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«Insegnava loro molte cose»

 

 

 

XVI domenica del tempo ordinario

Ger 23,1-6; Sal 22 (23); Ef 2,13-18; Mc 6,30-34

L’annuncio della buona Novella, se autentico, richiede molte energie, soprattutto perché apre il cuore e la mente a coloro che lo ricevono, dona speranza, pace e libertà e le persone sembrano non essere mai sazie di tutto questo.

È ciò che Gesù e i suoi discepoli sperimentano: per loro non c’è tregua, la gente li rincorre, desidera stare lì con loro e ascoltare le parole del Maestro. Ma umanamente c’è bisogno anche di uno stacco, di un tempo di riposo, di tranquillità, così Gesù cerca di trovare un luogo dove possa riposarsi con i suoi: «“Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”. Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare». 

Ma a quanto pare il suo tentativo fallisce, perché Marco ci dice che «molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero». Tutto questo muove Gesù che, «sceso dalla barca, vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose».

Dietro a quest’ultima espressione c’è un messaggio molto preciso, che credo sia ancor oggi non solo attuale ma anche molto importante. 

Agli occhi di Gesù le persone che lo cercano, che desiderano ascoltarlo, sono come «pecore senza pastore», cioè non hanno punti di riferimento, non hanno guide che siano veramente tali. Detto in termini più moderni, il loro bisogno di spiritualità, di ricerca di senso, non trova risposte adeguate, capaci di riempire il loro vuoto.

E questo è un primo punto che dovrebbe farci riflettere: al tempo di Gesù non mancavano di certo un’istituzione religiosa, il Tempio, i riti, le feste religiose, tutto questo era presente e anche partecipato. Le persone osservavano il calendario liturgico, frequentavano le sinagoghe e, per quanto possibile, si recavano per le feste di pellegrinaggio a Gerusalemme, nel Tempio. Ma, a quanto pare, non bastava; c’era bisogno di qualcos’altro, che nel testo di Marco viene ben esplicitato: «Insegnare loro molte cose». 

La vita spirituale, la dimensione di fede, non ha solo bisogno di partecipazioni liturgiche, di osservanza di «regole», ma anche e principalmente di «formazione», di conoscenze. La fede necessita di per sé di essere un atto libero, responsabile e consapevole e va quindi alimentata da tutto ciò che permette a ogni persona di crescere nella propria responsabilità e consapevolezza per aderire costantemente nella libertà al proprio credo. E proprio per questo nell’attività messianica di Gesù l’insegnamento occupa un posto di rilievo. Le «pecore», infatti, non solo hanno bisogno di un «pastore» ma, come scrive Giovanni nel suo Vangelo, devono essere in grado di riconoscere la sua voce e di distinguerla da quella dei «ladri e dei briganti» (Gv 10). 

Anche oggi la sete di spiritualità, la ricerca di senso sono domande ancora vive, aperte mentre, diversamente che al tempo di Gesù, le nostre chiese sono sempre più vuote e la partecipazione ai riti sempre più esigua; ma soprattutto si nota una sempre più crescente ignoranza religiosa: la gente non conosce, non sa e – ed è questo l’aspetto più drammatico – non sa di non sapere. Nel buio più totale prevalgono due atteggiamenti apparentemente opposti, ma il cui risultato è equivalente: ci si attacca alle devozioni, ai «rituali», pensando che l’esercizio della propria fede si «compia» nell’osservanza di tali azioni; oppure si «cade» nell’oblio più profondo di chi non solo non sa ma, come già detto, non sa neanche più di non sapere.

A questo punto una domanda: quanto si sta investendo sulla formazione, sull’insegnamento? E forse qui andrebbe fatta una sottolineatura: non si sta parlando di catechesi, ma di formazione, di insegnamento. Non si tratta tanto di trasmettere qualcosa – delle «verità» – ma di offrire qualcosa o, come dice il testo evangelico, di «insegnare».

Che cosa caratterizza un «insegnamento»? Facciamo un esempio banale: «insegnare» a leggere non significa trasmettere ciò che ho letto, ma rendere qualcuno capace di leggere. La vera trasmissione del sapere è rendere l’altro capace di «sapere», ovvero di conoscere, e quindi di discernere, di fare scelte libere, responsabili e consapevoli; in ultima istanza, di credere.

Ecco perché Gesù non era mai stanco di «insegnare loro molte cose». Certo, il fatto di avere «pecore» istruite comporta anche il rischio che siano in grado di «riconoscere» il loro «pastore» e di prendere le distanze dai «ladri e briganti»; ma non mi sembra che l’alternativa abbia prodotto frutti «vitali».

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