b
Blog

Il Regno è vicino

III domenica del tempo ordinario

Is 8,23b-9,3; Sal 26 (27); 1 Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23

L’inizio dell’attività pubblica di Gesù coincide con l’uscita di scena di Giovanni il Battista, che viene arrestato dal tetrarca Erode Antìpa. Matteo infatti racconta: «Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare».

In questi due versetti ci sono due passaggi importanti. Il primo è che «Gesù si ritirò nella Galilea», segno che prima non era in quella regione; infatti precedentemente Matteo lo colloca nel deserto di Giuda, luogo centrale della predicazione del Battista. Il secondo passaggio è che «lasciò Nàzaret», che in realtà si trova in Galilea, per cui questa espressione indica non tanto il villaggio in quanto tale, ma ciò che Nàzaret rappresenta, ovvero il suo clan, la sua famiglia, una realtà sociale di appartenenza.

L’arresto di Giovanni rappresenta quindi per lui quasi un «segnale» che è arrivato il suo momento di agire, di prendere l’iniziativa. Al contrario del cugino, non sceglie il deserto di Giuda, un luogo denso di spiritualità messianica di carattere anche apocalittico, se pensiamo che nel deserto di Giuda vi era anche la comunità essena di Qumran (secondo una delle ipotesi più accreditate dal punto di vista archeologico). Gesù sceglie come ambito geografico della sua predicazione la Galilea, e Matteo giustifica questa scelta con la citazione di Isaia: «Perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti!».

L’espressione «Galilea delle genti» (in ebraico gelil haggoyim) presenta in realtà diverse possibilità di traduzione, come ad esempio «la curva dei goyim», oppure «la regione dei pagani» o, infine, «il distretto delle genti». In tutti questi casi, comunque, l’idea è quella di una zona di confine, da una parte, e dall’altra di una zona attraversata dalla «via del mare», cioè dalla strada principale che dall’Egitto, prima lungo la costa e poi all’altezza della catena del Carmelo verso l’interno, saliva verso nord, per raggiungere Tiro e Sidone, o piegava verso est, costeggiando il lago, verso Damasco e oltre.

Gesù dunque sceglie di «abitare a Cafàrnao», ovvero in un villaggio prevalentemente di pescatori, sulle rive del lago e molto vicino al passaggio, appunto, di questa «via del mare». Luogo dunque trafficato per un verso, ma anche di confine, per un altro; sicuramente poco importante dal punto di vista religioso, data la sua distanza da Gerusalemme e dal Tempio. In realtà, però, Cafàrnao è solo un «campo base», dato che la scelta di Gesù è quella di essere un rabbi itinerante, che attua la sua predicazione di villaggio in villaggio: «Convertitevi perché il regno di Dio è vicino».

All’invito del Battista alla conversione, Gesù aggiunge la prossimità del Regno, l’imminente avvento del regno di Dio. Ed è proprio quest’ultimo elemento che connota il suo annuncio come messianico; un annuncio che poteva essere inteso da un punto di vista non solo religioso e sociale, ma anche politico, dato che una delle prospettive messianiche era quella della liberazione del popolo dal dominio romano e la restaurazione del regno davidico. Ovviamente, come anche i fatti dimostrano, non era certo questo il senso che Gesù dava all’espressione «il Regno è vicino», ma oggi come allora rimane aperta la domanda: in che cosa consiste il regno di Dio?

Certo, sono tanti i passi evangelici che descrivono questo Regno e ci indicano le modalità di appartenenza o meno a esso. Modalità che, credo, siano ancora oggi valide e attuabili. Forse ciò che manca è da una parte la consapevolezza che questo Regno è già in mezzo a noi, e dall’altra, di conseguenza, il desiderio di appartenervi fin da ora. Cercare il Regno, abitare il Regno, vivere il Regno, annunciare il Regno, riconoscere il Regno è il senso ultimo dell’esistenza terrena di ogni credente, di chi ha il coraggio e la lucidità costante di «lasciare le reti» che lo imprigionano nelle dinamiche dei regni terreni, nei fili intrecciati di potere, gloria, denaro. Reti che aggrovigliano tutti, dal più piccolo al più grande, che come tenebre ricoprono ogni luogo e istituzione ma che, indipendentemente da noi, non potranno mai prevalere sulla «luce» che rifulge.

Ed è forse questa la bellezza della nostra speranza: il Regno «non è di questo mondo» (Gv 18,36) e il mondo non può né distruggerlo, né tanto meno eliminarlo.

Lascia un commento

{{resultMessage}}