Francesco - Ecumenismo: vescovo di Roma - Speciale Francesco

L'impronta ecumenica data da Jorge Mario Bergoglio al suo pontificato risale alle primissime parole con cui lo ha inaugurato il 13 marzo 2013, quando si è presentato come «vescovo di Roma». Questa autodefinizione apriva sin da subito a una riformulazione ecumenica del tema del primato petrino, nella direzione prefigurata dal n. 95 dell’Ut unum sint. Era stato Paolo VI che, in occasione della sua visita al Consiglio ecumenico delle Chiese a Ginevra nel 1969, aveva rilevato come i tempi per un ingresso non fossero «ancora maturi», individuando la causa di questa impossibilità nel ministero petrino: «Il ministero petrino, creato per l’unità delle Chiese, è diventato il più grande ostacolo alla stessa».
Nel prosieguo del suo ministero Francesco non ha formalizzato riforme significative in ambito ecumenico, ma ha coltivato relazioni fraterne e gesti altamente simbolici che configurano un prima e un dopo.
Ha coltivato una relazione di stretta amicizia personale con il patriarca ecumenico Bartolomeo I, da lui chiamato «fratello Andrea» (l’apostolo Andrea, fratello di Pietro e fondatore della Chiesa di Costantinopoli), il quale – con un gesto senza precedenti dal 1054 – aveva partecipato alla messa inaugurale del pontificato. Come a «fratelli e sorelle» Francesco si è rivolto ai cristiani, ma anche agli ebrei (cf. in questo numero a p. 39), fino all’enciclica Fratelli tutti, che estende la fratellanza anche ai non cristiani (cf. in questo numero a p. 42).
Tra le sue priorità c’è stata chiaramente quella di migliorare le relazioni con le Chiese ortodosse e ortodosse orientali, come dimostrano le numerose visite in paesi a maggioranza ortodossa o in cui risiedono importanti leader ortodossi: Israele (Gerusalemme), Albania, Turchia nel 2014; Bosnia ed Erzegovina nel 2015; Grecia, Armenia, Polonia, Georgia nel 2016; Egitto nel 2017; Bulgaria, Macedonia settentrionale, Romania nel 2019; Cipro, Grecia nel 2021.
Oltre all’amicizia con Bartolomeo, di cui Francesco teneva una fotografia sulla scrivania, in ambito ortodosso un’altra pietra miliare è stato il primo incontro di un papa con un patriarca di Mosca, Cirillo, avvenuto nell’aeroporto dell’Avana il 12 febbraio 2016 (cf. Regno-att. 2,2016,4; Regno-doc. 3,2016,82). La giustificazione teologica che il patriarca Cirillo ha incrollabilmente fornito all’aggressione militare della Russia contro l’Ucraina non ha consentito che lo spunto del 2016 procedesse in altri incontri successivi, grazie all’opposizione altrettanto tenace del prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, il cardinale svizzero Kurt Koch.
E poi l’incontro, nel nome della carità e dell’accoglienza verso i profughi a Lesbo, il 16 aprile 2016 tra Francesco, il patriarca ecumenico Bartolomeo e l’arcivescovo ortodosso greco Ieronymos (cf. Regno-att. 6,2016,135; Regno-doc. 7,2016,205).
La riconciliazione è stato il tema di un altro evento ecumenico centrale del pontificato: la commemorazione dei 500 anni della Riforma protestante a Lund, in Svezia, nel 2016 (cf. Regno-att. 18,2016,518; Regno-doc. 19,2016,585). In quell’occasione papa Francesco riconobbe con gratitudine il contributo della Riforma alla storia della Chiesa (e abbracciò Antje Jackelén, allora vescova luterana di Uppsala e primate della Chiesa di Svezia), mentre il segretario della Federazione luterana mondiale Martin Junge riconosceva al papa una leadership ecumenica (cf. Regno-att. 18,2016,520).
Leadership ecumenica che è stata riconosciuta a Francesco anche dal primate della Comunione anglicana Justin Welby, il quale insieme al papa ha compiuto diversi gesti simbolici, dall’invio missionario da Roma di 38 coppie di vescovi, uno cattolico e uno anglicano, in due occasioni, nel 2016 e nel 2024, al «pellegrinaggio di pace» in Sud Sudan del febbraio 2023 (cf. Regno-doc. 5,2023,129).
Papa Francesco è anche stato il primo pontefice nella storia ad attraversare il portone della Chiesa evangelica valdese di Torino, il 22 giugno 2015 (cf. Regno-att. 7,2015,442). In quell’occasione il moderatore Eugenio Bernardini ha sottolineato come il gesto del papa abbia significato il superamento di un muro, eretto oltre otto secoli fa, per entrare nella visione dell’unità tra i cristiani intesa «come diversità riconciliata» (cf. Regno-doc. 25,2015,9). Il modello ecumenico sposato da papa Francesco sembra effettivamente essere quello della «diversità riconciliata», espresso nel suo linguaggio icastico come «ecumenismo del poliedro».
Al cuore dell’impegno ecumenico c’è, per Francesco, l’impegno evangelizzatore, perché la divisione dei cristiani è la principale contro-testimonianza all’annuncio del Vangelo, che rimane l’istanza centrale del pontificato. Tanto che nella sua visita al CEC del 2018 affermava: «Permettetemi, cari fratelli e sorelle, di manifestarvi, oltre al vivo ringraziamento per l’impegno che profondete per l’unità, anche una preoccupazione. Essa deriva dall’impressione che ecumenismo e missione non siano più così strettamente legati come in origine. Eppure il mandato missionario, che è più della diakonia e della promozione dello sviluppo umano, non può essere dimenticato né svuotato. Ne va della nostra identità. L’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini è connaturato al nostro essere cristiani» (Regno-doc. 13,2018,431s).
Pochi mesi fa è stato pubblicato il documento Il vescovo di Roma (Regno-doc. 13,2024,385) del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, che nel tempo intercorso dall’enciclica Ut unum sint di Giovanni Paolo II ha approfondito insieme alle Chiese sorelle il tema dell’esercizio del primato petrino, e ha elaborato alcune proposte abbastanza concrete su cui lavorare nel prossimo futuro per un ministero di unità del vescovo di Roma «riconosciuto dagli uni e dagli altri». Il compito ora è affidato al prossimo papa.
Daniela Sala