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Il finale che spiega tutto

Santissima Trinità

Dt 4,32-34.39-40; Sal 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20

Come quasi sempre, è il finale del racconto che dà ragione di tutto, non solo di quanto lo precede, ma anche, eventualmente, di quanto seguirà nella vita del lettore. O, almeno, così accade nel Vangelo secondo Matteo.

          Le apparizioni del risorto narrate dagli evangelisti sono accomunate da un elemento: l’incredulità, o comunque una reazione non proprio positiva. Si parla di paura per le donne, nel finale originario di Marco (16,8); di dubbi e incredulità degli apostoli e discepoli in Luca (24,11.38); del dubbio del solo Tommaso in Giovanni (20,25).

          Matteo ci presenta un finale ricco e composito che, appunto, rende ragione di quanto precede e di quanto seguirà.

          C’è una solenne promessa da parte del risorto di essere coi suoi (idou ego meth’umon, v. 20), che rimanda al nome rivelato a Giuseppe (Emmanouel…meth’emon o theos, 1,23), collegando la fine con il principio.

          Egli è con, e questo è il senso della sua vita con gli undici: stare con gli uomini, con il suo popolo, con loro, realizzando la parola di Is 7,14 e testimoniando il Dio sempre presente dell’Esodo (cf. Es 3,14).

          Neppure promette che verrà presto, come accade in Ap 22,7, semplicemente rimane per tutta la durata del tempo. Del tempo, oltre che del mondo.

          Il termine aion infatti riprende un importante elemento dell’apocalittica giudaica, che vedeva confrontarsi due aiones, o, in ebraico, due ῾olam: questo mondo (ha῾olam hazeh), come mondo dell’ingiustizia, e il mondo futuro (ha῾olam haba’), quello che viene, in cui regneranno invece la giustizia, la pace e tutti i beni. Aion ha un significato sia temporale (saeculum – che passa poi nell’eucologia), sia spaziale, parallelo a kosmos, come l’ebraico ῾olam. L’opposizione, in realtà, è tra visibile e invisibile.

          Nel rabbinismo il senso temporale pare prevalente: il Risorto resta dunque fino alla fine di questa realtà spazio-temporale visibile in cui gli undici si trovano e anche noi ci troviamo.

          Questa compagnia costante del Kyrios deve rassicurare quelli di loro che sono titubanti, perché anche per Matteo l’apparizione del Risorto è accompagnata da qualche riserva. C’è chi si prostra e qualcuno che dubita, non nel senso di un dubbio cogitativo, e neppure di un rifiuto di credere, ma di un’incertezza. Chiunque pensa infatti è soggetto a incertezze. Qui viene usato un verbo raro: distazo, che compare ancora solo in Mt 14,31, allorché Pietro, titubante e insicuro, affonda nell’acqua.

          Più che un dubbio è semmai la condizione dell’oligopistos, dell’uomo di fede fragile e scarsa, il tentennante. Il termine è amato da Matteo e usato, praticamente solo da lui, eccetto che da Lc 12,28.

          Con questo dubbio si rende ragione di quanto accadrà dopo: la comunità non sarà fatta solo di forti e sicuri credenti, né sarà sempre salda nella fede. La oligopistia (cf. Mt 17,20) la accompagnerà e la Chiesa dovrà fare i conti con questa condizione.

          A questa gente incerta viene tuttavia dato un compito: poreuthentes oun matheteusate, «andando dunque fate discepoli» (28,19), dove il termine marcato non è quello della partenza, risolta con un semplice participio, ma l’imperativo «fate discepoli», seguito da altri due participi: «battezzando» e «insegnando» (didaskontes, v. 20), con i quali si traccia una specie di programma operativo dal primo annuncio, al battesimo, alla catechesi su ciò che il Kyrios stesso ha comandato.

          Il compito è senz’altro sproporzionato per la gente malferma a cui è affidato. Unica garanzia è l’Io sono con voi, il nome antico del Risorto che prende adesso il significato di una promessa compiuta.

          Il finale di Matteo ricapitola dunque le tematiche principali del Vangelo, tra il realismo che annota l’umana debolezza nella fede e la certa affermazione della costante presenza del Risorto nella sua Chiesa fino al compimento dell’eone visibile (sunteleia aionos), quando verrà la grande cernita.

          Sunteleia aionos, «compimento dell’eone»: questi stessi termini, nello stesso nesso grammaticale, compaiono infatti anche in Mt 13,39.49, 24,3, proiettando sul c. 28 la luce del giudizio ultimo.

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