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Attualità
Attualità, 8/2025, 15/04/2025, pag. 209

Santa Sede - Collegio cardinalizio: servirà tempo

Per amalgamare il prossimo conclave

Guido Mocellin

Lo scorso 17 febbraio, quando papa Francesco era appena stato ricoverato al Gemelli e ancora non si conosceva la gravità della sua malattia, p. Thomas Reese ha segnalato l’urgenza che egli, «per prepararsi al suo inevitabile declino e alla sua morte» prenda alcuni provvedimenti qualora la sede romana dovesse rendersi vacante.

Lo scorso 17 febbraio, quando papa Francesco era appena stato ricoverato al Gemelli e ancora non si conosceva la gravità della sua malattia, p. Thomas Reese, gesuita, noto ed esperto commentatore di cose vaticane, ha segnalato, in un articolo sul sito di RNS (Religion News Service: bit.ly/4iDTlrz), l’urgenza che egli, «per prepararsi al suo inevitabile declino e alla sua morte» prenda alcuni provvedimenti non solo in riferimento a «cosa fare in caso di sua incapacità», ma anche – qualora la sede romana dovesse rendersi vacante – in riferimento allo svolgimento delle congregazioni generali e alle procedure di voto del
conclave.

Queste due materie sono attualmente regolate dalla costituzione apostolica Universi Dominici gregis, che Giovanni Paolo II promulgò nel 1996 (Regno-doc. 7,1996,193) e che Benedetto XVI intervenne a modificare con due motu proprio: De aliquibus mutationibus in normis de electione romani pontificis, del 2007 (Regno-doc. 17,2007,526 e Regno-att. 14, 2007,137) e Normas nonnullas, del 2013, quando già aveva comunicato pubblicamente la rinuncia (Regno-doc. 5,2013,137).

Papa Ratzinger, nello specifico, mitigò l’introduzione, decisa da papa Wojtyła, della possibilità che il papa venisse eletto a maggioranza assoluta a partire dal 13o giorno di scrutini conclusi senza alcuna elezione, istituendo, dopo lo stesso numero di giorni, una forma di ballottaggio: andare avanti nella ricerca della maggioranza qualificata dei due terzi dei voti ma restringendo il voto ai soli due candidati risultati più votati nell’ultimo scrutinio.

Un’ipotesi: tornare alla maggioranza dei due terzi

Nel suo articolo p. Reese propone il ritorno alla modalità di elezione precedente al 1996, cioè procedendo a oltranza negli scrutini fino a che un candidato non ottenga la maggioranza qualificata: «Il modo tradizionale di eleggere un papa con i due terzi dei voti è migliore di queste novità. Incoraggia l’elezione di un candidato di consenso piuttosto che di uno che rappresenti solo una fazione della maggioranza. Permette al conclave di votare per diversi candidati finché uno non ottiene i due terzi dei voti».

Quanto alle congregazioni generali p. Reese suggerisce l’adozione di un metodo simile a quello delle «conversazioni nello Spirito» sperimentato alle due sessioni dell’ultimo Sinodo dei vescovi, anziché dare a ciascun cardinale che lo richieda il tempo per una breve comunicazione rivolta a tutti i confratelli porporati. Questo per facilitare una conoscenza reciproca e un po’ più approfondita tra i cardinali: è unanime valutazione che, all’interno dell’attuale Collegio, tale conoscenza attualmente manchi. Secondo questo osservatore, a organizzare tali discussioni dovrebbe essere autorizzata proprio la Segreteria generale del Sinodo. «Esse potrebbero durare una settimana e concentrarsi su tre argomenti: lo stato del mondo, lo stato della Chiesa e le qualità necessarie al prossimo papa».

A tutt’oggi toccherebbe al card. Giovanni Battista Re, in qualità di decano del Collegio cardinalizio, e al card. Leonardo Sandri, in qualità di sottodecano, presiedere le congregazioni generali ed eventualmente sottoporre ai cardinali una modifica del metodo. Eletti dal piccolo gruppo dei cardinali appartenenti all’ordine dei vescovi, la loro carica era a vita prima che papa Francesco ne disponesse la scadenza dopo 5 anni (con un motu proprio del 21 dicembre 2019); tuttavia, con due provvedimenti dello scorso gennaio (cf. Regno-att. 6, 2025,180), il papa ha prorogato l’approvazione della loro elezione, che risaliva al 18 e al 24 gennaio 2020.

Essendo entrambi ultraottantenni (91 e 81 anni, rispettivamente) non potranno presiedere né l’assemblea dei cardinali elettori, che durante la sede vacante è chiamata a trattare le questioni più importanti, né il conclave vero e proprio: tra di essi toccherà allora al cardinale elettore «più anziano, secondo l’ordine consueto di precedenza» (Universi Dominici gregis, n. 9), presiederla: attualmente il card. Pietro Parolin, in quanto primo nel rescritto del 26 giugno 2018 con il quale papa Francesco ha cooptato nell’ordine dei vescovi del Collegio dei cardinali lui e i cardd. Leonardo Sandri, Marc Ouellet e Fernando Filoni (dei quali a oggi il solo Filoni fa parte degli elettori).

L’altro ruolo di responsabilità durante la sede vacante è quello del cardinale camerlengo: lui e il penitenziere maggiore sono i soli tra i curiali che in tale periodo non cessano dall’esercizio del proprio ufficio. Al camerlengo spettano le prime incombenze dopo l’eventuale morte del papa (accertamento, sigilli allo studio e alla camera, comunicazione al vicario per Roma, presa di possesso del Palazzo apostolico). Costituisce, assieme ad altri tre cardinali (uno per ciascun ordine, estratti a sorte ogni tre giorni tra gli elettori già pervenuti a Roma), le congregazioni particolari, incaricate di occuparsi degli affari ordinari (quelli di minore importanza).

Inoltre stabilisce il giorno d’inizio delle congregazioni generali, che si tengono quotidianamente. Poi, durante il conclave, vigila a 360 gradi sulla segretezza del suo svolgimento. L’attuale camerlengo è il card. Kevin Joseph Farrell, 77 anni: papa Francesco lo ha nominato a tale ufficio nel 2019.

Prevalgono i cardinali europei, seguiti dagli asiatici

E veniamo alla composizione del Collegio cardinalizio. Prendendo a riferimento la relativa sezione del sito ufficiale della Santa Sede (bit.ly/3PrQF3i), che è aggiornata al 6 aprile 2025 (data in cui ha compiuto 80 anni il card. Celestino Aós Braco), ne fanno parte 252 cardinali, dei quali 136 elettori.

Ci concentriamo su questi ultimi, facendo subito presente che tale numero non comprende il card. Angelo Becciu: egli il 24 settembre 2020 ha presentato la sua rinuncia ai «diritti connessi al cardinalato», che il papa ha accettato (cf. Universi Dominici gregis, n. 36); si era all’inizio della vicenda giudiziaria sulla gestione dei fondi della Segreteria di stato e sulla compravendita di un palazzo a Londra che ha portato, il 16 dicembre 2023, alla condanna dello stesso card. Becciu (cf. Regno-att. 2,2024,4). Ma non è tale condanna, pronunciata dal Tribunale dello Stato della Città del Vaticano a conclusione del processo di primo grado, a motivare l’esclusione del porporato dal Collegio degli elettori. Il quale Collegio invece comprende il card. Nakellentuba Ouédraogo la cui data di nascita (così come, un anno fa, quella del card. John Njue) è stata recentemente oggetto di una correzione da parte del diretto interessato e quindi di qualche speculazione giornalistica.

Ci sono diversi modi di suddividere il gruppo degli elettori, ma va detto con onestà che nessuno di essi consente di rappresentare dei reali raggruppamenti omogenei di cardinali – a maggior ragione a motivo della grande libertà con la quale papa Francesco ha proceduto nello sceglierli –, ma solo di riflettere su qualche possibile vettore d’aggregazione. Iniziamo dalla data di creazione: 5 elettori (3,7%) sono stati creati cardinali prima dell’aprile 2005 e dunque da Giovanni Paolo II; 23 (16,9%) sono stati creati prima del marzo 2013 e dunque da Benedetto XVI; i rimanenti 108 (79,4%) sono stati creati da Francesco, nel corso di 10 concistori (1 all’anno, con l’eccezione del 2021).

Se si considera l’area continentale di provenienza, l’Europa, con 52 cardinali elettori (38,2%), è la più rappresentata; seguono l’Asia, con 24 (17,7%); l’America Latina, con 22 (16,2%); l’Africa, con 18 (13,2%); il Nordamerica, con 16 (11,8%) e infine l’Oceania, con 4 (2,9%). Da notare che rispetto al Collegio che elesse Francesco, composto da 115 elettori, gli europei sono percentualmente diminuiti di quasi 14 punti. Invece gli asiatici sono raddoppiati, quelli dell’Oceania triplicati e gli africani sono aumentati di quasi 4 punti; di fatto invariate, infine, le percentuali di nordamericani e latinoamericani.

Da notare anche che, nel novero degli europei, gli italiani nel 2013 erano 28 su 60, ovvero quasi la metà, mentre oggi sono 17 su 52, poco più di un terzo; ciò non toglie che l’Italia rimanga ancora la nazione più rappresentata tra i cardinali elettori, seguita da Stati Uniti (10) e Brasile (7).

Altre due classificazioni sono quelle che distinguono, tra i cardinali, i «regolari», cioè gli appartenenti a ordini religiosi, e i «curiali», cioè che attualmente ricoprono incarichi in Vaticano, supponendo che ciascuno di questi due gruppi si muoverebbe in modo omogeneo davanti all’eventualità di un’elezione papale. Al momento i religiosi votanti sono 34 (il 25%); i curiali votanti sono 27 (quasi il 20%), dei quali 8 provenienti dall’Italia (secondo lunga tradizione), 3 dagli Stati Uniti, 2 dalla Francia, 2 dalla Polonia e i rimanenti 12 distribuiti tra altrettanti paesi. Per curiosità, si può aggiungere che tra i 109 «non curiali» gli emeriti sono altri 27, cosicché, tra gli elettori, i cardinali che attualmente esercitano il ministero attivo in una diocesi sono intorno al 60%.

Alcuni osservatori, prendendo a riferimento il n. 33 della Universi Dominici gregis, si sono domandati se l’eccezione al numero di 120 cardinali non ottantenni, stabilita da Paolo VI e confermata, appunto, da Giovanni Paolo II ma in via di fatto non rispettata a cominciare dallo stesso papa polacco, possa essere considerata applicabile anche nel momento in cui essi entrassero in un conclave o se, qualora proprio quando la sede si rendesse vacante e gli elettori superassero i 120 (cosa non accaduta né nel 2005, né nel 2013), non si rendesse necessario escludere dal conclave gli eccedenti, e, se sì, per decisione di quale tra i soggetti in carica durante la sede vacante e in base a quale criterio (età anagrafica? Anzianità «secondo l’ordine consueto di precedenza»?).

Ma a meno che papa Francesco non convochi un nuovo concistoro nel 2025, e posto che non si verifichi tra gli elettori nessun decesso, l’anagrafe dice che alla fine dell’anno in corso i 136 attuali saranno già ridotti a 125, e il 31 gennaio 2026 a 122.

 

Guido Mocellin

Tipo Articolo
Tema Santa Sede
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