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Il programma di Gesù

IV domenica del tempo ordinario

Ger 1,4-5.17-19; Sal 70 (71); 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30

Un attimo di sospensione e uno sguardo stupito: coloro che sono nella sinagoga, dopo la prima lapidaria affermazione (Lc 4,21), sono catturati dalle «parole di grazia» (epi tois logois tes charitos, v. 22) pronunciate da Gesù – parole che ci piacerebbe certamente conoscere. 

Qualcuno interpreta questa espressione come un riferimento al Sal 45,3, ma è più probabile che si tratti di un semplice genitivo che, alla maniera ebraica, ha funzione di aggettivo: parole di grazia, ossia belle, gradevoli, interessanti, portatrici di qualcosa di importante (Nolli). Ciò che per noi è ellittico è invece manifesto per i presenti, che reagiscono con stupore alle parole, che in un primo momento non vengono contestate, mentre si solleva il dubbio sull’identità di colui che parla. 

È questo un indiretto richiamo al v. 16: a Nazaret Gesù era stato «nutrito» (tethrammenos) sia in senso proprio sia nel senso della sua formazione, e si sapeva non solo chi fosse, ma anche come e da chi fosse stato educato (cf. Lc 2,39.51), il che fa pensare a una normale scuola di paese. Lo scarto tra quello che è noto e quello che si manifesta provoca quanto meno sconcerto, al quale Gesù risponde con un ironico proverbio (parabole, che traduce mašal, v. 23), forse più familiare a noi che all’uditorio. Nella tradizione rabbinica infatti l’immagine del medico è rara, e nel Primo Testamento l’unico testo che parli di medico e medicina è Sir 38,1-14, e lo fa senza ironia, anzi elogiandone la presenza e l’operato. 

Inoltre Gesù allude a cose compiute a Cafarnao, di cui non sappiamo nulla. L’unico riferimento potrebbe essere Lc 4,14. 

In breve, l’evangelista gioca sull’ellissi e sul non detto, lasciando a chi legge lo spazio per ricostruire ciò che accade.

Segue un secondo proverbio, anche se tecnicamente non è denominato così (v. 24), o per lo meno un’affermazione che è diventata proverbiale. Essa ha radici molto lontane, perché evoca tutte le persecuzioni a cui sono stati sottoposti i profeti, ma è significativa anche per l’identità di Gesù e per il suo destino. 

A differenza del detto precedente, questo è pronunciato con un’apertura solenne (amen lego umin), ripresa al v. 25 (ep’ aleteias de lego umin), introducendo due episodi del ciclo di Elia e di Eliseo rispettivamente (1Re 17,8ss e 2Re 5,1-14), nei quali i due profeti hanno operato con stranieri – Elia addirittura fuori della terra d’Israele –. 

Secondo alcuni questa sarebbe una prima allusione universalistica alla missione di Gesù, ma è probabile che a scatenare l’ira dell’uditorio non sia questo eventuale accenno, quanto il fatto che colui che è cresciuto tra loro e di cui sanno tutto, dopo essersi per così dire «appropriato» degli oracoli di Isaia, si appropri anche di queste due figure profetiche. 

La reazione degli astanti è simile a quella che si verifica per una blasfemia. La loro violazione del sabato è palese. Ma, ancora una volta, il lettore è preso alla sprovvista (v. 30). 

L’ultimo verbo «si mise in cammino» dopo essere passato in mezzo agli aggressori (autos de dielthon dia mesou auton eporeueto) ha un colore di normalità difficile da pensare in una scena di linciaggio. Normalmente da fatti di violenza simili si cerca scampo con fughe tanto avventurose quanto improbabili, non semplicemente andandosene via. Pare invece, stando a Luca, che Gesù riprenda il suo andare in maniera del tutto consueta. 

Dopo l’annuncio e la dura reazione di rifiuto è come se non fosse successo nulla: Gesù non è condizionato dal rifiuto e neppure assume un atteggiamento di eroico sdegno, semplicemente prosegue per la sua strada. Il verbo poreuomai, «andarsene», «partire», sembra avere qui un significato tecnico. Indicherebbe non un semplice spostamento, ma il procedere di Gesù ordinato al portare avanti la sua missione di annuncio.

L’anno di grazia (Lc 4,19) è cominciato, così come è cominciata la scomposta reazione alla sua proclamazione, che tuttavia non ferma il cammino dell’anno di grazia stesso in mezzo agli uomini.

Ritroveremo infatti Gesù a Cafarnao (Lc 4,31), di nuovo di sabato e di nuovo, inizialmente, in sinagoga. La parola si diffonde nello spazio e nel tempo nonostante il rifiuto degli uomini.

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