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Decisioni

XXIII domenica del tempo ordinario

Sap 9,13-18; Sal 89 (90); Fm 1,9b-10.12-17; Lc 14,25-33

Il Vangelo di questa domenica ci invita a valutare preventivamente le conseguenze di una nostra decisione. Si tratta di un esercizio sapienziale che abbraccia tutte le dimensioni della nostra esistenza concreta, e che nel testo evangelico viene espresso attraverso tre immagini che si riferiscono alla sfera spirituale, economica e relazionale.

Vediamo l’ambito spirituale. In questo caso l’invito è a una radicalità abbastanza chiara e allo stesso tempo impegnativa: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo».

Apparentemente tali parole possono sembrare troppo dure e quasi impossibili da realizzare, proprio perché mettono in gioco gli affetti, i legami più profondi che accompagnano la nostra vita: i genitori, i propri compagni/e di vita, i figli. Come si fa a chiedere di anteporre all’amore verso un padre o una madre, un marito o una moglie, un figlio/a l’amore verso Gesù?

Per cercare di rispondere bisogna dapprima comprendere che cosa significhi «amare» Gesù e che cosa questo comporti. L’amore verso Gesù non è qualcosa di esclusivo, di limitante, anzi è il principio di ogni altro amore, è il «colore», il «timbro», la «tonalità» con cui si può e si sceglie di amare gli altri, a partire proprio dai propri cari, ovvero i genitori, i mariti e le mogli, i figli. In questo senso anteporre l’amore verso Gesù all’amore verso gli altri è ciò che garantisce che tale amore sia vero, sia vitale, sia autentico.

Amare Gesù più di ogni altra persona significa imparare ad amare ogni altra persona al massimo delle nostre capacità, in una costante vigilanza sulla qualità di quell’amore costantemente posto in relazione con il «filtro» dell’amore verso di lui. Non solo, amare Gesù significa fondare il senso della nostra esistenza su di lui e, di conseguenza, fondare il nostro amore per gli altri proprio a partire da questo senso e dalla coerenza che esso richiede. In definitiva amare Gesù più di ogni altra persona significa amare ogni altra persona qualitativamente in modo migliore, più vero, più autentico e, soprattutto, più puro, più libero, scevro da egoismi, ricatti morali o altre dinamiche che a volte compromettono proprio la qualità del nostro amore verso i nostri genitori, partner e figli.

La seconda riflessione sapienziale, come accennato sopra, riguarda l’ambito economico. Qui, come nell’immagine che segue, l’accento è posto più esplicitamente su quanto sia importante valutare le conseguenze delle nostre decisioni prima di attuarle. Certo, nessuno ha una sfera di cristallo per prevedere il futuro, e sappiamo bene come in campo economico siano molteplici le forze in gioco che possono compromettere la buona riuscita di un’impresa.

Nel testo evangelico si parla di una torre da costruire; oggi, come esempio, basterebbe anche l’accensione di un mutuo per l’acquisto di una casa o per la sua ristrutturazione. A quale tipo di prestito accedere? A interesse fisso o variabile? Come valutare i preventivi dei materiali da acquistare comprensivi della messa in opera? Come prevedere i rialzi dovuti a eventi come guerre, crisi di mercati e per ultimo «dazi» dell’ultima ora? Questioni molto concrete e pratiche, che la maggior parte delle persone che vivono nel nostro mondo «occidentale» conosce bene. Ma se è vero che la volatilità economica è all’ordine del giorno, è anche vero che, prima di avventurarsi in un’importante spesa economica, è possibile calcolare un ragionevole margine di «imprevisti» che ci permetta di non trovarci totalmente «allo scoperto» in situazioni imprevedibili.

C’è comunque anche un altro aspetto da considerare, che l’esempio evangelico pone in questione; si tratta di un aspetto più nascosto, se volete più sottile, ma proprio per questo molto importante. Quanto gioca nel lanciarsi in un’impresa «importante», come il «costruire una torre», il desiderio di grandezza, la velleità di apparire di più di quanto si è? La domanda alla base allora è: «Ma è proprio necessaria questa torre?».

Passiamo alla terza e ultima immagine, che purtroppo è estremamente attuale, dato che le guerre in atto nel nostro mondo riempiono costantemente le prime pagine dei nostri giornali. Anche qui con un distinguo da fare, dato che solo alcune guerre «fanno notizia» mentre altre, ugualmente feroci e devastanti, non trovano spazio o voce e il tutto, ovviamente, dipende da quali interessi economici vi siano dietro e da quanto siano più o meno distanti dal nostro «piccolo» mondo.

In questo caso, davvero, la valutazione delle conseguenze prima di intraprendere una guerra o un attacco feroce nei confronti di un altro paese o di un altro popolo sarebbe segno di una «sapienza» che purtroppo sembra proprio totalmente assente. L’odio, il desiderio di conquista, la cecità disumana di tali imprese di violenza manifestano tristemente una verità, ovvero l’assenza di una domanda basilare: che valore ha la vita? E, ancora di più, che valore ha la vita altrui? È proprio valido il detto latino «mors tua, vita mea» (morte tua, vita mia)? La morte dell’«altro» può davvero garantire la propria vita, essere garanzia di sicurezza per la propria esistenza, essere fonte di guadagno, di potere, di supremazia? Certo, nel nostro «piccolo» non siamo in grado di fermare o evitare guerre, ma quanto questa logica del «mors tua, vita mea» è alla base anche delle nostre «micro» relazioni sociali, in ambiente lavorativo, per esempio, o «condominiale» e persino in ambito associativo?

Per promuovere la vita non basta manifestare contro la guerra, è importante acquisire uno sguardo che ci renda capaci di riconoscere la complessità dei valori o dis-valori che ogni relazione mette in gioco a partire da noi stessi, dal nostro piccolo mondo e imparare a riconoscerli per essere davvero costruttori di pace, ovvero promotori di vita.

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