Santa Sede - Riforma della curia: curia eleison
Un’analisi della bozza inedita della Praedicate Evangelium di papa Francesco
È stato durante l’ultima sede vacante, e precisamente nel pre-conclave del 2013, che i cardinali riuniti a Roma hanno parlato della necessità di una riforma radicale della curia romana. La promessa elettorale di papa Francesco, per così dire, è stata di adoperarsi perché il governo della Chiesa universale diventasse più efficiente e moderno. Ora essa deve finalmente essere mantenuta, possibilmente entro il 2019: una nuova costituzione apostolica dovrà sostituire l’ordinamento della curia attualmente in vigore. Il nuovo documento si chiamerà Praedicate Evangelium dalla sua prima proposizione: «Praedicate Evangelium (Predicate il Vangelo): questo è il compito che il Cristo risorto ha affidato ai suoi apostoli».
Fra gli uffici più antichi e prestigiosi della curia romana c’è quello del camerlengo. Durante la sede vacante gli spettano compiti di grande onore: per esempio annunciare ufficialmente la morte del papa, porre il sigillo al suo ufficio e alla sua abitazione, prendere possesso dei palazzi papali: il palazzo apostolico, il palazzo del Laterano, Castel Gandolfo. Ma soprattutto il camerlengo amministra provvisoriamente tutte le proprietà della Santa Sede fino all’elezione di un nuovo papa. In passato l’ufficio di questo «papa ad interim» ha affascinato non solo autori di thriller come Dan Brown e Robert Harris, ma è dovuto apparire molto allettante anche a questo o quel prelato.
Non sorprende quindi che l’esclusivo Consiglio di sei cardinali (C6), istituito negli anni scorsi da papa Francesco per elaborare la bozza della riforma della curia, abbia riflettuto anche sulla futura assegnazione dell’ufficio di camerlengo. Finora il papa nominava camerlengo un cardinale di sua scelta (attualmente è lo statunitense Kevin Joseph Farrell). Al contrario nella bozza di riforma della curia, che è ora sotto l’esame di esperti della Chiesa in tutto il mondo, all’art. 216 § 1 si dice: l’ufficio di camerlengo «viene assunto dal cardinale che sino alla morte del romano pontefice è stato il coordinatore del Consiglio per l’economia». Un compito che in pratica andrebbe direttamente a uno dei cardinali del C6, perché è appunto il coordinatore del Consiglio per l’economia. Se la riforma della curia entrasse in vigore in questa forma domani e dopodomani papa Francesco morisse, il nuovo camerlengo di Santa romana Chiesa sarebbe un tedesco: il card. Reinhard Marx.
È stato durante l’ultima sede vacante, e precisamente nel pre-conclave del 2013, che i cardinali riuniti a Roma hanno parlato della necessità di una riforma radicale della curia romana. La promessa elettorale di papa Francesco, per così dire, è stata di adoperarsi perché il governo della Chiesa universale diventasse più efficiente e moderno. Ora essa deve finalmente essere mantenuta, possibilmente entro il 2019: una nuova costituzione apostolica dovrà sostituire l’ordinamento della curia attualmente in vigore. Il nuovo documento si chiamerà Praedicate Evangelium dalla sua prima proposizione: «Praedicate Evangelium (Predicate il Vangelo): questo è il compito che il Cristo risorto ha affidato ai suoi apostoli».
Due grossi leaks, poi silenzio
Dopo consultazioni proseguite per anni, papa Francesco e i membri del suo Consiglio dei cardinali, inizialmente 9 e poi arrivati a 6 (il cosiddetto C6), nell’aprile di quest’anno hanno completato la loro bozza del testo. Il Vaticano l’ha inviata a tutte le conferenze episcopali nazionali, ai capi degli uffici di curia, ai superiori dei religiosi e ad altre istituzioni scelte della Chiesa, con preghiera di far pervenire il loro parere al riguardo. Attualmente il C6 sta esaminando le proposte di modifica. La prossima sessione avrà luogo ai primi di dicembre a Roma. Appena concluso questo processo, il papa potrà decidere sulla promulgazione della Praedicate Evangelium.
Comunque dalle due rivelazioni maggiori che hanno avuto luogo all’inizio del processo di feedback in corso non è più trapelato nulla sul contenuto della bozza. Finora persino a molti vescovi non è stato permesso di darvi uno sguardo. In aprile la rivista spagnola Vida nueva aveva pubblicato solo le caratteristiche fondamentali della riforma progettata.
Da lì si è saputo che gli uffici della curia finora esistenti cambieranno nome, saranno in parte ritagliati diversamente o dotati di nuove competenze. Scompariranno le attuali designazioni di «Congregazione» e «Pontificio consiglio» e la gerarchizzazione degli uffici a essi collegati; in futuro tutte le grandi istituzioni si chiameranno «dicastero».
Sono esclusi da questo la Segreteria di stato, i tribunali apostolici e alcuni dipartimenti speciali, come per esempio la Prefettura della casa pontificia, che nella bozza continuerà a essere chiamata in questo modo, e il già citato Consiglio per l’economia del card. Marx, che continuerà a essere chiamato «Consiglio».
Un esempio perfetto è il previsto «Dicastero per l’evangelizzazione», che nella bozza di costituzione viene nominato per primo. Quella invece che era chiamata la «Suprema», la Congregazione per la dottrina della fede (in futuro «Dicastero per la dottrina della fede») perde importanza: nella bozza occupa il secondo posto fra i dicasteri. Inoltre, come ha riferito il sito web statunitense National Catholic Register in un secondo leak a fine maggio, i laici avranno più potere nella futura burocrazia del Vaticano e potranno dirigere anche dicasteri, come avviene già per il Dicastero per la comunicazione fondato nel 2018.
Ma come solo ora si apprende, Praedicate Evangelium nella sua forma attuale accanto a cambiamenti dell’organigramma assicurerà anche un nuovo modo di lavorare e una nuova politica del personale in Vaticano. Gli officiali della curia, che vengono inviati dalle diverse diocesi della Chiesa universale al Vaticano, dovranno dimostrare di avere «almeno quattro anni di esperienza nel servizio pastorale», si dice nell’art. 14 (su un totale di 243) della bozza di costituzione in italiano, a cui Herder Korrespondenz ha avuto accesso.
Inoltre, sarebbe «desiderabile» che i sacerdoti impiegati in curia svolgessero, oltre al loro lavoro in curia, anche un’attività pastorale, «per quanto possibile» (art. 6). Spetterà poi ai dicasteri curare una «formazione personale permanente del loro personale» (art. 7).
Ma soprattutto gli artefici della riforma vogliono venire a capo del tristemente noto caos delle informazioni in Vaticano. Poiché nella curia praticamente non esistono strumenti standardizzati d’informazione al di sopra di tutti i settori, spesso un ufficio non sa ciò che fa l’altro. A volte questo ha conseguenze disastrose, come ad esempio nel caso Williamson del 2009, quando delle informazioni decisive sul negazionismo del vescovo lefebvriano Richard Williamson non arrivarono mai a Benedetto XVI, benché in curia fossero ben note.
Riunioni di gabinetto senza monarca
Per evitare in futuro analoghe dispersioni d’informazioni, l’attuale bozza di riforma prevede consultazioni regolari dei dicasteri con il papa, nonché l’obbligo di uno scambio fra di loro; attualmente questo avviene solo sporadicamente.
Nell’art. 25 si dice: «I capi dei dicasteri, degli uffici e degli organismi o, in loro vece, i segretari sono ricevuti personalmente con modalità stabile dal sommo pontefice, al fine di riferire frequentemente e in modo programmatico le attività e gli affari correnti del dicastero». L’art. 29 prescrive una votazione interdicasteriale su «materie che riguardano più competenze o dicasteri». Nel caso in cui la materia avesse bisogno di uno scambio più frequente, «si istituisce un’apposita commissione interdicasteriale» (art. 29, § 5).
Inoltre la bozza di Praedicate Evangelium prevede riunioni a turno dei dicasteri, con queste finalità: «Al fine di favorire maggiore coerenza e trasparenza nel lavoro della curia, per disposizione del sommo pontefice i capi dei dicasteri, degli uffici e degli altri organismi vengono convocati regolarmente per discutere i piani di lavoro dei singoli dicasteri e la loro applicazione; per coordinare il lavoro di tutti; per dare e ricevere informazioni ed esaminare le questioni di maggiore importanza, offrire pareri e suggerimenti, prendere decisioni da proporsi al sommo pontefice» (art. 34, § 1).
Questo articolo è il più vicino all’idea di regolari riunioni di gabinetto della curia, che in passato era stata una richiesta di riforma spesso avanzata. Al riguardo è degno di nota il fatto che nella formulazione attuale si pensi chiaramente a sedute di gabinetto senza il monarca. Probabilmente i riformatori volevano risparmiare l’agenda del papa. Ma forse da questo format si attendono anche uno scambio di opinioni più aperto tra i capi degli uffici, che anche in futuro si chiameranno prefetti.
La convocazione e organizzazione di queste riunioni di gabinetto dovrà essere affidata, secondo la bozza allo stato attuale, a un dipartimento di nuova creazione, che parrebbe così diventare uno dei centri decisionali più influenti in Vaticano: già nei «Criteri e principi per la curia romana» introduttivi si stabilisce la creazione di un «ufficio» nella posizione di una «Segreteria papale», «allo scopo di coordinare i diversi organismi». Questa Segreteria papale viene assegnata secondo i progetti – ironia della sorte – proprio a quell’ufficio che secondo i critici già ora possiede troppa influenza: la Segreteria di stato.
In realtà negli anni scorsi un’altra idea di riforma avanzata spesso era stata quella di dimagrire drasticamente la Segreteria di stato, il più potente di tutti gli organi della curia, una mescolanza di Cancelleria di stato papale e di Ministero degli esteri, o meglio di distribuire i suoi compiti fra più uffici. Fondata all’epoca del Rinascimento come ufficio di scrittura per la corrispondenza diplomatica e degli indirizzi di cortesia, venne elevata negli anni Sessanta da Paolo VI a Segreteria di stato, strumento amministrativo centrale del suo governo.
Nel 1988 Giovanni Paolo II confermò questa funzione nella sua costituzione Pastor bonus. Da allora l’ufficio è cresciuto da 2 a 3 sezioni e gestisce in definitiva, sotto la direzione del cardinale segretario di stato, tutto ciò che il papa fa, dice e decide, non di rado in conflitto di competenza con altri dicasteri. Perciò i critici continuano a mettere in guardia da una curia che si rende autonoma all’interno della curia, un sospetto che non è stato assolutamente disinnescato dalla robusta conduzione dell’ufficio da parte del segretario di stato Tarcisio Bertone sotto Benedetto XVI.
Preminenza della Segreteria di stato
Comunque la bozza di Praedicate Evangelium non intacca la posizione preminente della Segreteria di stato. Come già nella Pastor bonus, essa viene presentata prima del Dicastero per l’evangelizzazione e di tutti gli altri dicasteri, come un ufficio sui generis. Le sue attuali 3 sezioni (Affari generali; Rapporti con gli stati; Personale di ruolo diplomatico della Santa Sede) vengono espressamente confermate; non si notano tagli nelle sue competenze, piuttosto il contrario, come mostra l’esempio della Segreteria papale.
Si è quindi potuto riprendere immutato da Pastor bonus l’articolo introduttivo, che compendia brevemente l’importanza della Segreteria di stato, variando semplicemente la collocazione, dall’art. 39 all’art. 44: «La Segreteria di stato coadiuva da vicino il sommo pontefice nell’esercizio della sua suprema missione».
Non è l’unico passo ripreso alla lettera o in una forma molto simile da precedenti leggi papali. Nella bozza non si menzionano questioni giuridiche più recenti quali la possibilità di una rinuncia da parte del papa o la figura di un papa emeritus. Lo stesso C6 non compare nel testo. Tutta la struttura di Praedicate Evangelium segue il modello della Pastor bonus.
Il capitolo su «Norme generali» è seguito dai capitoli «Segreteria di stato», «Dicasteri» (in precedenza «Congregazioni»), nonché dai capitoli sulla giurisdizione e infine sulle altre istituzioni e uffici della Santa Sede. Questa struttura viene semplicemente ampliata con l’inserimento di due capitoli introduttivi, denominati «Prologo» (c. I) e «Criteri e principi per la curia romana» (c. II), nei quali si chiarisce in qualche modo lo spirito della storia della riforma della curia; decentramento; maggiore influenza dei laici; carattere di servizio degli uffici; migliore comunicazione interna.
Come spesso capita nel pontificato di Francesco, grandi cambiamenti nello stile s’accompagnano per quanto riguarda il contenuto a cambiamenti di dettaglio che vanno dallo scarno all’enigmatico. Per esempio, la Congregazione per la dottrina della fede, perlomeno sulla carta, dovrebbe subire uno spostamento d’accento carico di conseguenze. Si trova nell’articolo che in Pastor bonus era il 49 e ora viene introdotto come art. 68.
Il testo parla della promozione della dottrina della fede e della ricerca teologica, che è affidata al dicastero. Ma ora è stato aggiunto un secondo paragrafo: «Esso [il Dicastero per la dottrina della fede] collega la fedeltà all’insegnamento della tradizione anche con il coraggio di trovare nuove risposte a nuove questioni» (art. 68, § 2). Suona come una clausola di modernizzazione.
Ma l’espressione è in definitiva un’affermazione autoevidente, dalla quale non si possono ancora trarre in alcun modo conseguenze giuridicamente vincolanti. Questo sarebbe demandato a un documento successivo, a un ordinamento concreto della materia della curia («Regolamento»), che in ogni caso dovrà essere elaborato dopo la promulgazione di Praedicate Evangelium.
Questo vale analogamente per l’intero orientamento fondamentale ideale di Praedicate Evangelium. Come punto di partenza della riforma, il documento vuole fondare in modo totalmente nuovo l’esistenza della curia romana: la curia deve essere compresa non più come l’insieme degli uffici del papa (cosa che indubbiamente è, se considerata storicamente), ma come aiutante al tempo stesso del papa e dell’intero collegio dei vescovi.
Curia organismo di servizio
In un punto si parla di «una sorta di piattaforma e forum di comunicazione», del quale devono beneficiare allo stesso modo le Chiese particolari e la Santa Sede. Il prologo sintetizza: «La curia non è situata fra il papa e il collegio dei vescovi, ma è al servizio di entrambi». In un capitolo successivo si afferma che la curia lo deve «ai successori degli apostoli», nel senso del «sano decentramento», il Leitmotiv di papa Francesco molto citato dalla sua esortazione apostolica Evangelii gaudium (2013).
Di più: l’autorità a partire dalla quale agisce un ufficio di curia viene derivata al tempo stesso dal papa e dai vescovi: «Ogni dicastero esercita il suo servizio in forza della potestà che ha ricevuto dal papa e dal collegio dei vescovi, che, secondo l’ecclesiologia del concilio Vaticano II, guidano la Chiesa insieme con il successore di Pietro (cf. LG 22,2)».
Ma praticamente non si trova in alcuna determinazione concreta il modo in cui questo nuovo carattere della curia si esprimerà esattamente nella pratica o che cosa questo significherà per le sue competenze. Tutt’al più l’approccio viene esposto più precisamente per le visite ad limina, ossia per i regolari soggiorni delle conferenze episcopali a Roma (artt. 39-42). Le visite ad limina vengono descritte come occasioni di scambio, nelle quali il centro scopre ciò che avviene alla periferia e la periferia si avvale, in caso di problemi, del know-how del centro.
Questa idea, già presente anche nella Pastor bonus, ora è stata ampliata: in futuro i dicasteri «possono» – «attraverso il dialogo aperto e cordiale» – «consigliare», «incoraggiare» le Chiese particolari e le conferenze episcopali, «dare loro proposte e indicazioni adeguate», come pure, al contrario, «ricevere da loro «proposte e indicazioni sul modo in cui esse possono fornire un servizio sempre più utile» (art. 42).
Anche nella descrizione del progettato nuovo Dicastero per l’evangelizzazione, nel quale devono confluire il Consiglio per la nuova evangelizzazione e la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli attualmente esistenti, si può vedere la concezione della curia come «piattaforma d’informazione». Lì si dice che essa deve far conoscere e sostenere «le esperienze più significative già esistenti nel campo dell’evangelizzazione», quindi raccogliere da tutto il mondo e divulgare gli esempi delle pratiche migliori.
Le ambizioni e la realtà
Ma a parte questo caso, è difficile discernere il modo in cui la curia, accanto al suo ruolo centrale fondamentale per i processi della Chiesa universale, dovrà diventare in futuro una fornitrice di servizi non solo per il papa, ma anche per i vescovi e le conferenze episcopali.
All’inizio dei «Criteri e principi per la curia romana», la curia appare nuovamente come puro strumento del papa, quando si cita il decreto Christus Dominus (1965) del concilio Vaticano II: «Nell’esercizio della sua suprema, piena e immediata potestà rispetto a tutta la Chiesa, il romano pontefice si avvale dei dicasteri della curia romana: questi perciò compiono il loro ministero nel nome e per l’autorità di lui, a vantaggio delle Chiese e a servizio dei sacri pastori» (n. 9; EV 1/588).
L’esistenza di un vuoto, a volte, fra la prosa ambiziosa del Preambolo e la realtà oggettiva appare significativamente evidente già ora nella dirittura di arrivo di Praedicate Evangelium. La stessa rielaborazione della bozza attualmente esistente dovrebbe essere un primo assaggio di quello spirito sinodale che gli autori della bozza chiedono a più riprese. Tutte le istituzioni alle quali il papa ha fatto inviare la bozza nell’aprile del 2019, in primo luogo le conferenze episcopali nazionali, hanno potuto far giungere le loro proposte di cambiamento. Ma ora sulle risposte di ritorno delibera il C6.
Questo elemento della partecipazione, poi, non si è sviluppato pienamente proprio nella Conferenza episcopale tedesca, altrimenti così ben disposta in senso sinodale. La Conferenza episcopale ha inviato a Roma entro il tempo stabilito le sue osservazioni sul documento di riforma, anzi è stata la prima fra tutte le altre conferenze episcopali nazionali a farlo, cosa che il Vaticano ha espressamente sottolineato durante l’estate. Inoltre il documento era stato «discusso alla fine di giugno nel Consiglio permanente», come ha affermato Matthias Kopp, addetto al servizio stampa della Conferenza episcopale. Ma da molti ordinariati tedeschi si sente dire che la bozza di Praedicate Evangelium non è stata resa nota ai vescovi tedeschi e che fino a oggi non sarebbe loro pervenuta. Con buona pace della Chiesa sinodale.
Forse la faccenda del camerlengo doveva rimanere una sorpresa.
Lucas Wiegelmann*
* L’articolo, qui in una nostra traduzione dal tedesco, è apparso sulla rivista Herder Korrespondenz 73(2019) 11, novembre 2019, 33-36. Ringraziamo l’autore e l’editore per la gentile disponibilità.