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Annuncio e incomprensione

III domenica del tempo ordinario

Ne 8,2-4a.5-6.8-10; Sal 18 (19); 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21

          Un racconto programmatico: dopo aver posto alcune aspettative messianiche, Luca narra il primo annuncio operato da Gesù e la reazione del suo uditorio – una reazione di incomprensione e di rifiuto, come dire che tale sarà anche il seguito della storia (Ghiberti).

          I cantici di Maria e di Zaccaria (Lc 1,46ss e 1,68ss) parlano infatti di liberazione e di capovolgimenti sociali utilizzando immagini militari e politiche: entrambi poi hanno ricevuto il rispettivo annuncio da Gabriele, l’angelo guerriero ed eroe (geber).

          Nella sinagoga invece Gesù riporta il discorso entro orizzonti più sapienziali e spirituali: lo fa dapprima attraverso un centone di testi del Secondo Isaia, poi con un’omelia di cui leggiamo un solo versetto (4,21) e con «parole piene di grazia» (epi tois logois tes charitos, v. 22) che suscitano stupore e, da ultimo, ira fino a una reazione violenta. Dunque: annuncio e incomprensione.

          I frequentatori della sinagoga vengono meno in tal modo al precetto sabbatico che, senza che vi sia nulla di scritto in proposito, vieta di digiunare, di essere tristi e, a maggior ragione, di andare in collera.

          Luca è invece attento a descrivere il rito, anche se all’epoca non era forse formalizzato.

          Sappiamo comunque che erano previste la lettura di una sezione della Torah (parasa), di un testo profetico a commento (haftara), la recita dello šema῾ e la preghiera-da-dire-in-piedi (῾amida); non sappiamo invece quale fosse il calendario delle letture. Chiunque però poteva fare l’omelia e vi erano invitati soprattutto i forestieri di passaggio, perché potevano offrire anche l’occasione per venire a sapere qualche novità (cf. At 13,13ss).

          Quel che è importante è che Gesù «insegnava nelle loro sinagoghe» (4,15) e vi si recava ogni sabato kata toi eiothos auto (v. 16), «secondo il solito suo»; sia egli sia Paolo «non sfuggono al ritmo della fedeltà che assume i panni dimessi, ma tenaci, della ripetizione» (Stefani) nei tempi nei testi e nei riti.

          Si alza dunque a leggere e gli viene dato «il rotolo del profeta Isaia» (v. 17): Luca ha il diminutivo biblion che può far pensare a un rotolo contenente il solo testo del profeta. Il fatto che sia un rotolo si evince dal verbo anaptuo, «srotolare», e al suo omologo ptuo, «arrotolare», del v. 20, che compaiono solo qui e non altrove nel Nuovo Testamento (nei LXX si legge anaptuo soltanto in 2Re 19,14).

          Se davvero non c’era ancora un calendario di letture, Gesù era forse autorizzato a cercare e a trovare il testo da commentare; Luca dice euren, «trovò», e non ha l’aria di essere un fatto casuale.

          Is 61 era un testo spesso citato nei circoli devoti e a Qumran per il suo forte impatto messianico. In questo l’evangelista riprenderebbe le istanze dei cantici di Maria e Zaccaria.

          Nella sua omelia però Gesù evita esegesi in senso stretto o spiegazioni morali. Non dice ai presenti che cosa debbano fare, parla piuttosto di sé definendo la propria identità e, a partire da questa, la propria missione.

          La citazione di Isaia è così rimaneggiata, non perché Luca citi a memoria, come qualche interprete suggerisce, ma per rispondere alle aspettative messianiche dell’uditorio dando contemporaneamente un’interpretazione personale. Taglia il v. 2 di Is 61 e cita Is 58,6. L’effetto è duplice: parlare di consolazione e intensificare il messaggio sociale, correggendo ogni pratica religiosa che non tenga conto dei poveri e degli ultimi, tema che sta molto a cuore a Luca, che tornerà infatti più volte sul discorso ricchezza/povertà, come si preoccuperà della «raccolta di Israele»» (Lohfink): nella parabola del ricco stolto (12,1-21), del povero Lazzaro (16,1-31), nel racconto del notabile (18,18-25), nella storia di Zaccheo (19,1-10).

          La reazione dell’uditorio è uno sguardo difficile da interpretare. Il verbo atenizo infatti ricorre poche volte e sempre in riferimento a momenti speciali (cf. At 7,55, 13,9; 2Cor 3,7.13).

          Prima del rifiuto c’è dunque un momento in cui pare di avvertire che l’uditorio stia col fiato sospeso in un gioco di sguardi. Sarà Gesù ad aggravare la situazione, al punto che non tornerà più nella città della sua infanzia.

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