Teologia pastorale: un pontificato sinodale e missionario - Speciale Francesco
L’analisi della teologia pastorale del pontificato di Francesco non può prescindere dal radicamento del religioso gesuita Jorge Mario Bergoglio nella Chiesa latinoamericana e dal suo ruolo di primo piano nella V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano (Aparecida 2007). E inoltre dalla sua compenetrazione con la Chiesa post-conciliare dell’Argentina contemporanea, da cui ne scaturiscono l’esperienza e l’ecclesiologia. Quello che si è sviluppato da queste premesse ha avuto le caratteristiche di un pontificato riformatore, sinodale e missionario, in cui le periferie si sono configurate non solo come luoghi di missione, ma anche come orizzonti ermeneutici e fonti di rinnovamento.
Carlos María Galli, presbitero e professore alla Facoltà di Teologia di Buenos Aires, membro della Commissione teologica internazionale e dell’Accademia pontificia di teologia, ripercorre le linee di sviluppo della teologia pastorale di papa Francesco e ne ricostruisce le fonti conciliari e latinoamericane.

Il pontificato riformatore, sinodale e missionario di Francesco affonda le sue radici sia nella singolare figura del gesuita Jorge Mario Bergoglio, sia nel suo radicamento nella Chiesa latinoamericana e nella sua partecipazione alla V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e caraibico svoltasi nel santuario mariano di Aparecida, in Brasile (2007). E inoltre nella sua compenetrazione con la Chiesa post-conciliare dell’Argentina contemporanea, da cui scaturiscono la sua esperienza e la sua ecclesiologia.1
Francesco e Aparecida si rispecchiano a vicenda. Il card. Bergoglio, che nel 2007 era arcivescovo di Buenos Aires e presidente della Conferenza episcopale argentina, ha presieduto la Commissione di redazione del Documento conclusivo (A). È stato eletto vescovo di Roma quando le periferie dell’orbe si sono manifestate al cuore dell’Urbe. Ha rappresentato la voce del Sud globale del mondo2 e ha rafforzato il protagonismo degli scartati. Ha tratto ispirazione da Aparecida per proporre «la riforma della Chiesa in uscita missionaria» (Evangelii gaudium, n. 17; EV 29/2123). Non ha voluto esportare un modello, perché desiderava l’inculturazione di ogni Chiesa nel proprio contesto (cf. Evangelii gaudium, nn. 27, 30, 117). Ha esercitato il primato diaconale in stile latinoamericano, come testimoniano il suo primo saluto in piazza San Pietro e la sua ultima apparizione la domenica di Pasqua. Ha vissuto il suo ministero pastorale con calore nei modi e semplicità nella comunicazione.
Il suo stile di predicazione mirava a far sì che la sua parola trovasse posto «negli occhi della gente».3 Lo scorso 9 dicembre, in occasione di un incontro con centinaia di teologi, ha parlato per sei minuti e ha salutato ciascuno personalmente.
Con il suo pontificato, la Chiesa in America Latina e nei Caraibi ha completato il suo umile ingresso nella storia mondiale. Nel 1968 Paolo VI, che Bergoglio ammirava, si era recato in Colombia per inaugurare la II Conferenza generale dell’episcopato di Medellín e per chiudere il Congresso eucaristico di Bogotà. Nel 2018 Francesco, primo papa latinoamericano, ha canonizzato il primo pontefice che ha visitato la nostra terra.4
Il papa dal Sud del Sud
La nostra Chiesa latinoamericana ha vissuto un kairos, perché nel 2013 Dio ha chiamato dalle sue viscere il successore di Pietro. Il primo papa latinoamericano rappresenta il cuore, il volto e il cammino di questa Chiesa regionale e meridionale, che ha alle spalle un lungo percorso collegiale e sinodale, a partire dai concili e dai sinodi della prima evangelizzazione, nel XVI secolo, fino a quel che è stato vissuto dalla celebrazione della I Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano nel 1955, e dalla successiva creazione del Consiglio episcopale latinoamericano (CELAM), che nel 2025 celebra il suo 70° anniversario.
Lo Spirito di Dio soffia come una forte raffica di vento nel e dal Sud del mondo. Cinquant’anni fa le Chiese del cosiddetto «terzo mondo» erano alle porte.5 Oggi hanno varcato la soglia e promuovono una Chiesa policentrica. Il Sud non è una categoria geografica, ma storico-culturale. Nel 1910 il 70% dei cattolici battezzati viveva al nord e il 30% al sud.
In cent’anni c’è stata un’inversione nella composizione del cattolicesimo, una migrazione nel popolo di Dio. Nel 2010 il 32% viveva al Nord e il 68 % al Sud: 39% in America Latina, 16% in Africa, 12% in Asia, 1% in Oceania. Oggi due cattolici su tre vivono al Sud. Nell’ultimo decennio i cattolici sono aumentati del 6% e rappresentano il 18% della popolazione mondiale. La crescita maggiore si registra in Africa. In questo quadro, Francesco ha iniziato a ridurre le notevoli asimmetrie tra le Chiese del Nord e quelle del Sud, ad esempio nella composizione del collegio cardinalizio e nella curia romana.
Dopo un primo millennio segnato dalle Chiese d’Oriente e un secondo guidato dalla Chiesa d’Occidente, a partire dal suo pontificato se ne prospetta un terzo rivitalizzato dalle Chiese del Sud e arricchito da tutte le Chiese in una rinnovata cattolicità interculturale, confermata nella fede e presieduta nell’amore dalla Chiesa di Roma.6 Ogni Chiesa può essere un centro animatore e tutte devono essere unite nella dinamica della comunione sostenuta dalla sinodalità, dalla collegialità e dal primato.
Questo papato ha accelerato il passaggio verso una Chiesa effettivamente interculturale attraverso lo scambio di doni fra tutte le Chiese. Prima del Concilio Yves Congar aveva auspicato un nuovo equilibrio tra il modello di comunione vissuto dalle Chiese del primo millennio e quello della Chiesa universale centralizzata del secondo.7 Nel suo ultimo libro autobiografico, il papa argentino si è espresso in questa direzione: «La Chiesa andrà avanti e, nella sua storia, io non sono che un passaggio. Anche il papato maturerà; spero che maturi anche guardando indietro, che svolga sempre più il ruolo del primo millennio... La Chiesa in cammino sarà sempre più universale, e il suo futuro e la sua forza verranno anche dall’America Latina, dall’Asia, dall’India, dall’Africa, e questo già si apprezza nella ricchezza delle vocazioni».8
Nel XXI secolo la Chiesa torna a riconoscere il protagonismo delle periferie e dei periferici. Con il suo viaggio a Lampedusa, il papa argentino ha fatto della tragedia dei migranti un perno della pastorale globale.9 Le periferie non sono solo luoghi di missione, ma anche orizzonti ermeneutici e fonti di rinnovamento. La storia mostra che molte riforme sono nate nelle periferie, soprattutto quelle che hanno segnato un ritorno alla povertà evangelica e ai poveri. Le iniziative profetiche che sorgono ai margini devono essere assunte dal centro dell’unità per essere riforme di tutti.10
Jorge Mario Bergoglio ha inteso la vita come un cammino di ricerca e d’incontro con Dio. «Quanto è bella la parola cammino! Nella mia esperienza personale di Dio non posso prescindere dal cammino. Direi che Dio lo si trova camminando, andando, cercandolo e lasciandosi cercare da lui. Sono due strade che s’incontrano. Da un lato quella di noi che lo cerchiamo, spinti da questo istinto che sgorga dal cuore. Poi, quando le strade s’incontrano, ci rendiamo conto che lui già ci stava cercando, ci ha anticipati».11
Il papa gesuita credeva e insegnava che Dio si trova camminando perché ci viene incontro. Francesco ha delineato una rinnovata comprensione della Chiesa come popolo di Dio pellegrino e sinodale. Nel 2015, durante la seconda Assemblea del Sinodo sulla famiglia, ha commemorato il 50° anniversario del Sinodo dei vescovi creato da Paolo VI, dichiarando: «Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio»,12 e «la sinodalità è una dimensione costitutiva della Chiesa».
Un ricco magistero sinodale
Francesco è il papa della sinodalità. Nel suo pontificato la prassi e la teologia della Chiesa sinodale sono entrate in una nuova fase. Diversi fattori hanno avuto un ruolo in questo senso: la rilettura della storia ecclesiale e teologica; l’insegnamento e le norme del concilio Vaticano II; l’esperienza collegiale e sinodale postconciliare a livello locale, regionale e universale; le assemblee dei Sinodi dei vescovi convocate a partire da Paolo VI; l’esperienza latinoamericana; le iniziative realizzate negli ultimi decenni in vari continenti; lo sviluppo dell’ecclesiologia nell’ultimo mezzo secolo; e, quanto alla comunità teologica cattolica, il documento del 2018 su La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa della Commissione teologica internazionale.
Nella festa di Pentecoste del 2015 il vescovo di Roma ha promulgato l’enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune. In quell’occasione ha sostenuto di aver indirizzato l’esortazione Evangelii gaudium «ai membri della Chiesa per mobilitare un processo di riforma missionaria ancora da compiere» (Laudato si’, n. 3; EV 31/583). In questo contesto li ha invitati a seguire il percorso della sinodalità. Nello stesso anno il card. Walter Kasper ha affermato che il papa «vuole rafforzare personalmente gli aspetti sinodali nella Chiesa cattolica. Questo deve avvenire a tutti i livelli delle Chiese locali e della Chiesa universale».13
Pochi giorni prima di tale assemblea sinodale, un seminario sulla riforma e le riforme della Chiesa ha visto la partecipazione di 330 grandi teologi, storici, canonisti, pastoralisti ed ecumenisti, uomini e donne provenienti da diversi continenti. Nel quadro dell’ecclesiologia del popolo di Dio, i temi della riforma e della sinodalità sono stati tra loro collegati in maniera definitiva.14
Il decennio successivo conosce un vasto magistero dell’ultimo successore di Pietro sulla Chiesa sinodale. Tra i tanti testi si possono ricordare: il Discorso per il 50° anniversario della creazione del Sinodo dei vescovi del 2015; la Lettera al card. Marc Ouellet come presidente della Pontificia commissione per l’America Latina del 2016; la costituzione apostolica Episcopalis communio sul Sinodo del 2018; la Lettera al popolo di Dio in Germania del 2019; gli interventi al Sinodo amazzonico nello stesso anno; il libro-intervista Sogniamo insieme del 2020; il Discorso alla diocesi di Roma del 2021 e il Discorso di apertura del Cammino sinodale della Chiesa italiana del 2021; il Messaggio all’Assemblea ecclesiale dell’America Latina e dei Caraibi dello stesso anno; il proemio della costituzione apostolica Praedicate Evangelium sulla riforma della curia romana del 2022; gli interventi di Francesco nelle due sessioni della XVI Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi dedicata al tema «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione».
Ora bisogna aggiungere il Documento finale della seconda sessione del Sinodo sulla sinodalità, approvato il 26 ottobre 2024, perché quel giorno il papa lo ha assunto come proprio e il 24 novembre scorso ha affermato che fa parte del magistero pontificio. In quell’occasione ha detto: «Anch’io l’ho approvato e, firmandolo, ne ho disposto la pubblicazione, unendomi al “noi” dell’Assemblea che, attraverso il Documento finale, si rivolge al santo popolo fedele di Dio» (Regno-doc. 21,2024,679).
Questo magistero è ulteriormente convalidato dal sostegno da parte del papa ai processi di partecipazione, consultazione, ascolto e attuazione dei Sinodi sull’amore nella famiglia (2014-2015), sulla fede nei giovani (2018), sulla missione e l’ecologia nella Regione amazzonica (2019), con le rispettive esortazioni post-sinodali Amoris laetitia, Christus vivit e Querida Amazonia. La Segreteria del Sinodo ha pubblicato una raccolta di testi fino al 2021 in ordine cronologico.15
Il santo popolo fedele di Dio
La riflessione sinodale di Francesco parte dall’ecclesiologia biblica e conciliare del popolo di Dio, che è il soggetto della sinodalità, e dalla proposta papale di una Chiesa in uscita missionaria. «L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio. È la definizione che uso spesso, ed è poi quella della Lumen gentium al n. 12. L’appartenenza a un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non c’è identità piena senza appartenenza a un popolo (...). Il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori».16
Il popolo di Dio è in pellegrinaggio nella storia della salvezza, appartiene a Dio ed è composto da esseri umani che vivono tra tutti i popoli. Il papa usa tre termini inequivocabili per indicarne la originalità: la specificazione «di Dio» gli aggettivi «santo» e «fedele». La sinodalità si fonda sul fatto che la Chiesa è il popolo pellegrino che cammina assieme alla famiglia umana (cf. Lumen gentium, n. 8; Gaudium et spes, n. 1).
Con il papa argentino la teologia del popolo di Dio ha riacquistato il posto centrale che aveva avuto al Vaticano II e che a partire dal 1985 era stato offuscato in vari documenti del magistero. Questa ecclesiologia è legata a una linea di pensiero sviluppata nella comunità teologica argentina,17 e in modo particolare a una riflessione sulla pietà popolare sviluppata dai gesuiti, centrata sul popolo fedele come soggetto di un modo di vivere la fede e di creare cultura in una storia concreta. Per Francesco i gesti della fede popolare sono anche un luogo teologico.18 «Le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione» (Evangelii gaudium, n. 126; EV 29/2232).
Francesco ha ripreso l’insegnamento conciliare sul popolo di Dio inserito nelle culture: «Questo popolo di Dio si incarna nei popoli della terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura» (Evangelii gaudium, n. 115; EV 32/2221). In questo contesto ha esplicitato la cattolicità inclusiva degli individui e dei popoli, utilizzando le espressioni «un popolo per tutti» (cf. Evangelii gaudium, nn. 112-114) e «un popolo dai molti volti» (cf. Evangelii gaudium, nn. 115-118). Questa visione incarnata della cattolicità del popolo di Dio è stata la base della sua audace apertura a tutte le persone, così come sono e nella condizione in cui si trovano, e a tutti i popoli con le loro specificità.
Una corrente della teologia argentina
Questa teologia è un contributo originale della Chiesa argentina contemporanea, anche se non ne esaurisce le prospettive, i temi e gli autori. L’espressione sintetica «teologia del popolo» è suggestiva, ma può risultare semplificatrice se si intende la parola «popolo» solo come comunità civile di tipo culturale o politico. La nostra riflessione teologica comprende due significati analoghi del concetto, uno ecclesiale e l’altro civile. Preferisco dire che Francesco assume, arricchisce e universalizza la teologia argentina del popolo di Dio, dei popoli e della pastorale popolare, perché questa corrente comprende un’ecclesiologia, una teologia della storia e della cultura, nonché una teologia pastorale che considera la missione della Chiesa verso i popoli e unisce la pietà popolare all’opzione per i poveri nella teoria e nella pratica.19
I teologi Lucio Gera (1924-2012) e Rafael Tello (1917-2002) sono stati due grandi esponenti della teologia del popolo, già studiati in rapporto a Francesco.20 La novità di un papa argentino ha facilitato la diffusione di questa teologia, che non era nota in Europa. In Germania è stata riconosciuta grazie ai contatti teologici tra Buenos Aires e Freiburg, che si sono poi irradiati in altre università tedesche. Nel 1975 Karl Lehmann, discepolo di Bernhard Welte, presiedette la sottocommissione della Commissione teologica internazionale sulla teologia della liberazione; nel suo contributo notò questo accento argentino,21 che include «un’ecclesiologia del popolo di Dio in termini concreti».22 In occasione del centenario della mia Facoltà di Teologia di Buenos Aires, Francesco, che ne era il gran cancelliere, ci aveva chiamati a essere profondi credenti, profeti di frontiera e «figli del suo popolo», che pregano pensando e pensano pregando, collegando teologia e vita nel solco del Vaticano II.23
Il c. III dell’esortazione Evangelii gaudium rappresenta l’ecclesiologia argentina. Si riferisce al popolo di Dio come soggetto comunitario dell’annuncio del Vangelo (cf. Evangelii gaudium, nn. 111-134). Questo popolo è «un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale» (Evangelii gaudium, n. 111; EV 29/2217). Propongo di soffermarci un poco su questo modo d’intendere la Chiesa, che trova il suo ultimo fondamento nella libera e gratuita iniziativa di Dio.
In linea con il Concilio, recepito in maniera creativa dalla nostra teologia, il papa insegna che la Chiesa è il mistero del popolo di Dio pellegrino, sinodale e missionario tra i popoli. Il primo paragrafo s’intitola «Tutto il popolo di Dio annuncia il Vangelo». Mi piace dire che ciò che è di tutto il popolo di Dio riguarda tutti nel popolo di Dio. Ogni battezzato, in quanto membro della Chiesa, è chiamato a essere protagonista della missione in prima persona. Questa chiamata non è rivolta solo agli operatori pastorali organizzati di una diocesi, ma ai comuni fedeli cristiani, perché «tutti noi siamo chiamati a crescere come evangelizzatori» (Evangelii gaudium, n. 121; EV 29/2227).
L’impegno missionario della Chiesa
Il pontificato di Francesco ha generato una nuova fase nella recezione del Concilio. Nell’intervista a La Civiltà cattolica del 2013 Francesco diceva: « Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi (…) Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile».
In questo contesto, Francesco considerava l’esortazione Evangelii nuntiandi di Paolo VI come il miglior documento pastorale del postconcilio, e il suo testo programmatico Evangelii gaudium come una sintesi aggiornata tra l’Evangelii nuntiandi (1975) e il Documento di Aparecida (2007). L’esortazione ha fornito un quadro pastorale per proporre «la riforma della Chiesa in uscita missionaria sulla base della dottrina della costituzione dogmatica Lumen gentium» (Evangelii gaudium, n. 17; EV 29/2123). «Il concilio Vaticano II ha presentato la conversione ecclesiale come un’apertura a una riforma permanente di se stessi nella fedeltà a Gesù Cristo» (Evangelii gaudium, n. 26; EV 29/2132). Il rinnovamento della Chiesa deve essere allo stesso tempo ressourcement (o ritorno alle fonti) e aggiornamento.
La riforma è espressa dalla parola conversione. Non è necessario scegliere tra un termine e l’altro. Nell’Evangelii gaudium Francesco ha chiamato a vivere «una conversione pastorale e missionaria» (n. 25), una «conversione missionaria» (n. 30), una «pastorale in chiave missionaria» (n. 35), uno «stato permanente di missione» (n. 25). Ha invitato gli individui, le comunità e le strutture pastorali a diventare «tutte più missionarie» (n. 27).
Queste formule integrative riprendono le proposte della Conferenza generale latinoamericana di Aparecida (cf. nn. 365-372). Esse includono esplicitamente la conversione del papato e delle strutture del governo centrale della Chiesa (cf. Evangelii gaudium, n. 32). Poi, nella costituzione Praedicate Evangelium, il papa ha riformato la curia romana secondo linee sinodali e missionarie. Ha messo al primo posto il Dicastero per l’evangelizzazione, poi quello per la dottrina della fede, mostrando che la Chiesa esiste per evangelizzare e che la priorità è il dialogo evangelizzatore con tutti rispetto alla custodia della dottrina di quanti già credono. Questo potrebbe essere un criterio per l’elezione del nuovo successore di Pietro.
Una conversione integrale a Gesù Cristo implica una trasformazione personale, spirituale, comunitaria, pastorale, istituzionale e sinodale per condividere la gioia del Vangelo di fronte ai segni di questo tempo. La Chiesa in uscita percorre il cammino di Gesù con un itinerario evangelizzato ed evangelizzatore. Come nelle origini cristiane, lo Spirito Santo muove la Chiesa a uscire da se stessa nella direzione della missione ai popoli e la colma del dono della gioia evangelizzatrice. «La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria» (Evangelii gaudium, n. 21; EV 29/2127).
La Chiesa dello Spirito è sinodale
Rivolgendosi ai prelati della Chiesa greco-cattolica in Ucraina, il papa argentino ha detto: «Essere Chiesa è essere comunità che cammina insieme. Non basta avere un sinodo, bisogna essere sinodo (…). In quanto Chiesa cattolica orientale, avete già nel vostro ordinamento canonico una marcata espressione sinodale, che prevede un frequente e periodico ricorso alle assemblee del Sinodo dei Vescovi. Ma ogni giorno occorre fare sinodo, sforzandosi di camminare insieme, non solo con chi la pensa allo stesso modo – questo sarebbe facile –, ma con tutti i credenti in Gesù».24
La Chiesa dello Spirito è sinodale.25 Non basta fare un Sinodo, è necessario esserlo. L’aggettivo sinodale si riferisce a una dimensione costitutiva della Chiesa. Essa non solo fa sinodi, non solo ha missioni. In essa non agiamo da sinodali e missionari, siamo sinodali e missionari.
L’ecclesiologia pastorale dell’Evangelii gaudium è incentrata sulla Chiesa in cammino, anche se non fa quasi riferimento esplicito alla sinodalità.26 Questa parola compare nel contesto del dialogo ecumenico, dove s’invita a riconoscere la tradizione collegiale e sinodale delle Chiese ortodosse. «E se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi. Solo per fare un esempio, nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità. Attraverso uno scambio di doni, lo Spirito può condurci sempre di più alla verità e al bene» (Evangelii gaudium, n. 246; EV 29/2352).
Lo Spirito di comunione porta a raggiungere la piena unità dei cristiani imparando dall’esperienza sinodale delle Chiese ortodosse. Questo testo, che esplicita il valore della sinodalità, è il documento chiave della teologia sinodale ed evangelizzatrice di Francesco.27 Per aggiornare l’antica tradizione sinodale, egli ha preso come primo punto di riferimento il «santo Concilio» (cf. Lumen gentium, n. 1) del Vaticano II. La sua ecclesiologia sottolineava il dono dello Spirito Santo che realizza la comunione. Francesco amava dire che lo Spirito opera l’armonia (cf. EG 40). «Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito» (1Cor 12,4). Lo Spirito realizza l’unità nella diversità e la diversità nell’unità.
Nel 2020 papa Francesco ha detto che lo Spirito, unico dono di Dio in tutti, ci unisce nella comunione sinodale. «Il segreto dell’unità nella Chiesa, il segreto dello Spirito è il dono. Perché egli è dono, vive donandosi e in questo modo ci tiene insieme, facendoci partecipi dello stesso dono. È importante credere che Dio è dono, che non si comporta prendendo, ma donando (…) . Lo Spirito, memoria vivente della Chiesa, ci ricorda che siamo nati da un dono e che cresciamo donandoci; non conservandoci, ma donandoci».28
Il pensiero di Francesco sulla sinodalità ha molti aspetti. Alcuni di essi sono: il popolo di Dio come soggetto sinodale; la sinodalità come cammino comune; la missione come paradigma della Chiesa; l’azione protagonista dello Spirito Santo; il battesimo come fonte di dignità e partecipazione di tutti; l’ascolto come chiave di ogni processo sinodale; il sensus fidei fidelium come opera dello Spirito; il discernimento comunitario per scoprire il soffio di Dio; i carismi al servizio del bene comune e dello scambio dei doni; l’inversione della figura piramidale della Chiesa; i legami tra sinodalità, collegialità e primato; la sfida ecumenica della sinodalità; il servizio della Chiesa sinodale per una cultura dell’incontro, del dialogo e della pace.
Lo Spirito abita nella Chiesa, anima la sua vita, guida la sua missione, apre la via e guida il suo cammino. «Cari fratelli e sorelle, sia questo Sinodo un tempo abitato dallo Spirito! Perché dello Spirito abbiamo bisogno, del respiro sempre nuovo di Dio, che libera da ogni chiusura, rianima ciò che è morto, scioglie le catene, diffonde la gioia. Lo Spirito Santo è colui che ci guida dove Dio vuole e non dove ci porterebbero le nostre idee e i nostri gusti personali. Il padre Congar, di santa memoria, ricordava: “Non bisogna fare un’altra Chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa” (Vera e falsa riforma nella Chiesa, Milano 1994, 193). E questa è la sfida. Per una “Chiesa diversa”, aperta alla novità che Dio le vuole suggerire, invochiamo con più forza e frequenza lo Spirito e mettiamoci con umiltà in suo ascolto, camminando insieme, come lui, creatore della comunione e della missione, desidera, cioè con docilità e coraggio».29
Il ministero gerarchico nella Chiesa sinodale
Nel suo discorso per il 50° anniversario del Sinodo, Francesco ha proposto il superamento della figura piramidale della Chiesa. E ha parlato della Chiesa sinodale con la suggestiva immagine di una piramide rovesciata. «La sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico (…). Gesù ha costituito la Chiesa ponendo al suo vertice il collegio apostolico, nel quale l’apostolo Pietro è la “roccia” (cf. Mt 16,18), colui che deve “confermare” i fratelli nella fede (cf. Lc 22,32). Ma in questa Chiesa, come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della base. Per questo coloro che esercitano l’autorità si chiamano “ministri”: perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli tra tutti. È servendo il popolo di Dio che ciascun vescovo diviene, per la porzione del gregge a lui affidata, vicarius Christi, vicario di quel Gesù che nell’ultima cena si è chinato a lavare i piedi degli apostoli (cf. Gv 13,1-15). E, in un simile orizzonte, lo stesso successore di Pietro altri non è che il servus servorum Dei».30
Questo reinvestimento della figura della Chiesa era già stato realizzato dal c. II della Lumen gentium. La teologia della sinodalità di Francesco è uno sviluppo omogeneo dell’evento conciliare e della sua dottrina ecclesiologica.31 Seguendo la logica della costituzione dogmatica sulla Chiesa (cf. Lumen gentium, nn. 18, 20, 24), offre il quadro interpretativo appropriato per comprendere e vivere il ministero gerarchico – il vertice della piramide alla base – come un umile servizio al popolo di Dio, la base al vertice. A molti non piace l’immagine della piramide rovesciata e preferiscono parlare di circolarità nel rapporto tra il popolo di Dio e il ministero gerarchico. Io preferisco parlare di capovolgimento dell’immagine, almeno per un po’, perché per secoli c’è stata una figura di Chiesa incentrata sui ministeri del papa e del sacerdote (parroco), neppure su quello del vescovo.
In questo discorso, il papa ha ricordato che l’autorità apostolica è un dono al servizio di tutti. «Per i discepoli di Gesù, ieri oggi e sempre, l’unica autorità è l’autorità del servizio, l’unico potere è il potere della croce, secondo le parole del Maestro: “Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo” (Mt 20,25-27). Tra voi non sarà così: in quest’espressione raggiungiamo il cuore stesso del mistero della Chiesa – “tra voi non sarà così” – e riceviamo la luce necessaria per comprendere il servizio gerarchico».
Nello stesso discorso il papa ha delineato il rapporto tra il popolo di Dio, il collegio episcopale e il vescovo di Roma, i tre soggetti sinodali che interagiscono a livello di tutta la Chiesa e il Sinodo dei vescovi. Lo ha fatto partendo dall’atteggiamento di ascolto, chiave della Chiesa sinodale. Alla vigilia del Sinodo dello scorso anno (2024) ha detto: «Chiediamo allo Spirito Santo innanzitutto il dono dell’ascolto per i padri sinodali: ascolto di Dio fino a sentire con lui il grido del popolo; ascolto del popolo fino a respirare in esso la volontà a cui Dio ci chiama». Con queste parole ha confermato l’auspicio espresso nella sua esortazione programmatica: «Bisogna formarsi continuamente all’ascolto» (Evangelii gaudium, n. 174; EV 29/2280). Chi è stato con lui sa che era una persona interamente dedita all’ascolto.
La Chiesa in ascolto dello Spirito
Francesco ha insistito sul fatto che il discernimento sinodale richiede di disporsi a silenzio, umiltà, ascolto, parresia e obbedienza allo Spirito. «L’unico metodo del Sinodo è quello di aprirsi allo Spirito Santo, con coraggio apostolico, con umiltà evangelica e con orazione fiduciosa».32
La Chiesa è la comunità di tutti i battezzati nello Spirito di Cristo che custodiscono la parola di Dio. Il battesimo è la fonte della vocazione sinodale di tutti i discepoli missionari. Aprendo il processo sinodale 2021-2025, il papa argentino ha riflettuto sulle sue tre componenti: comunione, partecipazione, missione. In questo contesto, ha sottolineato la dinamica della partecipazione che è guidata dallo Spirito.
«Nel corpo ecclesiale l’unico punto di partenza, e non può essere altro, è il Battesimo, nostra fonte di vita, da cui deriva un’identica dignità di figli di Dio, pur nella differenza dei ministeri e dei carismi. Tutti siamo chiamati a partecipare alla vita e alla missione della Chiesa».33
Il Documento finale del recente Sinodo sulla sinodalità riprende la soggettività ecclesiale di tutto il popolo di Dio e mette in evidenza il protagonismo di tutti i battezzati. «Il processo sinodale ci ha fatto provare il “gusto spirituale” (…) di essere popolo di Dio, riunito da ogni tribù, lingua, popolo e nazione, che vive in contesti e culture diverse. Esso non è mai la semplice somma dei battezzati, ma il soggetto comunitario e storico della sinodalità e della missione (...) Il processo sinodale ha evidenziato che lo Spirito Santo costantemente suscita nel popolo di Dio una grande varietà di carismi e ministeri (…). Ugualmente è emersa l’aspirazione ad ampliare le possibilità di partecipazione e di esercizio della corresponsabilità differenziata di tutti i battezzati, uomini e donne» (nn. 17, 36).34
In questo quadro s’inserisce la questione del clericalismo, che è una manipolazione del ministero ordinato che non serve il popolo di Dio, ma se ne serve. È la tentazione dell’attaccamento al potere decisionale ecclesiale e non il servizio dell’autorità all’intera comunità.
Il clericalismo può essere talvolta un fenomeno ideologico, ma è sempre un attaccamento disordinato all’autorità pastorale nei confronti delle persone e delle comunità, che genera autoritarismo a livello di coscienza, predicazione, accompagnamento e guida. Si esprime soprattutto negli abusi connessi al potere, al denaro e al sesso. Si è accentuato con l’abuso di minori da parte di ministri della Chiesa, soprattutto con il peccato, il crimine e lo scandalo della pedofilia, e dall’attaccamento a una cultura dell’occultamento, della complicità e dell’impunità. In diverse occasioni Francesco ha sottolineato che, insieme ad atteggiamenti e procedure di rispetto, cura e controllo istituzionale, la sinodalità è il modo appropriato per cercare di crescere nella comunione e superare il clericalismo.35
La diaconia sinodale per la fratellanza universale
La vocazione sinodale che deriva dal battesimo ci spinge a camminare insieme e con tutto il popolo di Dio e, al tempo stesso, mobilita tutta la Chiesa a camminare insieme coi popoli dell’umanità. Questo è lo spirito e la lettera dell’introduzione alla costituzione pastorale Gaudium et spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, e hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia».36
Nel suo discorso per il 50° anniversario del Sinodo, il papa ha fatto riferimento a questa dimensione della sinodalità.
«Il nostro sguardo si estende anche all’umanità… Come Chiesa che “cammina accanto” agli uomini, condividendo le difficoltà della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità possa aiutare la società civile a costruirsi nella giustizia e nella fraternità, promuovendo un mondo più bello e degno dell’uomo per le generazioni che verranno dopo di noi».
Francesco chiede una Chiesa sinodale che cammini con tutti i popoli, rispettando le loro caratteristiche culturali e sociali, e che contribuisca a costruire un’umanità fraterna nella comunione universale.
«La mia preoccupazione come papa è stata quella di promuovere questo tipo di traboccamenti all’interno della Chiesa, facendo rivivere l’antica pratica della sinodalità. Il mio desiderio era quello di dare vita a questo antico processo, non solo per il bene della Chiesa, ma come servizio all’umanità, spesso impantanata in disaccordi paralizzanti. La parola deriva dal greco syn-odos, “camminare insieme”, e questo è il suo scopo: non tanto forgiare un accordo, ma riconoscere, valorizzare e riconciliare le differenze su un piano più alto, dove ciascuno può mantenere il meglio di sé».37
La prassi sinodale può aiutare a superare i disaccordi paralizzanti e a maturare processi di dialogo per costruire ponti e abbattere muri. La diaconia sociale della sinodalità promuove la cultura della giustizia, della pace e della cura della casa comune in una società globalizzata e frammentata.
Una Chiesa samaritana, povera e solidale
La Chiesa collabora alla crescita della fraternità universale e dell’amicizia sociale secondo l’icona del buon samaritano e nel solco dell’enciclica Fratelli tutti del 2020. La logica della fraternità supera la dialettica escludente tra amicizia e inimicizia. Avvicinarsi all’altro (alter) come fratello (frater) – uomo o donna – è la scelta per ricostruire un mondo ferito, integrare l’alterità e combattere il fratricidio, secondo l’espressione di Gesù «voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8).
L’amore fraterno è la fonte, la chiave e l’obiettivo di una cultura sinodale dell’incontro e dell’inclusione. «“La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita”. Tante volte ho invitato a far crescere una cultura dell’incontro, che vada oltre le dialettiche che mettono l’uno contro l’altro. È uno stile di vita che tende a formare quel poliedro che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità ricca di sfumature, perché “il tutto è superiore alla parte”. Il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda, benché ciò comporti discussioni e diffidenze. Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo» (Fratelli tutti, n. 215; Regno-doc. 17,2020,560s).
La fraternità compassionevole e inclusiva si manifesta nell’amore per i fratelli più poveri di Gesù. Nell’esortazione Evangelii gaudium Francesco ha presentato la nostra fede nel Cristo povero e il posto privilegiato dei poveri nel cuore di Dio e della Chiesa (cf. Evangelii gaudium, nn. 186-216).38 A mio parere questa sezione contiene la migliore esposizione di un documento pontificio su Cristo, la Chiesa e i poveri. Poi, nell’esortazione Gaudete et exsultate, ha presentato la santità come uno stile di vita incentrato sulle beatitudini di Gesù (cf. Mt 5,3-12) come criterio sul quale saremo giudicati in base all’amore per i più piccoli dei fratelli (cf. Mt 25,31-46; Gaudete et exsultate, nn. 63-109).
A partire dai fondamenti teologici e cristologici, Francesco ha dichiarato il suo sogno: «Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare a essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche a essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (Evangelii gaudium, n. 198; EV 29/2304).
La fraternità compassionevole si manifesta soprattutto nell’accoglienza ospitale dello straniero.39 A partire dal suo viaggio a Lampedusa, il papa ha mostrato il suo amore per coloro che subiscono la migrazione forzata. Attraverso di loro Gesù continua a dirci: «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35). Il nostro mondo, attraversato da diseguaglianze, esclusioni e violenze, ha bisogno di questa testimonianza fraterna, samaritana, ospitale e profetica. Francesco ripeteva che lo stile di Dio è la vicinanza, la compassione e la tenerezza. Per accompagnare il cammino di un’umanità ferita, abbiamo bisogno della mistica della fraternità.
«Lì sta la vera guarigione, dal momento che il modo di relazionarci con gli altri che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono» (Evangelii gaudium, n. 92; EV 29/2198).
C’è da chiedersi se questo sguardo sulla grandezza sacra di ogni persona, sulla ricerca della pace e sulla cura siano state alcune delle ragioni della popolarità di Francesco tra molti giovani.
Carlos María Galli