La gloria che solo l'amore riconosce
Il Vangelo di questa domenica inizia con l’uscita di scena di Giuda, un’uscita che indica un’intenzione ben precisa, che si attuerà con la consegna del Maestro alle autorità religiose del Tempio.

V domenica di Pasqua
At 14,21b-27; Sal 144 (145); Ap 21,1-5a; Gv 13,31-33a.34-35
Il Vangelo di questa domenica inizia con l’uscita di scena di Giuda, un’uscita che indica un’intenzione ben precisa, che si attuerà con la consegna del Maestro alle autorità religiose del Tempio. Tutto questo – l’uscita di Giuda e, soprattutto, ciò che questi farà – viene commentato da Gesù in questo modo: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito». Ma che cosa c’entra la glorificazione di Gesù con il suo essere tradito?
Per cercare di dare una risposta bisogna prima di tutto capire di che tipo di tradimento si tratti.
Giuda è uno dei discepoli di Gesù, è quindi uno che ha riconosciuto in Gesù il futuro Messia e, proprio per questo, ha scelto di seguirlo. Che l’idea messianica che ha spinto non solo Giuda, ma anche gli altri discepoli, a seguire il Maestro non fosse la stessa che invece Gesù aveva in mente, lo si capisce da tutta la narrazione evangelica. Anche Pietro, dopo aver detto che Gesù è il Messia – «Tu sei il Cristo» (Mt 16,16; Mc 8,9; Lc 9,20) – si rifiuta, di fatto, di accettare la visione messianica che il Maestro annuncia loro: «E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (Mc 8,31; Mt 16,21; Lc 9,22).
La reazione di Pietro infatti è un rifiuto di tale visione messianica: «Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo» (Mc 8,32); rifiuto che è ancora più esplicito nella versione di Matteo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai» (Mt 16,22). Non dimentichiamo, inoltre, che proprio per queste parole Gesù stesso lo definirà «satana» (Mt 16,23; Mc 8,31).
Ritornando quindi a Giuda, si può dire che la sua è di fatto una scelta politica, dettata dalla convinzione che Gesù non era il Messia che si aspettava, che la sua visione messianica non avrebbe prodotto gli effetti desiderati e, proprio per questo motivo, andava «tolto di mezzo».
La cosa interessante, a questo punto, è proprio il commento di Gesù: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato (…) Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito». La scelta di Giuda, le ragioni politiche e religiose – l’attesa messianica era una questione religiosa, di fede e non solo politica – apparentemente ragionevoli e propositive, diventano nelle mani di Dio il mezzo per manifestare la sua gloria e rivelare la gloria del «vero» Messia.
Ciò che viene escluso, consegnato, messo via, non riconosciuto, e che quindi è apparentemente non eletto, non «vincente», risulterà invece il «vero» Messia, non secondo le logiche umane, ma secondo la logica di Dio. E tutto questo nonostante le opposizioni di Giuda, il rinnegamento di Pietro e il dileguarsi di molti dei suoi discepoli proprio al momento della passione e della morte del Maestro.
Ai giochi politici e alle motivazioni di salvaguardia religiosa che inducono a rinnegare Gesù, Dio risponde con la manifestazione della sua gloria: ciò che è rifiutato dagli uomini verrà manifestato nella sua gloria. Quel tipo di «salvezza», politico-religiosa, non avrà esito positivo, ma di quel «visionario» perdente e destabilizzante rispetto a tutte le logiche di un buon governo, in cui regole e ragioni diplomatiche prevalgono, se ne parla ancora oggi e in maniera viva.
Il passaggio successivo che Gesù fa, inoltre, è offrire ai suoi l’unico vero metro di giudizio capace di discernere il «vero» messia, l’unica vera logica, quella dell’amore: «Che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». E sarà proprio questa la domanda che porrà a Pietro, dopo la manifestazione della sua gloria: «Pietro mi ami tu più di queste cose?».
La logica dell’amore infatti ci impone uno sguardo diverso, uno sguardo che va oltre i criteri umani, uno sguardo che sa osare, sa rischiare, sa essere fedele, sa ascoltare. Amare significa avere a cuore la vita, il benessere, la felicità dell’altro, significa desiderare che l’altro viva in pienezza, ma significa anche rispettare, accogliere, cercare di comprendere le ragioni che l’altro ha, la sua visione; e se vogliamo rimanere in ambito religioso il suo sensus fidei.
Proprio a questo proposito mi viene in mente un’altra immagine, anch’essa evangelica. Pietro non è l’unico ad aver riconosciuto apertamente Gesù come Messia. Il Vangelo di Giovanni ci parla di un’altra persona che lo ha fatto, e questa volta si tratta di una donna, Marta: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo» (Gv 11,27).
Marta e le altre donne che seguivano Gesù ed erano sue discepole non lo hanno tradito e, stando a quanto i Vangeli riportano, non si sono dileguate al momento della sua passione e morte. Il loro amore fedele le ha spinte a recarsi al sepolcro di buon mattino, a ricevere l’annuncio della sua risurrezione, a vivere l’esperienza dell’incontro con il Risorto e a diventare le prime annunciatrici del suo Vangelo.
La loro testimonianza all’interno della comunità, sebbene se ne parli solo brevemente e con pochi accenni, non risulta essere conflittuale, ma di autentico servizio. Più e prima che ad extra, la Chiesa ha bisogno oggi di vivere un autentico spirito di amore ad intra, un amore che non sia diviso per «caste» o categorie, ma che si manifesti come seria e vera accoglienza, come riconoscimento dell’altro/dell’altra, a pari grado, a partire da ciò che costituisce il fondamento della comunità ecclesiale: il proprio battesimo.