Cesarea di Filippo
XXIV domenica del tempo ordinario
Is 50,5-9a; Sal 114 (116); Gc 2,14-18; Mc 8,27-35
Con il brano evangelico di questa domenica siamo verso la fine dell’itinerario messianico in Galilea presentatoci da Marco. Gesù è con i suoi discepoli a Cesarea di Filippo, l’antica Paneas, oggi conosciuta come Banias e sede di un parco archeologico nazionale alle pendici del monte Ermon, nel Nordest di Israele.
Paneas era un luogo sacro dedicato al dio greco Pan, il dio tutore dei boschi e delle sorgenti, e in una grotta vi è, appunto, una delle sorgenti principali del Giordano. Nel 20 a.C. l’imperatore Augusto diede questo territorio a Erode il Grande che, per riconoscenza, gli dedicò un tempio in marmo bianco vicino alla sorgente. Alla morte di Erode il territorio passò al figlio Filippo, che nel 2 a.C. costruì qui la capitale della sua tetrarchia, che – per distinguerla dalla Cesarea Marittima sita sulla costa del mediterraneo – divenne nota come Cesarea di Filippo.
Il luogo dunque indica, nel Golan settentrionale, la massima espressione della cultura greco-romana e delle credenze religiose pagane in ambiente ebraico. È naturale che la bellezza di questo posto, molto frequentato dal mondo pagano e non solo, rappresentasse in quel tempo un’allettante alternativa alla fede ebraica. Era l’immagine di una religiosità «leggera», ancorata al potere di turno, che prometteva benessere e miracoli legati alla sorgente sita nella grotta.
Inoltre in quest’area, se si tiene conto della letteratura intra-testamentaria come ad esempio il Primo libro di Enoch o il Testamento di Levi, erano presenti anche altre correnti giudaiche, che propendevano per una visione messianica di tipo apocalittico.
Insomma non è un caso o una pura circostanza geografica se è proprio in questa regione, tra «i villaggi intorno a Cesarea di Filippo», che Gesù pone questa domanda cruciale ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che io sia?».
Nella risposta che i discepoli danno – «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti» – è evidente che per la gente Gesù è colui che «precede» il Messia, «qualcuno» che annuncia la sua venuta. La risposta riguardo a «Giovanni il Battista» può sembrare forse quella più comprensibile, anche se c’è un piccolo particolare: Giovanni a questo punto della storia dovrebbe essere già morto, per cui cosa s’intende con questa opinione? L’idea o la credenza di un «Giovanni redivivo»? Si ritrovano qui, di fatto, gli stessi personaggi menzionati in Mc 6,14-16: «Il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: “Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi”. Altri invece dicevano: “È Elia”. Altri ancora dicevano: “È un profeta, come uno dei profeti”. Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: “Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!”».
A questo punto la risposta di Pietro alla seconda domanda che Gesù pone ai suoi – «Ma voi, chi dite che io sia?» – risuona con maggiore forza, dato che si dice chiaramente che Gesù non è il precursore, ma il Messia stesso!
Rimane però da capire di che tipo di Messia si tratti; ciò che segue infatti è il primo annuncio della passione, in cui Gesù spiega ai suoi quali saranno i prossimi eventi: «E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere».
Non dunque un Messia liberatore e neanche un Messia guerriero, ma un Messia sofferente che affronterà la morte per restituire in pienezza la vita. L’idea di un Messia del genere era nell’aria in alcuni circoli ristretti, e sicuramente non era quella più conosciuta o attesa e anche sperata dai più. Con questo si capisce la reazione di Pietro, che non ha nessuna voglia di accettare un «Messia» del genere; la spaccatura si fa importante, ed è evidenziata da come Gesù reagisce alle sue proteste: «Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”».
A Banias, dunque, tutto va in frantumi: la solitudine di Gesù si fa sempre più profonda, il suo messianismo appare sempre di più deludente e poco attraente, mentre ancora più evidente e dissonante si fa lo scarto tra questo e il contesto sopra descritto: da una parte un dio Pan che promette benessere, serenità, fertilità e pace, per cui basta lasciarsi immergere nella natura e godere della sua bellezza – qualcosa di molto simile alle brochure dei centri benessere di oggi –; dall’altra le attese messianiche più o meno aggressive di liberazione o di definitiva catarsi e rigenerazione.
In mezzo a tutto ciò un uomo ormai solo, che va incontro a una morte ignominiosa perché ci sia vita e pienezza di vita per sempre.