A
Attualità
Attualità, 20/2020, 15/11/2020, pag. 628

Non le piccole virtù

Mariapia Veladiano

È ancora lo spirito dell’impensato tempo presente a guidare la RiLettura di questo decimo mese di pandemia, quasi un intero anno. Come si guardano le cose, nella nuova consapevolezza di poter essere chiamati a lasciarle presto, molto presto? E non vale dire che è sempre così, che sempre la nostra condizione è fragile e sempre tutto può cambiare. È vero ma è, come dire, un esercizio di saggezza davvero non frequente in una generazione, la nostra, che ha conosciuto sì la povertà, ma dentro l’orizzonte di un futuro pieno di promesse, e in un’altra generazione, quella dei nostri figli, che in questo futuro sono nati e ci hanno nuotato con maggiore o minore felicità ma probabilmente con uguale inconsapevolezza.

Ecco allora la letteratura, che come sempre ci aiuta. Natalia Ginzburg, Le piccole virtù (Einaudi 2012, eBook), il ricordo di uno sguardo: «C’è stata la guerra e la gente ha visto crollare tante case e adesso non si sente più sicura nella sua casa com’era quieta e sicura una volta. C’è qualcosa di cui non si guarisce e passeranno gli anni ma non guariremo mai (...) Una volta sofferta, l’esperienza del male non si dimentica più. Chi ha visto le case crollare sa troppo chiaramente che labili beni siano i vasetti di fiori, i quadri, le pareti bianche. Sa troppo bene di cosa è fatta una casa. Una casa è fatta di mattoni e di calce e può crollare. Una casa non è molto solida. Può crollare da un momento all’altro. Dietro i sereni vasetti di fiori, dietro le teiere, i tappeti, i pavimenti lucidati a cera, c’è l’altro volto vero della casa, il volto atroce della casa crollata» (83).

È un saggio bellissimo del 1946, Il figlio dell’uomo. La guerra era appena finita ma ogni pensiero era sotto il segno di lei, la distruttrice. La fragilità del mondo era sapienza che rendeva impossibile lo sguardo tracotante, prometeico, arrogante sul mondo e le cose. Bisognava viaggiare prudenti, consapevoli che la bellezza e la libertà e la felicità non sono scontate. «Noi non possiamo mentire nei libri e non possiamo mentire in nessuna delle cose che facciamo. È forse questo l’unico bene che ci è venuto dalla guerra» (83). Non è stato così. Tutta la cultura ebraica ce lo diceva da sempre: niente di nuovo sotto il sole, niente meravigliose sorti progressive, si impara poco dalla storia, che ripete i propri errori.

Ma la fine della catastrofe porta sollievo e Natalia ha dei figli che la guerra l’hanno attraversata da piccolissimi. Di questo parla con Angela Zucconi, l’amica di Scarpe rotte, un altro saggio-racconto che troviamo nella raccolta: «La mia amica non ha figli, io invece ho dei figli (...) In un certo senso lei non ha problemi, può cedere alla tentazione di buttar la vita ai cani, io invece non posso» (51). I figli ci salvano la vita, durante e dopo la catastrofe. Per loro nessun cedimento è possibile. Per loro Natalia e le altre e gli altri hanno costruito un nuovo mondo dopo la guerra, pieno di fiducia e benessere.

Natalia aveva conosciuto il benessere, prima: «Non era mai successo niente di grave nella mia vita, ignoravo e la malattia e il tradimento e la solitudine e la morte. Niente era mai crollato nella mia vita, se non delle cose futili, niente m’era stato strappato che fosse caro al mio cuore. Avevo sofferto soltanto delle oziose malinconie dell’adolescenza e del guaio di non saper come scrivere. Allora ero felice in un modo pieno e tranquillo, senza paura e senz’ansia, e con una totale fiducia nella stabilità e nella consistenza della felicità del mondo». (94)

Potrebbe essere la descrizione della vita dei nostri figli. Abbiamo lavorato perché avessero vite così, in un mondo senza paura. Ma non abbiamo lavorato bene per il mondo, evidentemente. Malato in mille modi. D’ingiustizia, di sfruttamento della natura, gli allevamenti furiosamente produttivi, sovraffollati, bestiali, non animali ma bestiali. E poi abbiamo permesso che i ricchi diventassero troppo ricchi e che intossicassero i desideri dei figli.

Come fare ora? Come educare i figli alla nuova fragilità, e al terribile compito di dover guarire il mondo? Ecco Le piccole virtù, il saggio che dà il nome alla raccolta: «Per quanto riguarda l’educazione dei figli, penso che si debbano insegnar loro non le piccole virtù, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l’indifferenza al denaro; (...) non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere» (118).

È il 1960 quando Natalia Ginzburg scrive qui. La vigilia del miracolo economico e infatti molte parole sono riservate al denaro. A come sia complicato educare al buon uso del denaro, a non considerarlo un dio, il nostro futuro padrone. È singolare come su questo punto la scrittrice sia generosa di esempi e consigli. È importante, molto importante. La meta è «essere sobri con sé stessi e generosi con gli altri» (121). Ecco perché bisogna stare attenti a non abituare i bambini ai premi in denaro (124), anche a scuola.

La scuola. Come può essere la scuola che educa al tempo buono e alla tempesta che sempre può arrivare? «Al rendimento scolastico dei nostri figli, siamo soliti dare una importanza che è del tutto infondata» (124). Prendiamo il rendimento come un aspetto della «piccola virtù» del successo. «In verità la scuola dovrebbe essere fin da principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin da principio dovrebbe essere chiaro che quello è un suo campo di battaglia, dove noi non possiamo dargli un soccorso del tutto occasionale e irrisorio. E se là subisce ingiustizie o viene incompreso, è necessario lasciargli intendere che non c’è nulla di strano, perché nella vita dobbiamo aspettarci d’essere continuamente incompresi e misconosciuti, e di esser vittime d’ingiustizia: e la sola cosa che importa è non commettere ingiustizia noi stessi» (125).

Qualcosa di immenso: «Quel che deve starci a cuore, nell’educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno l’amore alla vita». (126) Aspettare con pazienza che nasca e si sviluppi una vocazione. E per questo servono «spazio e silenzio». Grazie a Natalia. Grazie alla letteratura.

Tipo Riletture
Tema Cultura e società
Area
Nazioni

Leggi anche

Attualità, 2025-14

Il piccolo vescovo e la Chiesa del futuro

Mariapia Veladiano

Roland Breitenbach pubblicò Il piccolo vescovo. Un romanzo sulla Chiesa del futuro nel 1990 (qui edizioni Neri Pozza 1995, traduzione di Maria Grazia Donella, disegni di Jules Stauber). A 35 anni di distanza, i temi che lo attraversano sono esattamente quelli che possiamo trovare nella rassegna stampa dell’ultima settimana. Impressionante.

Attualità, 2025-12

Come si vince in amore

Mariapia Veladiano
Ecco un libro che ci ricorda quanto l’editoria popolare femminile possa essere molto interessante. Bisogna avere tanta pazienza anche in questo caso (come per La femme chrétienne dans ses rapports avec le monde, cf. Regno-att. 10,2025,284) perché, malgrado si tratti di un romanzo, l’obiettivo trasparente, a partire dal titolo, è l’educazione, qui scopertamente sentimentale,...
Attualità, 2025-10

Chassay: le donne e le illusioni del mondo

Mariapia Veladiano
A proposito di donne, ecco un libro che ci ricorda quanto la Chiesa può essere imbarazzante. Bisogna avere tanta pazienza, intanto per il titolo lungo, didascalico e impalpabilmente urticante: La femme chrétienne dans ses rapports avec le monde (Paris 1854; trad. it. La donna cristiana nei suoi rapporti colla società, Milano 1856). Poi per l’autore, l’abbé Frédéric-Édouard...