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La fecondità di un giusto

IV domenica di Avvento

Is 7,10-14; Sal 23 (24); Rm 1,1-7; Mt 1,18-24

Di solito l’immagine popolare di Giuseppe è quella di un uomo mite, forse anche troppo, abbastanza passivo e remissivo, che in certo senso «subisce» quanto sta accadendo nella sua vita. In realtà se ci si sofferma a riflettere sulle poche ma importanti espressioni che lo ritraggono, si possono scoprire alcuni aspetti della sua persona e della sua vicenda che non solo gli restituiscono spessore, ma ci aiutano a riflettere.

Un primo aspetto riguarda il suo essere «giusto»: «Poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto». Matteo, nel suo Vangelo, usa il termine «giusto» solo nei riguardi di Giuseppe, Abele e Gesù (Mt 1,19; 23,35; 27,17). Che cosa hanno in comune queste tre persone? 

Il termine «giusto», nel suo uso biblico, indica qualcuno che vive una giusta relazione con Dio (cf. Rm 1,17), che è innocente, che è in sintonia con ciò che Dio richiede, che osserva la sua Parola. 

Ora se osserviamo i personaggi a cui è rivolto questo termine, troviamo che per Abele la definizione di giusto si riferisce particolarmente alla sua innocenza, in Giuseppe rivela il suo essere in relazione con Dio attraverso l’ascolto della sua Parola, l’attenzione a quanto gli capita, e, persino, la disponibilità a credere in un sogno. In Gesù, infine, l’essere «giusto» trova il compimento perfetto: egli è l’innocente per eccellenza, senza macchia, rivelatore del volto del Padre, verbo di Dio incarnato.

Abbiamo detto che uno degli aspetti dell’essere giusto è l’osservanza della parola di Dio, il che per un ebreo di quel tempo equivaleva all’osservanza della Torah in tutte le sue prescrizioni, tra cui anche come comportarsi in caso di adulterio: «Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno esser messi a morte»(Lv 20,10).

Ora, Giuseppe si trova proprio di fronte a questo problema: da una parte, come dice il testo, «era un uomo giusto», quindi rispettoso delle prescrizioni della legge, ma dall’altra «non voleva ripudiare» Maria pubblicamente, cioè consegnarla alla lapidazione con l’accusa di adulterio, dato che già l’essere «promessa sposa» costituiva, nel mondo ebraico, un vincolo matrimoniale. Trova così una via di mezzo: ripudiarla «in segreto». È un bell’esempio di come la giustizia non può essere senza misericordia.

Un ulteriore aspetto riguarda proprio quanto Dio chiede a Giuseppe: non solo non deve ripudiare Maria, contravvenendo alla legge, ma deve assumersi la paternità di un figlio non suo e che l’angelo attribuisce allo Spirito Santo. Inoltre, non avrà diritto neanche sulla scelta del nome, dovrà chiamare il bambino Gesù, a indicare l’identità messianica del nascituro: «Egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Quanto Dio gli sta chiedendo, in un sogno, è quindi: di trasgredire la legge, accogliendo Maria; di rinunciare a generare un figlio, dato che in segreto intende ripudiarla; di rinunciare così alla propria paternità e cedere il posto al vero Padre anche nella scelta del nome. È il primo atto di collaborazione al piano salvifico di Dio, in cui vi è anche una dimensione di morte. Una morte non visibile, ma nascosta, intima. 

Rinunciare a generare, non avere dei figli propri, per la mentalità ebraica è in un certo senso essere già morti, dato che la vita di colui che si è generato è in un certo qual modo un continuare a rimanere in vita anche dopo la propria morte. Inoltre – e qui il paradosso diventa sempre più grande – Giuseppe è di discendenza davidica e il messia che il popolo aspettava doveva nascere dalla stirpe davidica. 

Giuseppe, quindi, non solo deve rinunciare ad avere figli, ma deve anche rinunciare a essere il potenziale «generatore» del Messia. Se Maria sarà chiamata a rinunciare alla sua maternità ai piedi della Croce, Giuseppe dovrà rinunciare alla sua paternità qui, all’inizio dell’incarnazione. Ma proprio questa sua rinuncia sarà ciò che gli permetterà di collaborare non solo all’incarnazione, ma a tutto il compimento della storia di salvezza. 

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