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Etica teologica: tra storia e metodo

«La teologia morale non si è mai assunta in maniera consapevole e con la dovuta serietà il problema del proprio statuto epistemologico e della propria identità scientifica. Ora questo interrogativo è scoppiato sotto il suo terreno e lo ha completamente dissestato, e il fatto che non abbia ancora trovato una risposta soddisfacente è forse la causa più profonda del malessere di cui soffre questa scienza». 

Il metodo che non c’è. Qual è?

Sono passati cinquant’anni da questo giudizio, con il quale Carlo Caffarra chiude la voce dedicata alla «Storia della teologia morale» nel Dizionario enciclopedico di teologia morale (siamo nel 1973), e sembra scritto oggi da chi si occupa di etica teologica, sia quando affronta questioni teoriche sia quando, soprattutto, affronta questioni pratiche.

Il lettore deve sapere che solo in questo passaggio conclusivo, più sotto rispetto alla citazione qui riportata, si trova la parola «norma» (per essere più precisi solo due volte sul totale del contenuto di 135 voci svolte da 55 autori, non avendo a essa dedicata una trattazione a sé), all’interno di due proposizioni interrogative dirette: 1) qual è la funzione della norma etica nella vita cristiana? 2) la norma è la legge morale o il comandamento di Dio?

È un semplice caso se al seguito di quell’«interrogativo scoppiato sotto il suo [della teologia morale] terreno» l’autore è andato a parare proprio lì? Non direi proprio! Nella presa in carico seria e grave della necessità della fondazione delle norme in maniera argomentata e convincente vi è in ballo la stessa chiarificazione dell’etica teologica. 

L’oggetto confuso

Non considerare ciò come un suo compito imprescindibile – come si evince da molta letteratura teologico-morale corrente, a volte dal programma e dai titoli altisonanti ma veramente poi molto deludenti nello sviluppo degli argomenti – potrebbe spiegarsi come una (non consapevole) resistenza originata dall’incontro della riflessione etica con la teologia cristiana, ovvero dall’incontro tra l’oggetto di tutta l’etica dei greci, che è quello del sommo bene, e la natura di un’incipiente teologia morale per confessori, che è quella di individuare le esigenze morali e la loro obbligatorietà.

Nel connubio, sebbene il carattere di obbligatorietà della moralità fosse irrinunciabile, l’influenza di quello che la filosofia greca aveva prodotto fece (e fa tuttora) sì che si confondesse (e si confonda) molto facilmente il discorso teologico-morale sul sommo bene (o del fine ultimo) con il discorso teologico-morale sulla moralità come problema delle esigenze morali e della loro obbligatorietà.

Le conseguenze sono sia sul fronte della fondazione morale sia sul fronte dell’argomentazione etico-normativa: nel primo sembra sovente la confusione tra il piano morale col piano religioso, con l’identificazione del problema del fondamento morale con il problema del fondamento religioso; nel secondo si riconduce il processo di fondazione delle norme all’ambito della sola intenzionalità (religiosa, cristiana, anche laica).

Risultato: non si crede all’esigenza di avere norme morali per i vari contesti normativi, mentre si afferma che l’unica chance di parlare di norme è quella giocata tutta dentro l’ambito della coscienza. 

Un lemma per l’etica teologica

Per fortuna che, dopo circa vent’anni dalla pubblicazione di quel Dizionari,o chi si è voluto cimentare in queste questioni ha potuto godere (lo spero e ne sono convinto) della presenza del lemma «Norma» nel Nuovo dizionario di teologia morale scritto da G. Trentin negli anni Novanta e riproposto (aggiornato dallo stesso Trentin) ancora per la nuova edizione del Dizionario nel 2019 per la sua attualità, valore, lucidità d’analisi.

Per inciso, quando una voce di dizionario sfida, resiste e vince il tempo che passa, le cambiate esigenze editoriali e le mode culturali, significa che la sua importanza sul piano scientifico, culturale e, soprattutto, educativo è notevole.

I teologi moralisti in formazione e in professione, imbattendosi nell’analisi lucida del teologo G. Trentin, avranno modo di trovare delle risposte proprio agli interrogativi di Caffarra, rintracciando idealmente una corrispondenza tra le due domande di Caffarra e le due questioni di rilevanza capitale che Trentin magistralmente ricostruisce sinteticamente per puntellarle per bene: la prima è quella che risponde alla rilevanza della fede cristiana per la fondazione delle norme morali, e la seconda è quella che corrisponde alla rilevanza della ragione umana per la fondazione delle norme morali.

Se interpretiamo bene, senza tradire l’intenzione del teologo padovano – compiacendoci di vedere come a distanza di tempo e per traversie storiche diverse i teologi dialoghino tra loro anche senza essersi magari mai parlati per rendere un buon servizio a tutti –, delle due questioni la seconda risponde alla prima dopo aver posto alcune domande a coloro che si limitano solo ad affermare la rilevanza della fede: 

a) Come fondare le norme morali alla luce dell’antropologia cristiana se quest’ultima – si sa – non è un mero codice normativo?

b) Come fondare le norme morali alla luce della legge naturale se quest’ultima – si sa un po’ meno – non è un insieme di norme insite nella fisica del mondo?

c) Come comunicare le norme morali alla luce della rivelazione cristiana se quest’ultima – non si sa per niente – in senso stretto non è tutto quello che sappiamo senza che Dio si auto-comunichi?

Moralità come dominio della vita umana

E la risposta sembra consistere nel fatto che l’etica teologica o si attrezza per essere più attenta, più intelligente, più ragionevole e più responsabile, o manca il bersaglio, che è quello di illustrare non solo le esigenze della vocazione cristiana, ma anche i dilemmi etico-normativi che investono un rapporto, l’unico di cui si deve occupare: quello della fede cristiana con la cultura pluralistica di questo mondo.

La lezione che dovrebbe essere appresa, dunque, è che se la moralità è il dominio della vita umana nella quale la distinzione fra bene e male e le norme per l’agire che ne derivano e che si presentano in termini di esigenze morali hanno una parte determinante, l’etica è la scienza di questo dominio e l’etica teologica è quel presidio che si pre-occupa di non confondere mai questo dominio con la Rivelazione e l’antropologia che ne deriva.

 

Pietro Cognato insegna Teologia morale e bioetica presso la Facoltà teologica di Sicilia e l’Istituto di studi bioetici S. Privitera. Tra le sue opere Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il rinnovamento della teologia morale (2012); Etica teologica. Persone e problemi morali nella cultura contemporanea (2015). Morale autonoma in contesto cristiano (2021). Ha curato inoltre diverse voci del Nuovo dizionario di teologia morale (2019).

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