b
Blog

La vigna affidata

XXVII domenica del tempo ordinario

Is 5,1-7; Sal 79 (80); Fil 4,6-9; Mt 21,33-43

 

La vigna affidata

         La parabola dei «vignaioli omicidi», che la liturgia della prossima domenica ci propone, per secoli è stata letta e utilizzata in chiave «sostituzionistica», ovvero come uno dei fondamenti su cui si basa la cosiddetta «teologia della sostituzione» volta a giustificare, appunto, la sostituzione, da parte del Signore, dell’elezione di Israele, suo popolo, con l’elezione di un nuovo popolo, definito «vero Israele», che corrisponderebbe alla Chiesa dei gentili.

         In realtà una lettura del genere è del tutto ingiustificata, oltre a essere completamente erronea, senza guardare agli effetti devastanti che ha prodotto nella storia dell’antigiudaismo e, in generale, dell’antisemitismo.

         Vediamo gli elementi della parabola. C’è un padrone che possiede una vigna di cui ha molta cura: la circonda di siepi, vi scava una buca per il torchio e costruisce una torre sia come ripostiglio degli attrezzi che come punto di guardia. La vigna così descritta e il legame amorevole che il padrone ha verso di lei sono, senza ombra di dubbio, una parafrasi del testo di Is 5,1-7 (che non a caso è il brano della prima lettura). Quindi, stando proprio al testo di Isaia, la vigna è Israele, il suo popolo eletto e amato.

         Il problema si presenta quando il padrone affida il suo popolo-vigna a dei contadini che dovrebbero coltivarla e averne cura. Lo scopo di costoro, ovvero dei responsabili della vigna-popolo, si rivela di tutt’altro tipo: a loro non interessa tanto che la vigna produca frutti, quanto acquisirne il dominio totale, la proprietà. Per questo motivo uccidono dapprima i servi del padrone, inviati loro per ritirare il raccolto, e successivamente anche il figlio, l’erede.

         E a questo punto c’è anche una certa ironia nel testo. Infatti i vignaioli giustificano l’omicidio del figlio proprio per ricevere l’eredità della vigna, ma questo non sarebbe comunque possibile dato che il padre dell’«erede», ovvero il padrone stesso della vigna, non è ancora morto!

         La parabola termina con una domanda rivolta agli ascoltatori che, non dimentichiamo, sono proprio i responsabili civili e religiosi del popolo di Israele («i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo»), che nella storia rivestono i panni dei contadini: «Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».

         Come in tutte le parabole che si trovano nella Bibbia (e non solo nel Nuovo Testamento), l’intenzione della favola che si racconta è quella di mettere in condizione chi ascolta di esprimere un giudizio di auto-condanna, dato che i personaggi del racconto sono in realtà gli stessi uditori, le cui azioni, senza che essi se ne rendano conto, vengono descritte e rese manifeste ai loro occhi affinché siano loro stessi a giudicarle. E il giudizio arriva inesorabile: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

         Ritornando a quanto si diceva all’inizio, non è quindi la vigna-popolo di Israele che verrà sostituita, ma i suoi governanti che hanno cercato di impossessarsene e non ne hanno avuto cura. A questo punto va chiarita anche l’ultima frase: «Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

         Se, come si è visto, i soggetti a cui Gesù si rivolge sono i responsabili civili e religiosi del popolo, chi è allora questo «popolo» a cui verrà affidata la vigna perché porti frutto? Il problema è come intendere il termine ethnos (tradotto dalla CEI con «popolo»), che qui nel testo è usato senza l’articolo, quindi con valore generico, né teologico né etnico. Potrebbe quindi riferirsi a un gruppo di persone che, davvero fedeli al padrone della vigna, sapranno veramente averne cura, che si tratti del popolo di Israele o, accanto (e non in sostituzione) a questo, in una prospettiva più ampia, di tutta la Chiesa popolo di Dio.

         La critica evangelica, dunque, non riguarda la vigna-Israele o la Chiesa-popolo di Dio, ma coloro che, anziché adoperarsi perché queste realtà producano frutti e siano rigogliose, esercitano il loro ruolo per appropriarsi di un bene che non gli appartiene, provocando così solo aridità e morte.

         Una cosa comunque è certa: la fedeltà di Dio verso la sua vigna rimane e così anche la sua cura e preoccupazione perché porti frutto!

Commenti

  • 09/10/2023 menico67

    Complimenti per l'esegetica del racconto, perché viene semplicemente analizzata ogni parola biblica così come è scritta ( il Signore parla in modo semplice, ma invece sono gli interpreti e gli studiosi che complicano e confondo ogni cosa). Ma riguardo alla "sostituzione", sempre stando alle scritture, è semplicemente il vecchio sacerdozio che viene sostituito con il nuovo sacerdozio, come viene detto nella lettera agli ebrei, perché la Chiesa si basa esclusivamente sul sacerdozio di Cristo. E seguendo la stessa logica del suo commento, a completamento e compimento dell'analisi effettuata, può semplicemente vedere che fu proprio il sommo sacerdote che si stracciò le sue vesti sacerdotali di fronte a Gesù. Tutto qui, e credo di essere stato chiaro. Un cordiale saluto

Lascia un commento

{{resultMessage}}