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Fede e servizio

XXVII domenica del tempo ordinario

Ab 1,2-3;2,2-4, Sal 94 (95); 2Tm 1,6-8.13-14, Lc 17,5-10

Nel testo evangelico di questa domenica il tema del servizio viene strettamente legato a quello della fede. Alla richiesta che gli apostoli fanno a Gesù, «Accresci in noi la fede!», segue una risposta fatta di immagini: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sradicati e vai a piantarti nel mare”». Ora un granello di senape è qualcosa di veramente minuscolo, poco più di un granello di sabbia, mentre un gelso è un albero di tutto rispetto. Sproporzione e paradosso servono qui per sottolineare la forza che la fede può avere nell’agire umano, ed esempi in tal senso attraversano tutta la storia della cristianità e non solo. La cosa interessante è il collegamento successivo con il tema del servizio che è proprio dell’ambito dell’agire: «Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?». 

Un servizio che viene descritto non solo come dovuto, quasi scontato, ma persino «inutile»: «Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». 

Come osservato prima, questo legame nella narrazione tra fede e servizio fa sì che l’uno sia il «cuore» dell’altro. Per poter ritenere davvero che il proprio servizio, dal più umile al più autorevole, sia in realtà «inutile» ci vuole una visione di fede che sia veramente capace di vedere al di là del proprio agire; dall’altra parte una fede vera e autentica non può che declinarsi nell’essere al servizio degli altri, senza per questo sentirsi insostituibili o indispensabili. La fede, in qualche modo, è la cartina al tornasole del servizio e, viceversa, un servizio autentico può essere solo espressione della propria fede.

Che cosa vi è dietro a tutto questo? Una fondamentale disponibilità ad andare oltre sé stessi, i propri schemi, le proprie convinzioni, aspirazioni, desideri: essere disposti a considerarsi inutili e, allo stesso tempo, non risparmiarsi nel fare qualsiasi cosa sia utile e nelle proprie possibilità. Proprio questa «inutilità» è la forza più grande della fede, l’apertura a un’immensità che ci sovrasta, la pienezza del tutto. 

A volte, poi, l’inutilità di un servizio, se accolto e vissuto con consapevolezza, è come un granello di senape capace di sradicare un gelso per impiantarlo altrove; i frutti di quella pianta forse non saranno immediatamente visibili, ma porteranno sicuramente vita e pienezza a chi li raccoglierà. A questo proposito è molto significativa la storia di Noè, cui viene chiesto di costruire una specie di cassa, completamente impermeabilizzata, in aperta campagna: che cosa c’è di più inutile di questo? Secondo la tradizione rabbinica, riportata da Rashi nel suo commentario a Genesi, è proprio questa la domanda che veniva rivolta a Noè: «Che bisogno hai di fare tutto questo?», sottolineando così l’inutilità e persino l’assurdità di tale costruzione, che sarebbe durata tra l’altro «centoventi anni». Eppure un’opera così «inutile» e assurda, almeno al momento della sua costruzione, sarà ciò che permetterà a Dio di rigenerare tutta l’umanità. 

Altre volte, invece, il senso di inutilità di un servizio, di per sé utile, è dato da circostanze che ne impediscono lo svolgimento. Di fronte a tali situazioni ci si può deprimere, si può andare in crisi (se non posso fare questo allora chi sono?) o si può accogliere tale circostanza come «grazia» e riflettere sull’«inutilità» di un servizio che non può mai identificarsi con la propria identità.

Mi sembra che proprio la recente pandemia abbia messo in evidenza questa realtà: ci sono state persone impossibilitate a «fare» il loro servizio e per questo sono entrate in una crisi d’identità o hanno cercato in tutti modi possibili, e a volte stravaganti, di mantenere il proprio ruolo che con quel «servizio» era strettamente legato; ci sono state altre che hanno invece reagito accogliendo questo tempo di «inutilità» per continuare a essere «diversamente» presenti alle realtà dell’altro. 

 

 

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