«Essere dalla verità»
Solennità di Cristo re
Dn 7,13-14; Sal 92 (93); Ap 1,5-8; Gv 18,33b-37
Il Vangelo di questa domenica, in cui si celebra la regalità messianica di Gesù, chiude il tempo ordinario e apre il prossimo tempo liturgico che sarà l’Avvento. In questo modo si chiude un ciclo per aprirne, senza soluzione di continuità, un altro; come a dire che al di sopra del tempo scandito da giorni, mesi, anni, vi è un altro «tempo», che proprio per la sua ciclicità sovrasta lo scorrere delle vicende umane e ricorda al credente qual è l’orizzonte ultimo di ogni cosa: la pienezza dei tempi.
In questa domenica il testo evangelico è tratto dal Vangelo di Giovanni e il tema è appunto la regalità di Gesù. Una regalità che viene proclamata fin dalle prime battute – potremmo dire – alla rovescia. Gesù è stato consegnato ai Romani e ora si trova di fronte a Pilato, la massima autorità dell’Impero romano presente in quel momento a Gerusalemme. A Pilato spetta emettere un giudizio di condanna, ovvero trovare degli elementi di colpevolezza che gli permettano di soddisfare la richiesta di condanna a morte avanzata dai capi del Sinedrio.
Ovviamente le motivazioni religiose del Sinedrio non sono né sufficienti né tantomeno convincenti dal punto di vista dei Romani, e così l’accusa di carattere religioso si trasforma in accusa di carattere politico, aspetto cui un governatore romano era sicuramente più sensibile.
Ecco, allora, che assistiamo a questo interrogatorio, dove Pilato chiede a Gesù se è lui il re dei Giudei. Tutto il dialogo si svolge su due piani diversi, dato che le stesse parole hanno senso e significato diverso per chi interroga e per chi risponde.
Per Pilato l’essere o il proclamarsi «re» è un chiaro tentativo di prevaricare l’autorità dell’imperatore, è un’azione politica che può incitare alla ribellione e che quindi va sedata sul nascere. Per Gesù l’essere re è portare a compimento la sua missione messianica, ovvero dare inizio all’instaurazione del regno di Dio, un regno che non ha però confini geografici – «il mio Regno non è di questo mondo» –, né tantomeno finalità politiche o militari: «Se il mio Regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei».
Chi dei due ha ragione? Ciò che Pilato vede, dal suo punto di vista, è credibile: uno che si spaccia per essere «re dei Giudei» può davvero costituire una minaccia per la «pax romana». Ma la visione di Pilato è limitata e soprattutto – forse è questo il vero punto di discrimine – legata al mantenimento di un certo status quo, alla paura di perdere qualcosa su cui si pensa di avere potere.
La visione di Gesù, invece, è oltre, non è legata a un potere o a un possesso, anzi è talmente libera da accettare di essere perdente, ma proprio per questo è vera: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità».
Di fatto la regalità di Gesù non verrà meno con la sua morte e là dove Pilato vede un uomo incoronato di spine con un mantello di porpora – «Ecco l’uomo» (Gv 19,5) –, Giovanni descrive contemporaneamente il messia regale nel momento della sua incoronazione e intronizzazione.
Che cosa ha permesso allora e cosa permette oggi, a chi legge il testo, di vedere, di capire quale dei due piani di visione sia quello vero? Quello che permane, proprio perché il suo orizzonte è al di là del limite «di questo mondo»?
Nella risposta che Gesù dà a Pilato vi è un indizio: «Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Ma che significa «ascoltare»? A delle orecchie «bibliche», ovvero abituate alla narrazione e al linguaggio biblico, quell’«ascoltare» può far ricordare la risposta che gli Israeliti diedero a Mosè alle pendici del monte Sinai: «Faremo e ascolteremo». Dove l’ascolto deriva dal «fare», dall’agire, dal mettersi in gioco, dall’accettare il rischio e, ultimamente, dall’accettare di perdere le proprie sicurezze, le proprie verità per «essere dalla verità»: è solo così che si può «ascoltare» l’«altro».
Ed è solo questo tipo di «ascolto» che può portarci a una visione della realtà, delle circostanze e del cammino da intraprendere che, lungi dal garantire il mantenimento di uno status quo, può farci fare un passo in più verso quella «verità» che ci attende e, allo stesso tempo, ci avvolge: il regno di Dio.