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La sorte dei giusti

XXVI domenica del tempo ordinario

Am 6,1a.4-7; Sal 145 (146); 1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31

Il Vangelo di questa domenica ci mette davanti una realtà che molti conoscono in prima persona: quanto il nostro mondo sia governato dall’ingiustizia e soprattutto come chi è retto, onesto e buono non solo non venga ripagato per questo, ma al contrario non venga nemmeno risparmiato dal subire ingiustizie e sofferenze di ogni genere.

È l’antica e sempre attuale questione della cosiddetta giustizia retributiva – se fai il bene ricevi il bene, se fai il male ricevi il male –, che fa acqua da tutte le parti. Sembra che l’unica strategia vincente sia quella della forza, del potere, dell’astuzia e del raggiungere i propri scopi a tutti i costi, noncuranti delle «vittime» che si seminano lungo la propria strada. L’eroe è quello che ha successo, che raggiunge il proprio benessere, che è potente e padrone di tutto e di tutti. Non si tratta di storie di fumetti, ma della realtà che abbiamo davanti agli occhi ogni giorno, magari semplicemente aprendo il giornale e leggendo i titoli del giorno.

A volte mi chiedo: ma questi «potenti» sanno che prima o poi dovranno morire anche loro?! Già, perché l’abbaglio più grande di chi pensa e agisce in questo modo è la propria onnipotenza, la noncuranza del «limite» che, in quanto creatura, lo attende al termine del viaggio. Forse allora, come per il ricco del Vangelo, il tempo per accorgersi che la ricchezza, il potere sono del tutto inefficaci contro l’ineluttabilità della morte, non sarà sufficiente e non ci sarà più possibilità di salvezza, almeno di auto-salvezza, dato che anche questa è un’illusione di potere.

Una cosa interessante, però, è il desiderio, espresso dal ricco ormai morto, che tale salvezza possa essere offerta ai suoi fratelli ancora in vita. Conosciamo già la risposta che Abramo gli dà – «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro» – e per un primo commento a riguardo rimando a questo link: bit.ly/4mDv71H.

Ma se riflettiamo ulteriormente sulla richiesta che il ricco fa ad Abramo, scopriamo che anche questa richiesta è «egoistica», riguarda solo la propria cerchia di familiari, i propri fratelli. Per ampliare lo sguardo c’è bisogno allora di andare alla prima lettura di questa domenica, alla denuncia che il profeta Amos fa. Una denuncia, anche questa, che riguarda la diseguaglianza sociale tra poveri e ricchi, ma non solo; perché si tratta anche di un’accusa che esprime la cecità di queste persone, l’incapacità di vedere oltre il proprio orizzonte: «Della rovina di Giuseppe non si preoccupano».

Chi è Giuseppe e che cosa rappresenta? Giuseppe è il fratello odiato, di cui ci si vuole sbarazzare, perché agli occhi degli altri fratelli appare «altezzoso»: sicuramente intelligente, capace, ma soprattutto privilegiato dal padre, la cui predilezione viene vista come una detrazione di attenzione e di affetto nei loro confronti, qualcosa d’ingiusto, che genera odio e il conseguente desiderio di eliminare un «fratello» così diverso. Proprio per questo Giuseppe viene preso in ostaggio, messo in una buca, dimenticato e lasciato diventare preda e oggetto di vendita, come schiavo per degli stranieri.

Ma non curarsi di Giuseppe – mette in guardia il profeta – ha delle conseguenze gravi: «Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei dissoluti». Non c’è dunque, come dicevamo, solo un’ingiustizia sociale da combattere, un’ingiusta diseguaglianza tra ricchi e poveri, c’è anche qualcosa di più di cui bisogna prendere coscienza e che spesso è oltre la nostra ristretta visione. Chi sono i «Giuseppe» a noi contemporanei? Persone o categorie scomode, che è bene continuare a ignorare, che sarebbe meglio non ci fossero affatto, ma che in qualche modo servono da capro espiatorio per scaricare su di loro ogni nostra frustrazione e desiderio di vendetta; il tutto, magari, mascherato da buone intenzioni e giustificato dalla salvaguardia proprio di ciò che, invece, è la vera causa di rovina.

Ma la storia continua, e i lettori di Amos sanno che sarà proprio Giuseppe a salvare i suoi fratelli, oltre ovviamente al padre. Egli sarà in grado di sfamare loro, insieme a tutto il popolo egiziano, e assicurerà loro una serena permanenza in Egitto; tutto fino all’ascesa di un faraone senza alcun senso o conoscenza della storia pregressa, che vedrà come scomodi e pericolosi proprio i discendenti di Giuseppe e, a sua volta, cercherà di distruggerli, provocando così la propria rovina.

Rimane quindi aperta la domanda «chi sono i Giuseppe di oggi?». Ovviamente la risposta può essere molteplice e abbracciare diversi ambiti della nostra realtà, sia ecclesiale, che nazionale o internazionale; a voi le possibili risposte. Una cosa è certa: avere a cuore la «rovina di Giuseppe» è l’unico modo per evitare la propria rovina.

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