L'amore ai tempi di Francesco
La centralità dell’amore evangelico è stata una nota costante nella testimonianza di papa Francesco, leggibile in filigrana in tanti testi del suo magistero rilevanti per la riflessione propria della teologia morale.

La centralità dell’amore evangelico è stata una nota costante nella testimonianza di papa Francesco, leggibile in filigrana in tanti testi del suo magistero rilevanti per la riflessione propria della teologia morale.
Per esempio, nell’enciclica sociale Fratelli tutti (ottobre 2020) è evidente la presenza di una dimensione definibile come una «fenomenologia dell’amore» in relazione al giusto orientamento delle diverse virtù morali, senza la quale esse decadono: «Le persone possono sviluppare alcuni atteggiamenti che presentano come valori morali: fortezza, sobrietà, laboriosità e altre virtù. Ma per orientare adeguatamente gli atti delle varie virtù morali, bisogna considerare anche in quale misura essi realizzino un dinamismo di apertura e di unione verso altre persone. Tale dinamismo è la carità che Dio infonde. Altrimenti, avremo forse solo un’apparenza di virtù, e queste saranno incapaci di costruire la vita in comune. Perciò san Tommaso d’Aquino – citando sant’Agostino – diceva che la temperanza di una persona avara non è neppure virtuosa. San Bonaventura, con altre parole, spiegava che le altre virtù, senza la carità, a rigore non adempiono i comandamenti “come Dio li intende”» (n. 91).
Definiti dall’amore
È anche chiaramente visibile la dimensione strutturale della capacità di amare e volere il bene, unica sorgente di alimentazione interiore e di statura spirituale in grado di debellare, fra le altre, la tentazione del dominio ideologico della verità: «La statura spirituale di un’esistenza umana è definita dall’amore, che in ultima analisi è “il criterio per la decisione definitiva sul valore o il disvalore di una vita umana”. Tuttavia, ci sono credenti che pensano che la loro grandezza consista nell’imporre le proprie ideologie agli altri, o nella difesa violenta della verità, o in grandi dimostrazioni di forza. Tutti noi credenti dobbiamo riconoscere questo: al primo posto c’è l’amore, ciò che mai dev’essere messo a rischio è l’amore, il pericolo più grande è non amare (cf. 1Cor 13,1-13)» (n. 92).
La «carne» di Cristo
Ma ancora nella Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione (luglio 2024), papa Francesco ha posto l’accento sul rischio di annunciare un Cristo senza carne, senza storia: «L’urgente compito dell’annuncio del Vangelo nel nostro tempo richiede, dunque, ai credenti e ai sacerdoti in particolare l’impegno a che tutti possano incontrarsi con un Gesù Cristo fatto carne, fatto umano, fatto storia. Dobbiamo stare tutti attenti a non perdere mai di vista la “carne” di Gesù Cristo: quella carne fatta di passioni, emozioni, sentimenti, racconti concreti, mani che toccano e guariscono, sguardi che liberano e incoraggiano, di ospitalità, di perdono, di indignazione, di coraggio, di intrepidezza: in una parola, di amore» (n. 14).
La concretezza di una umanità autentica, capace di amare, si traduce in un’esperienza storica in grado di generare una grammatica di senso rilevante per tutti, non irrigidita in una rappresentazione analitica o astrattamente normativa: «La meravigliosa diversità dell’essere umano e la pluralità diacronica e sincronica di culture e saperi si configurano nella letteratura in un linguaggio capace di rispettarne ed esprimerne la varietà, ma al tempo stesso vengono tradotte in una grammatica simbolica del senso che ce le rende intelligibili, non estranee, condivise. L’originalità della parola letteraria consiste nel fatto che essa esprime e trasmette la ricchezza dell’esperienza non oggettivandola nella rappresentazione descrittiva del sapere analitico o nell’esame normativo del giudizio critico, ma come contenuto di uno sforzo espressivo e interpretativo di dare senso all’esperienza in questione» (n. 35).
Così l’importanza strutturale di una testimonianza storica autenticamente umana sottolinea il pilastro portante del pontificato di papa Francesco: il cristocentrismo, che il concilio Vaticano II ha restituito con nitidezza alla teologia (card. Roberto Repole) e che papa Francesco ha non solo proclamato, ma vissuto nella forza simbolica dei gesti e di un magistero continuamente «convocato» dal Signore risorto e vivente.
Luca Novara è docente di filosofia e teologia morale sociale presso l’ISSR «S. Metodio» di Siracusa e presso lo Studio teologico «S. Paolo» di Catania – II ciclo.