole o investito di autorità, ma la parola di colui che è «Parola del Padre».

E qual è la differenza tra la parola umana, ripeto, anche la più autorevole o investita di «sacramentalità», e questa Parola? Il fatto che la parola di Dio è «performativa»: produce ciò che dice, e la riprova è proprio data dal risultato: un’abbondante pesca «miracolosa». Dove di miracoloso in realtà non c’è nulla, se non il fatto che quei pescatori hanno dato ascolto proprio a «quella» Parola.

Vediamo più in dettaglio il racconto, analizzando alcuni aspetti di questi due elementi: fede e Parola.

Un particolare da considerare è proprio l’itinerario di fede che vede nel racconto come primo protagonista Pietro, e sullo sfondo anche gli altri che erano con lui e Giacomo e Giovanni. A delle «orecchie» più sensibili a tutta la Scrittura, tale itinerario ricorda quel «faremo e ascolteremo» con cui il popolo accoglie e aderisce all’alleanza del Sinai. Difatti la prima cosa che questi pescatori «fanno» è riprendere il largo e ritornare a pescare, prendendo sul serio l’invito di Gesù. È questa la confessio fidei, l’adesione di fede che precede tutto e che muove tutto.

Solo dopo aver pescato avviene la confessio vitae, ovvero la consapevolezza del proprio essere «peccatori»: «Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”». Questo passaggio andrebbe preso più in considerazione: non è il comportamento morale o l’etica ciò che fa di una persona un credente o ciò che più esprime e manifesta la sua fede: prima di «fare», prendendo sul serio l’invito del Maestro, Pietro non ha nessuna consapevolezza del proprio «peccato». È il «fare» la parola del Maestro ciò che porta Pietro ad avere una maggiore consapevolezza di sé, una consapevolezza che non lo blocca e neanche lo irrigidisce, ma al contrario lo spinge verso l’«ascolto». Un ascolto trasformante che spalanca davanti a quei pescatori nuovi orizzonti e nuovi mari.

L’essere «pescatori di uomini» sarà proprio questo: l’ascolto «fattivo» della Parola attraverso cui crescere nella consapevolezza non delle proprie capacità o del proprio «status» – che si potrebbe tradurre in «ruolo», autorità, potere – ma dei propri limiti, delle proprie mancanze, delle proprie fragilità, in ultima analisi della propria umanità. Ed è questa consapevolezza ciò che permetterà loro di mettersi in ascolto degli altri, di vivere la vicinanza, di essere «attraenti», di intraprendere insieme quel cammino dell’ascolto che porta «al largo».

Va sottolineato che tutto questo viene sperimentato in un clima di «stupore»: «lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto». Uno stupore che nasce dalla consapevolezza che quel successo, quella pesca abbondante, non è frutto delle loro capacità, della loro perizia, ma «semplicemente» del loro ascolto della Parola.

Infine, ultimo particolare che vorrei mettere in evidenza, è la disponibilità al cambiamento che questi pescatori manifestano. Una disponibilità non esplicita nel testo, ma imprescindibile perché tutto il resto accada. In fondo, come già accennato all’inizio, questi pescatori esperti danno credito alla parola di un rabbi, anche se sicuramente affascinante nella sua capacità di «insegnare alle folle». Ma che ne sa lui di pesca? Che conosce della tradizione di un mestiere così antico che ha le sue regole, i suoi tempi, i suoi riti?

Chi fa il pescatore di mestiere sa che non si pesca sempre e dovunque, ci sono tempi opportuni durante il giorno o la notte, ci sono punti del lago o del mare più pescosi, ci sono modalità precise per calare le reti ecc. Tutto questo viene messo da parte, o meglio, viene espresso da una timida obiezione – «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla» –, che però non blocca o impedisce loro di rimettersi in gioco, di rendersi disponibili al «nuovo».

E tale disponibilità è espressione di una vera e autentica umiltà, senza la quale non è in realtà possibile nessun ascolto, tantomeno della «sua Parola».

Commenti

  • 07/02/2025 Don Antonio Genovese

    grazie davvero per il bellissimo e profondo commento.

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