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Amati e amanti nella Parola

VI domenica di Pasqua

At 15,1-2.22-29; Sal 66 (67); Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29

Il Vangelo di questa domenica inizia con questa affermazione di Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato». In queste parole si afferma una circolarità e un’unità inscindibile tra la «Parola» del Padre e la «Parola» del Figlio. L’ascolto e, soprattutto, la comprensione «fattiva», ovvero l’osservanza di questa «Parola», è l’espressione dell’amore verso Dio. Che cosa implica tutto questo? Vediamo alcuni dettagli.

Il primo dettaglio è proprio sull’unità della Parola e la sua origine: la parola è di Gesù – «osserverà la mia parola» – ma di fatto non è sua, è del Padre: «la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre». C’è dunque un’unica Parola, di cui Gesù è il «portavoce», a tal punto che questa «Parola» diventa la «sua» parola o, per usare un linguaggio giovanneo, egli è questa Parola.

Spesso si tende tra i cristiani a distinguere la «parola» del Padre da quella del Figlio, identificando la prima soprattutto con l’Antico (o primo) Testamento e la seconda con i Vangeli. Tale distinzione è sottolineata anche liturgicamente dal fatto che, per esempio, nella liturgia della Parola dopo la proclamazione della prima lettura si dice «Parola di Dio», mentre dopo il Vangelo si dice «Parola del Signore».

Tale dicotomia viene poi anche affermata per quanto riguarda la seconda lettura, tratta dagli altri scritti del Nuovo Testamento, di cui alla fine si dice sempre «Parola di Dio». In questo modo viene espressa una supremazia della parola evangelica, attribuita a Gesù «costituito Signore e Cristo» (At 2,36) da Dio.

C’è dunque una supremazia del testo dei Vangeli su tutto il resto della Scrittura? Il testo di Giovanni di questa domenica sembra contraddire questo, proprio ponendo l’accento non solo sull’unicità di questa Parola, ma sulla sua origine: «La parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre».

Credo che la chiave per trovare una risposta sia contenuta in quanto lo stesso Giovanni afferma nel prologo: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18). Il verbo che Giovanni usa e che viene tradotto con «rivelato» è exegesato, che si potrebbe tradurre anche con «ne ha fatto l’esegesi». In questo senso Gesù è l’«esegesi» del Padre e la «sua» parola è l’«esegesi» della parola di Dio.

Ma l’esegesi di un testo presuppone il «testo»; così l’«esegesi» di Gesù – di cui i Vangeli danno testimonianza – presuppone la parola di Dio, la conoscenza di questa, la sua accoglienza e comprensione.

Ne consegue che non si può accogliere l’esegesi di un testo (l’Evangelo) senza conoscere il testo, senza accoglierlo e riconoscerlo come Parola del Padre. Inoltre se Gesù è l’esegesi di tale parola, allora non si può neanche separare tale parola dalla sua esegesi, non si può ignorarla, per esempio, o conoscerla di meno, perché tanto è sufficiente solo l’esegesi. Che detto in altri termini sarebbe: un cristianesimo che non conosce, non contempla le Scritture, la parola di Dio, in realtà non può comprendere né tantomeno osservare la parola di Gesù (i Vangeli), e tutto questo non rimane solo a livello di teoria, di dottrina o di pura formazione e informazione, ma è principalmente e fondamentalmente una questione di amore.

Passiamo quindi al secondo dettaglio, ovvero alla circolarità dell’amore, riprendendo di nuovo il testo di Giovanni: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà…. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre». Amare Gesù è strettamente connesso con l’osservare la sua parola, e tutto questo fa sì che l’amore del Padre si manifesti e si riversi su chi ama e osserva, ovvero ascolta fattivamente, la parola del Figlio.

Il risultato poi di questa «circolarità» è davvero superiore a ogni attesa: «Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». L’ascolto della parola e l’amore verso Gesù pone in atto un movimento, il cui risultato è l’essere inabitati da Dio stesso, l’essere coinvolti in quella circolazione di amore che penetra nel nostro interno, trova dimora in noi cosicché quella «parola» possa sempre più trovare carne, spazio e tempo per essere vissuta e annunciata.

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