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Il pane della Parola

Corpus Domini

Gen 14,18-20; Sal 109 (110); 1Cor 11,23-26; Lc 9,11b-17

Il cibo è un tema che attraversa tutta la rivelazione biblica. Lo si incontra subito alla fine del primo capitolo della Genesi: dopo la creazione di tutti gli animali e dell’essere umano, il Signore dona loro ciò che permetterà a ogni essere vivente di rimanere in vita: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde» (Gen 1,29-30).

L’essere umano, a sua volta, esprime la sua venerazione e dipendenza da Dio attraverso il dono del cibo; esempio primo di una lunga serie è proprio l’offerta che i primi due fratelli, Caino e Abele, fanno al Signore: «Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso» (Gen 4,3-4). Alla base di questo gesto vi è certamente il riconoscimento dell’essere creature, ovvero del fatto che la vita sia un dono; in questo senso l’offerta del cibo, di ciò che appunto permette di rimanere in vita, è un modo per esprimere la consapevolezza di questo dono.

Ecco allora che l’atto di offrire del cibo, sia sacrifici di animali o doni di prodotti agricoli, viene a essere un elemento fondamentale del culto e dell’azione liturgica del credente. Ma offrire del cibo significa anche desiderare di entrare in comunione con l’altro, cibandosi proprio dello stesso alimento. Il libro del Levitico dedica alcuni capitoli proprio alla descrizione dei vari riti sacrificali e tra questi si trova il sacrificio di comunione (zebach shelamim), dove una parte dell’animale presentato è destinata all’offerta in olocausto al Signore, una parte spetta ai sacerdoti, mentre una terza parte viene consumata dall’offerente con i suoi familiari e i suoi amici nel corso del banchetto sacro.

La stessa Alleanza del Sinai viene sigillata con un banchetto alla presenza del Signore: «Essi videro il Dio d’Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffìro, limpido come il cielo. Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e poi mangiarono e bevvero» (Es 24,10-11). Nella tradizione rabbinica si legge: «Non c’è pane senza Torah e non c’è Torah senza pane». Proprio per questo, se il primo dono di Dio è il cibo, perché l’essere umano possa continuare a vivere, il suo secondo dono è la sua Parola, perché la vita dell’uomo possa essere in comunione con lui.

Parola e pane (cibo) sono dunque fondamentali e inscindibili perché l’esistenza umana raggiunga pienamente il suo senso, il suo orizzonte ultimo: la comunione con Dio. Non solo: l’ascolto della Parola, come la condivisione del cibo, genera una condivisione di vita, un legame che va oltre le singole esistenze.

Nella scena che il Vangelo di oggi ci presenta ritroviamo questi due elementi: Gesù insegna alle folle, spezza per loro la Parola del Padre e si preoccupa che abbiano pane per mangiare, proprio perché quella condivisione di ascolto diventi anche comunione di vita. Anzi, invita proprio i suoi discepoli a far sì che tale comunione sia vera: «Date voi stessi da mangiare», dove l’invito è quello di diventare cibo per gli altri, a partire proprio dalla condivisione di ciò che avevano per mangiare, ovvero per mantenersi in vita.

E il dono condiviso fa sì che ciò che era sufficiente per pochi diventi abbondanza per tutti: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste».

Siamo partiti dal dono del cibo che Dio fa all’essere vivente per passare al desiderio del credente di condividere il cibo con la divinità (l’atto di offrire del cibo a una divinità non è una prerogativa solo della tradizione biblica). Il cibo poi, come si è visto, non è da solo sufficiente perché la comunione con Dio sia piena: nell’Alleanza vi è il dono della sua Parola, poiché «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Dt 8,3; Mt 4,4 e par.).

Cibo e Parola diventano dunque inscindibili e vengono a costituire, in un certo senso, l’unica mensa. Non è un caso, infatti, che nella tradizione ebraica, dopo la distruzione del Tempio, l’altare sacrificale sia ora la tavola. Ma che cosa avviene se colui che è Parola del Padre si fa anche cibo?

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