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Il gender e le sue tre vite

«Ogni epoca – secondo Heidegger – ha una cosa da pensare. Una soltanto. La differenza sessuale, probabilmente, è quella del nostro tempo».[1]

Se questo è vero – come crediamo – allora non è fuori luogo andare oltre le polemiche che animano il dibattito sulla questione e dedicare la nostra attenzione allo studio del gender, che non è una teoria o un’ideologia, ma piuttosto uno «strumento euristico» impiegato da varie discipline per indagare le relazioni tra uomini e donne, mettendo in luce le relative strutture di potere presenti nelle culture e nelle società.

All’incrocio tra natura e cultura

La sua nascita è solitamente attribuita agli studi di A. Ellis, J. Money e dei coniugi Hampson (anni Cinquanta del XX secolo), i quali contribuirono a mettere in luce che non è il sesso biologicamente determinato, ma l’identità di genere culturalmente plasmata è la vera «àncora della nostra salute emozionale, presente nell’amore e nel gioco, nei rapporti con gli altri».[2]

In tal modo si cominciò a superare un paradigma esclusivamente biologico dell’identità sessuale in favore di una comprensione più ampia, integrando variabili psicologiche, sociali e culturali. Da ciò risulta chiaro che l’identità sessuale si pone all’incrocio tra natura e cultura, per cui il «dato» (sex) biologico risulta essere sempre anche un «da farsi» (gender), un progetto da realizzare e, dunque, un compito educativo ed etico, che coinvolge la libertà di più attori e il cui esito non è scontato, né preordinato.[3]

Critica delle strutture patriarcali

La giovane «creatura» venne successivamente adottata dal movimento femminista, che a partire dalle capostipiti – le antropologhe M. Mead e G. Ruby, e la filosofa S. De Beauvoir – ha messo in discussione l’immagine tradizionale della donna e dell’uomo. Il gender ha permesso di riconoscere che paradigmi mentali e schemi d’azione, tradizioni e costumi sono il prodotto di una storia nella quale si coniugano scelte operate dalle persone e accompagnate da pesanti condizionamenti segnati dalla logica del dominio e della prevaricazione, da violenze e ingiustizie che negano il senso autenticamente relazionale dell’esistenza umana.

Differenze e i ruoli di genere, dati per scontati, spesso presentati come necessari e immutabili, al contrario vanno sempre contestualizzati e va riconosciuto che per lo più veicolano pregiudizi, che nella tradizione occidentale sono di carattere fortemente maschilista. Essi si configurano come strutture di peccato capaci di sfigurare il progetto originario di Dio sulla donna, sulla coppia e sul mondo.[4] Contro di essi è giusto lottare e impegnarsi per favorire il riconoscimento delle reciproche differenze e stabilire relazioni paritarie improntate al rispetto e alla collaborazione.

Preservare e accogliere la differenza

Un’ultima fase storica – può essere chiamata post-gender (o forse anche trans-gender!) – vede l’appropriazione della categoria da parte della riflessione LGBT, improntata alla decostruzione della dualità e volta a negare la rilevanza della differenza.

Eliminando ogni riferimento a schemi sociali ed educativi, l’identità personale diviene un’opzione privata, insindacabile e sempre reversibile. In questa deriva di tipo ideologico la corporeità è spesso ridotta a semplice «superficie di iscrizione di significati provvisoriamente apposti e intercambiabili, senza riferimento ai sensi o al processo identitario».[5]

Di fronte al rischio di disincarnare il soggetto e di dematerializzare la corporeità, ci sembra urgente la necessità di proporre modelli di convivenza che non neghino, ma riconoscano le differenze, le valorizzino e le compongano armonicamente, secondo logiche di accoglienza empatica e di convivialità sinfonica, come ci ricorda il modello poliedrico della Pentecoste (At 2,6-11), opposto al totalitarismo massificante dell’uniformità imposta secondo la logica di Babele (Gen 11,1-9).[6]

Come s’intuisce, è solo attraverso un discernimento attento e non ideologico della categoria del gender che i cristiani possono partecipare attivamente nella costruzione di un’umanità nuova, opponendosi a tutti gli schemi di sottomissione ed emarginazione, per promuovere relazioni umane risanate dalla forza redentrice di Cristo, nel quale «non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio né femmina» (Gal 3,28).

 

Giovanni Del Missier è docente dell’Accademia alfonsiana di Roma.

 

 

[1]    L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985, 11.

[2]    J. Money, P. Tucker, Essere uomo, essere donna. Uno studio sull’identità di genere, Feltrinelli, Milano 31989, 6.

[3]    Cf. Congregazione per la dottrina della fede, lettera Esperta in umanità sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, 31.5.2004, n. 8.

[4]    Cf. Giovanni Paolo II, lettera A ciascuna di voi alle donne di tutto il mondo, 29.5.1995, nn. 3; 6.

[5]    S. Zanardo, «Gender e differenza sessuale. Un dibattito in corso», in Aggiornamenti sociali 65 (2014) 380.

[6]    Cf. Francesco, esort. ap. Evangelii gaudium sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, 24.11.2013, n. 236.

Commenti

  • 10/11/2021 Vito Angelini

    Grazie per questo studio e per il forte contenuto dello stesso! Credo sia giusto poter vivere tutte le situazioni che si presentano leggendole in questo tempo particolare che viviamo. La relazione è una esigenza della persona che pa porta a realizzarsi e ad uscire da se. Perché i gender non possono sentirsi a proprio agio? Sono persone! E il dato fondamentale è che prima di pensare, avere qualsiasi pregiudizio è necessario ricordare a se stessi che quella che ho difronte a me è una persona con tutta la dignità, l'unicità che le appartiene. In passato sono caduto anch'io in pregiudizi e precomprensioni che non m'hanno portato a nulla. Ora sono felice di aver compreso quanto sia importante accogliere tutti in primis nel proprio cuore in quanto persona e nella nostra fratello in Cristo e poi nella relazione che ne nasce e che con il bene, l'affetto cresce. Grazie ! Vito Angelini

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