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I misteri del Regno

XVI domenica del tempo ordinario

Sap 12,13.16-19; Sal 86 (85); Rm 8,26-27; Mt 13,24-43

Seguitando a leggere il discorso in parabole di Gesù secondo Mt 13,24-35, troviamo tre piccole parabole che riprendono ed esplicitano tematiche precedenti.

Grano e zizzania, granello di senape e lievito parlano di attesa e giudizio, morte vivificante e crescita secondo la logica del Discorso della montagna e delle opere del messia, svelando «cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».

La citazione è del Sal 72,8, che il titolo attribuisce ad Asaf, cantore e padre – ossia «maestro» – di cantori, associato a David, e «veggente» del re (cf. 1Cr 16,5; 2Cr 29,30, 35,15; Ne 12,46). Il redattore matteano lo chiama «profeta», ma in realtà l’impressione è che per Matteo tutte le Scritture ebraiche abbiano tono e ruolo profetico, perché non perde occasione di farne notare il compimento. Ora il versetto in questione, in ebraico, suona «voglio aprire in mašal la mia bocca, svelare enigmi dei tempi antichi» – da dove si vede la motivazione della citazione dato che il salmista parla in mašal come Gesù parla in parabole. La citazione però proviene dal testo greco dei LXX, che suona «aprirò in parabole (en parabolais) la mia bocca proclamerò problemi [esistenti fin] dal principio (ap’ arches)». I LXX danno quindi una loro interpretazione di cosa sia «antico»: «antico» è qualcosa che rimanda al «principio». Matteo interpreta a sua volta questo «principio» esplicitando che si tratta di «cose nascoste dalla fondazione del mondo» (13,35).

Ciò che fonda tutto fin dal principio è il mistero del Regno (cf. 13,11), che non può essere detto se non in parabole. Esse non devono essere parafrasate o allegorizzate, ma interpretate alla luce dell’intera storia della salvezza e in particolare della professione di fede di Israele.

L’espressione kekrymmena apo kataboles [kosmou], oltre ad aver ispirato in tempi recenti il pensiero di R. Girard, ci rimanda a un’espressione paolina: «Parliamo invece di una sapienza di Dio (theou sophian, senza articolo) che è nel mistero (en mysterio), che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria» (1Cor 2,7). L’apostolo si riferisce, come sappiamo, alla sapienza della croce, luogo di salvezza che estende a tutte le genti l’alleanza d’Israele; l’inizio di questa sapienza è nella creazione, ma soprattutto nella fede di Abramo il giusto. È con una fede non diversa dalla sua, sottoposta a dure prove (Abramo ne affrontò dieci, secondo il midraš) che si può accedere a una sapienza nascosta, non nel senso esoterico, ma in quanto ferma, provata e in costante ricerca.

Le tre parabole insistono poi sullo scarto e la sproporzione tra realtà diverse, e sulla necessità di discernere.

Tre misure di farina (sata), per esempio, sono più di un quintale ed è improbabile che una donna per l’uso familiare impasti una tale quantità. Essa però corrisponde a quella usata da Abramo e Sara (cf. Gen 18,6 šüloš sư̈im) accogliendo i tre ospiti «nell’ora più calda del giorno» (Gen 18,1): questa sproporzione è lo spazio della fede.

Si va dal piccolo seme al grande albero, da poche persone a un cibo fuori misura. Inoltre bisogna considerare il tempo di attesa tra semina e mietitura, con l’incognita di un nemico che, rispetto a un padrone rispettoso della Torah che vieta di seminare semi diversi (cf. Lv 19,19), semina addirittura un’infestante.

Se la prima parabola (13,24-30) insegna l’arte dell’attendere e del resistere al male fino al giudizio, le altre due dicono che il compimento supera sempre la promessa per chi, come Abramo, gioca tutto sulla fede.

Il vero problema per il credente è appunto duplice: resistere al male e perseverare nella fede senza cercare accomodanti teodicee. Giobbe ci ricorda che Dio non ha bisogno di chi lo difenda o lo giustifichi, ma semplicemente di chi creda nella segreta sapienza della sua parola.

I misteri del Regno infatti ci superano e noi non possiamo che fare nostra la preghiera conclusiva di Giobbe (cf. Gb 42,1-6), vivendo la nostra stessa vita come una parabola, che ha qui tutta la sua consistenza, ma costantemente ci rimanda alla realtà altra del Regno.

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