Italia - Chiesa: la nuova questione cattolica
Rileggere le stagioni passate per interpretare una stagione politica inedita
Orfani di un grande passato. Di tanto in tanto, torna sui media il tema del rapporto tra cattolici e politica. Dopo l’esperienza storica della Democrazia cristiana (DC) è una questione irrisolta. Un’intervista, un libro, un manifesto ne fanno oggetto di un breve dibattito. Volto in genere a determinare se la gerarchia ecclesiastica sia intenzionata o meno a benedire un nuovo «partito cattolico». A rifare la DC. Poiché questo è l’unico cliché dei media ed è l’inevitabile rimpianto dell’ultima generazione che visse quei giorni.
Orfani di un grande passato. Di tanto in tanto, torna sui media il tema del rapporto tra cattolici e politica. Dopo l’esperienza storica della Democrazia cristiana (DC) è una questione irrisolta. Un’intervista, un libro, un manifesto ne fanno oggetto di un breve dibattito. Volto in genere a determinare se la gerarchia ecclesiastica sia intenzionata o meno a benedire un nuovo «partito cattolico». A rifare la DC. Poiché questo è l’unico cliché dei media ed è l’inevitabile rimpianto dell’ultima generazione che visse quei giorni.
Quei giorni sono passati. Non torneranno. E tuttavia la questione rimane. Il cattolicesimo politico è stato certamente la forma con la quale il cattolicesimo ha espresso in Italia una creatività capace d’incidere sulla cultura comune e sulla ridefinizione delle istituzioni dopo la tragedia del fascismo. Attraverso la forma partito della DC, i cattolici italiani hanno dato un contributo decisivo all’affermazione della democrazia nel nostro paese. Nello stesso tempo, l’Italia, divenuta unitaria e repubblicana, e sede del papato, grazie ai cattolici al governo ha dato un contributo fondamentale all’affermazione della democrazia come orizzonte indispensabile per la Chiesa e il cristianesimo contemporaneo.
Per questo la DC è stata tante cose. Il partito delle istituzioni e delle libertà sociali, quello europeista e della svolta atlantica, quello social-cristiano e dell’economia di mercato. Ma è stata soprattutto il partito della laicità una volta arrivata al potere. Il vero compromesso storico – come ha suggerito acutamente Gianni Baget Bozzo – la DC lo ha fatto con la Chiesa.
Con Pio XI la Chiesa, anche in reazione al fascismo, si definisce come principio di civiltà, cioè come soggetto portatore di un’ideologia politica che comprende in sé tutto lo spazio culturale, oltre a quello civile, e risolve tutto lo spazio del cristiano nel primato della gerarchia. Soggetto totale di fronte a soggetti totali. Soggetti simili, con affinità di linguaggi e perciò alternativi. Se è la Chiesa a predeterminare alcune condizioni per la nascita e il successo della DC, è l’occasione storica (il crollo del fascismo e della monarchia, cioè dello stato risorgimentale) a determinarne la possibilità.
Ed è stata l’occasione storica della DC a determinare il paradosso di una gerarchia ecclesiastica che per salvare la figura della cristianità chiede l’unità dei cattolici attorno a essa. Cioè a uno strumento altro da sé. E la DC ha saputo interpretare questa condizione in chiave di laicità, cioè secondo la figura social-liberale dello stato.
Tutto questo è lontano. Oggi non ci sono le condizioni storiche, né quelle religiose o ideologiche, per tentare una nuova avventura partitica dei cattolici o di cattolici. La realtà è andata altrove. Su questo manca tuttavia una parola chiara della Chiesa e della sua gerarchia a fronte degli appelli reiterati anche dell’attuale papa circa una ripresa d’impegno politico dei cattolici nel nostro paese.
Da Giovanni Paolo II a Francesco
L’ultima presa di posizione chiara e argomentata è stata quella di Giovanni Paolo II, nel suo discorso al Convegno nazionale della Chiesa italiana a Palermo, nel 1995. All’indomani della fine della DC e dopo che la Conferenza episcopale italiana guidata da C. Ruini l’aveva difesa fino all’ultimo, questa fu la presa d’atto del papa: «La Chiesa non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito, come del resto non esprime preferenze per l’una o per l’altra soluzione istituzionale o costituzionale, che sia rispettosa dell’autentica democrazia (cf. Centesimus annus, n. 47). Ma ciò nulla ha a che fare con una “diaspora” culturale dei cattolici, con un loro ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede, o anche con una loro facile adesione a forze politiche e sociali che si oppongano, o non prestino sufficiente attenzione, ai principi della dottrina sociale della Chiesa sulla persona e sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace» (Regno-doc. 21,1995,671).
Poi è stata la stagione del Progetto culturale del card. Ruini e della ratzingeriana elaborazione dei «valori non negoziabili». Entrambe le operazioni, col venire meno dello strumento partito, miravano, attraverso un processo d’ecclesiasticizzazione della Chiesa, a coprire e a ricomprendere lo spazio vuoto lasciato dalla fine del partito dei cattolici, riconducendo i cattolici nel recinto ecclesiastico.
Ma è stata anche la stagione del fallimento del tentativo di una democrazia bipolare nella quale i cattolici avrebbero potuto svolgere – come in parte per il decennio 1996-2006 hanno svolto – un ruolo ancora rilevante su entrambi i versanti. Nel centro-destra e nel centro-sinistra.
A partire dal 2008 e con le elezioni del 2018 la situazione politica è radicalmente cambiata. Il ritorno al sistema proporzionale; la perdita progressiva d’identità del Partito democratico, che dopo la scissione di Renzi è sempre più un partito di sinistra; la meteora travolgente del Movimento 5 Stelle; il successo elettorale delle due destre, quella nuova e radicalizzata della Lega di Salvini, e quella tradizionalista e nostalgica di Fratelli d’Italia: questi fatti descrivono un panorama irriconoscibile, anche solo rispetto a un decennio fa.
C’è dunque una nuova questione cattolica. E la Chiesa italiana è impreparata. Nella Chiesa di papa Francesco, di fronte al suo appello a una rinnovata stagione d’impegno dei cattolici a una riproposizione dei valori evangelici, manca un pensiero culturale e politico.
L’intervista che l’anziano card. Ruini ha dato al Corriere della sera, il 3 novembre scorso, è andata, in fondo, a coprire un vuoto. Un intervento legittimo e discutibile. Stupisce persino che a sinistra lo si sia definito illegittimo. Perché?
Tre i punti salienti del suo discorso politico: non è questo il tempo per ridare vita a un partito dei cattolici; il dialogo con Salvini «è doveroso» per la Chiesa; esso non può che avvenire dentro la fedeltà all’istituzione ecclesiastica (dunque anche a questo pontificato e ai valori evangelici che la Chiesa professa).
L’auspicio di Ruini
A fronte di nuovi appelli a formare soggetti politici autonomi di cattolici (da ultimo il manifesto di S. Zamagni del 5 novembre), Ruini ha chiaro che la seconda stagione della questione cattolica, quella della DC, quella laicale, delegata alla classe politica è finita. Questo è il punto più avanzato della sua intervista.
E tuttavia egli auspica, di fronte alla vittoria delle destre, la salvaguardia dell’istituzione ecclesiastica, aprendo un dialogo con il suo attuale leader, Matteo Salvini. È uno schema simile a quello di Pio XI. E ha una sua intelligenza strumentale. L’intento, tutto interno a una questione cattolica compresa come questione istituzionale, è quello di non isolare la Chiesa, di non ridurla nell’immagine pubblica a una struttura di minoranza, dal momento che Salvini viene già votato dalla metà dei cattolici italiani.
Dialogare con Salvini significa mettere al riparo l’istituzione ecclesiastica (in questo senso la fedeltà affermata a papa Francesco non è di maniera), legittimando l’adesione elettorale dei cattolici che già lo votano. Se domani, in nome dei valori cristiani, qualcuno tra i cattolici dovesse costituirsi parte contro Salvini, troverebbe anche una legittimazione opposta.
Ma qui il problema non è tanto la legittimità del dialogo della Chiesa con Salvini. La Chiesa dialoga con tutte le forze politiche. Il problema è che la nuova «questione cattolica», è connotata propriamente come una «questione religiosa», come confronto nella società tra riferimenti valoriali e culturali e si riferisce alla società nel suo complesso, a differenza della prima, che aveva nel confronto Chiesa-stato un carattere prevalentemente istituzionale, e della seconda, che aveva un carattere ideologico e politico.
Qui il dialogo deve essere condotto con le radicali metamorfosi della società. A preoccupare deve essere il «salvinismo» e non solo o non tanto Salvini. Sono i salvinisti gli interlocutori che la Chiesa deve cercare. Parrocchia per parrocchia.
Papa Francesco ha uno sguardo profetico quando indica il ritorno al Vangelo, cioè all’annuncio del Vangelo come se fosse la prima volta, in una società genericamente cristiana, ma di fatto scristianizzata. Per questo anche la strumentalizzazione dei simboli cristiani deve preoccupare, non tanto per l’equivoco che suscita circa pulsioni del passato, quanto per quello sulla forma dell’annuncio.
Spetta alla Chiesa italiana fare sintesi dei punti più alti della propria storia, recependo l’insegnamento di papa Francesco di fronte ai cambiamenti radicali in corso. La Chiesa italiana non può rimanere assente o in disparte. La Chiesa non può tacere. Ha una responsabilità storica quanto all’annuncio, all’educazione, all’edificazione della fede cristiana.
Senza entrare direttamente in politica o formulare opzioni di parte o creare un proprio strumento partitico come in passato, la Chiesa può chiamare a raccolta tutte le coscienze, innanzitutto quelle dei credenti, invitandoli a una nuova stagione di responsabilità personale attorno ad alcuni valori condivisi. Se la figura della Chiesa rispetto alla politica è quella di una alterità amante, che mantenendo la propria distinzione tuttavia non fa a meno di condividere le sorti del paese, quella del singolo cristiano è quella di una partecipazione critica, che segni una nuova stagione d’impegno.
Molte sono le modalità. Dalla partecipazione singola di cattolici nell’ordine politico all’interno dei diversi soggetti politici, alla costruzione di reti di comunicazione, d’analisi, di discussione tra gruppi, movimenti e associazioni di cattolici che agiscono singolarmente e in modo organizzato nell’ordine sociale. La sfida è religiosa.
Gianfranco Brunelli