Italia - Migranti: una solidarietà competente
Una Chiesa che si spende in prima persona. Senza ignorare la complessità del fenomeno
Le migrazioni sono un «segno dei tempi» – come più volte hanno ripetuto papa Benedetto e papa Francesco – ma anche una «sfida pastorale» che interpella le nostre comunità e una «sfida sociale» per le nostre città. C’è ancora chi, alla serietà di questa sfida pensa di sottrarsi o chiudendo gli occhi o falsificandone la reale portata.
Le migrazioni sono un «segno dei tempi» – come più volte hanno ripetuto papa Benedetto e papa Francesco – ma anche una «sfida pastorale» che interpella le nostre comunità e una «sfida sociale» per le nostre città. C’è ancora chi, alla serietà di questa sfida pensa di sottrarsi o chiudendo gli occhi o falsificandone la reale portata.*
Basta leggere serenamente e realisticamente i numeri, i volti e le storie dei migranti in Italia per comprendere come le città e le comunità cristiane siano chiamati a raccogliere questa sfida e a ripensare luoghi, strutture e percorsi per un cammino d’incontro e di scambio. Premessa fondamentale per costruire senza conflittualità e contrapposizioni sociali il nostro futuro insieme.
La serie infinita e ormai insopportabile di attentati che si stanno drammaticamente consumando ovunque non contribuiscono certo a leggere il fenomeno migratorio in maniera corretta. Anzi, questi eventi drammatici diventano esca appetibile per chi non ha alcun interesse a offrire un contributo perché questo fenomeno complesso e inarrestabile rappresenti una chance.
Benvenuti in Italia
L’Italia, nel contesto europeo, mentre vede rallentare drasticamente la migrazione economica – fattore di sviluppo e di crescita fondamentale nel nostro paese – con il ritorno di un’emigrazione giovanile che ha superato le 100.000 persone, ha visto ancora nel 2015 e nel 2016, un flusso considerevole di migranti forzati arrivare, in particolare, sulle coste e nei porti della Sicilia, ma anche della Calabria, della Puglia e della Campania e in Sardegna, superiore nel 2016 del 18% rispetto al 2015. Infatti, nel 2014 sono arrivate 170.100 persone, mentre nel 2015 153.842 persone, nel 2016, fino al 31 dicembre, 181.000 persone.
Nel 2015 si è assistito a un cambiamento di rotta soprattutto per le persone in partenza dal Medio Oriente, dal Corno d’Africa e dall’Asia che si sono dirette verso la Turchia e sono sbarcate in Grecia: oltre 850.000 persone. A fronte di una persona sbarcata in Italia ne sono sbarcate cinque in Grecia.
Nel 2016 è cambiata ancora la prospettiva, con l’Italia che ritorna ad avere un ruolo centrale negli arrivi pari a quello della Grecia (181.000 a fronte di 180.000 in Grecia), per la chiusura delle frontiere in diversi paesi europei e in seguito all’accordo tra Unione Europea e Turchia.
Il cammino di chi fugge s’incrocia con il cammino di chi ha fame e ha sete, rispettivamente 840 milioni e 1 miliardo di persone.1 Le violenze, la paura e la rabbia dei popoli – come ammoniva già Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio, quasi 50 anni fa – accompagnano il cammino delle persone oggi, di cui un piccolo tassello, un segno, è il popolo di chi ha attraversato (nel 2015, 154.000 persone) o attraversa in questi mesi (55.000) il Mediterraneo e raggiunge le nostre coste italiane ed europee.
Leggendo nella situazione internazionale non possiamo non riconoscere la nostra responsabilità: di chi ha violato la terra di altri, di chi ha sfruttato persone e terre, di chi ha impoverito, di chi ha venduto armi (con una crescita di vendite in Italia che ha superato il 200% rispetto al 2014) e ha lucrato sulla guerra. Uno sviluppo iniquo, che ha diviso il mondo e ha indebolito la solidarietà è la causa di questi nuovi cammini, di questi nuovi sbarchi, di queste nuove morti.
Non siamo esenti da responsabilità! Questo movimento di persone generato da noi, dalla nostra indifferenza, dalla mancata solidarietà, dallo sfruttamento, dalle guerre giuste e dalle guerre dimenticate, tranne che dagli armatori, accompagnato da cambiamenti climatici, toccando l’Italia e l’Europa ha messo alla prova il diritto d’asilo. Il diritto d’asilo è stato di fatto negato da respingimenti più o meno mascherati, talora condannati, di cui anche l’Italia è stata colpevole nel 2011 e l’Europa rischia di essere colpevole nel 2016.
In Italia, nel 2015 Lampedusa è tornato a essere il primo porto di sbarco (168 sbarchi e 21.160 persone), seguito da Augusta (146 sbarchi e 22.391 persone), Pozzallo (104 sbarchi e 16.811 perone), Reggio Calabria (90 sbarchi e 16.931 persone), Catania (64 sbarchi e 9.464 persone), Palermo (61 sbarchi e 11.456 persone), Trapani (55 sbarchi e 8.136 persone), Taranto (45 sbarchi e 9.160 persone).
Sbarchi sono avvenuti anche a Crotone, Cagliari, Salerno, Corigliano Calabro e a Vibo Valentia. Il ritorno degli sbarchi a Lampedusa è anche l’effetto dell’implementazione del sistema hotspot che vede nell’isola il centro più avanzato nel Mediterraneo.
La partenza delle persone che si sono messe in viaggio nel Mediterraneo è avvenuta in particolare dalle coste della Libia (oltre l’85%), l’8% sono partite dall’Egitto e poche migliaia dalla Turchia, dalla Grecia e dalla Tunisia. Crescono però anche i passaggi alle frontiere terrestri del Nordest, a causa della rotta balcanica.
Numeri e luoghi
Il cambiamento di rotta delle persone in fuga ha naturalmente portato con sé il cambiamento delle prime nazionalità delle persone sbarcate, con il protagonismo del Corno d’Africa e dell’Africa subsahariana. Le nazionalità delle persone sbarcate nel 2015 sono in particolare: Eritrea (38.612, +10% rispetto al 2014); Nigeria (21.886, + 110% rispetto al 2014); Somalia (12.176, più che raddoppiati rispetto al 2014), Sudan (8.909, triplicati rispetto al 2014) Gambia (8.123, poco meno il numero del 2014), Siria (7.444, 6 volte meno il numero del 2014 che la vedeva al primo posto tra le nazionalità delle persone sbarcate).
Rimangono simili i numeri delle persone provenienti dal Senegal e dal Bangladesh (poco più di 5.000). Calano, invece, le persone provenienti dal Mali (5.752, quasi dimezzati rispetto al 2014), dall’Egitto (2.594 rispetto ai 4.095 del 2014), dalla Palestina (1.650 rispetto ai 6.017 del 2014). Complessivamente sono 65 le nazionalità delle persone sbarcate in Italia nel 2015.
Le persone sbarcate sono state in prevalenza uomini (circa 115.000), a seguire le donne (oltre 20.000, con una crescita del 15% rispetto allo scorso anno). I minori sono stati oltre 26.000 nel 2014, di cui 13.096 minori parte di un nucleo familiare e oltre 13.000 minori non accompagnati, tra cui oltre 5.000 minori non accompagnati resisi irreperibili. Nel 2015 i minori sono stati oltre 12.000, di cui circa 4.100 non accompagnati.
Nel 2016 il primo porto di sbarco è diventato Augusta, seguito da Pozzallo, Lampedusa, Reggio Calabria e con le partenze in maggioranza (oltre l’80%) sempre dalla Libia e in successione dall’Egitto. Le nazionalità delle persone sbarcate nel 2016 sono in particolare: Nigeria, Eritrea, Gambia, Costa d’Avorio, Somalia, Guinea, Senegal, Sudan, Mali, Egitto, a cui seguono altre 60 nazioni. 2.689 persone sono state rintracciate ai confini terrestri, provenienti soprattutto dal Pakistan, Afghanistan, Marocco, Algeria, Nigeria, Bangladesh, Iraq. Le persone sbarcate sono al 95% uomini e il 5% donne. I minori non accompagnati sbarcati nel 2016 sono stati quasi 26.000. Complessivamente sono 85 le nazionalità degli sbarcati nel 2016.
Rispetto agli oltre 500.000 sbarcati tra il 2014 e il 2016, attualmente sono accolti in Italia, nelle diverse strutture, al 1o giugno 2016, circa 123.000 persone. Nella rete di primissima accoglienza (centri d’accoglienza [CDA], centri d’accoglienza per richiedenti asilo [CARA], hotspot, cioè aree attrezzate di sbarco) sono presenti 14.500 persone (con una crescita rispetto allo scorso anno). Nelle strutture temporanee d’accoglienza sul territorio nazionale (centri di accoglienza straordinaria [CAS]) sono oggi ospitate 135.000 persone, con una crescita rispetto allo scorso anno.
Nei centri del sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), strutture di seconda accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale e dei rifugiati, sono accolte circa 23.000 persone, un numero di poco superiore a quello dello scorso anno. In generale, l’accoglienza rimane ancora in una situazione di forte precarietà, sia nei porti di arrivo sia in molti dei centri di prima accoglienza realizzati, con una forte diversificazione delle modalità di accoglienza nelle diverse regioni.
La maggioranza dei circa 17.500 minori non accompagnati accolti nelle strutture hanno un’età compresa tra i 16 e i 17 anni (83%) e provengono dall’Egitto, dall’Albania, dal Gambia, dall’Eritrea, dalla Nigeria, dalla Somalia, dal Senegal, dal Bangladesh. Il 10% ha 15 anni, il 7% fra i 7 e i 14 anni, il 27% ha un’età compresa tra 0 e 6 anni.
Purtroppo l’accoglienza dei 17.500 minori non accompagnati rimasti in Italia, nella stragrande maggioranza dei casi avviene ancora in strutture di accoglienza straordinarie al Sud e solo poco più del 10% in strutture familiari e case famiglia. Metà dei minori sono accolti in due regioni: oltre 7.000 in Sicilia, oltre 1.000 in Calabria, e poi 913 nel Lazio, 872 in Lombardia, 850 in Puglia , mentre in Piemonte ne sono accolti 353 e 284 in Veneto (quasi 20 volte in meno che in Sicilia).
Il 6% delle persone si sono rese irreperibili. Rispetto al 2014, nel 2015 si sono invertiti i numeri: erano il 60% coloro che avevano ricevuto un permesso di protezione internazionale e il 37% i «denegati». Uguale è il trend nel 2016. Rispetto alla data del 1o giugno 2015 le domande d’asilo presentate nel 2016 sono raddoppiate, da 26.788 a 43.485. Nel 2015, alla stessa data, le domande di protezione internazionale rifiutate sono state 10.214 (48%), mentre nel 2016 sono state 25.527 (61%).
Una Chiesa (non sempre) accogliente
Al momento dell’appello del papa a estendere l’accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale nelle parrocchie, nelle comunità religiose, nei monasteri e nei santuari, il 6 settembre scorso, nelle diocesi italiane erano accolte oltre 23.000 persone, come da una prima ricognizione realizzata dalla Segreteria della CEI a ottobre 2015.
Da settembre a oggi, sulla base del Vademecum dei vescovi italiani, abbiamo assistito a un grande movimento solidale che, però, in diversi casi fatica a trasformarsi in accoglienze nuove. Si è trattato per lo più di passaggi da strutture di prima accoglienza alle parrocchie, per oltre 4.500 persone. Le risorse per l’accoglienza vengono per ¾ dallo stato (circa 150 milioni di euro per l’accoglienza di circa 18.000 persone nei CAS e negli SPRAR), mentre per ¼ dalle libere offerte dei fedeli (50 milioni di euro).
In particolare, in alcune diocesi si riscontrano difficoltà da parte delle parrocchie ad attivare esperienze d’accoglienza e integrazione sul territorio. Per questo motivo Caritas e Migrantes stanno seguendo le diocesi al fine di orientare meglio e sostenere questo slancio solidale.
Al 1o giugno 2016, il numero totale degli accolti nelle quattro tipologie di strutture-realtà è di 23.201. Di queste, 14.358 (62%) sono ospitate nelle 714 strutture ecclesiali di prima accoglienza, 3.914 (17%) nelle 257 strutture impegnate nella seconda accoglienza, 4.596 (20%) in 473 parrocchie e 333 (2%) nelle 159 famiglie resesi disponili a rispondere all’appello di papa Francesco dello scorso settembre.
L’analisi della presenza degli accolti nelle 4 aree geografiche (Nord, Centro, Sud e Isole) ha permesso di calcolare la percentuale degli accolti nelle quattro tipologie di realtà/strutture, per cui i CAS del Nord accolgono il 36% delle persone, quelli del Centro l’11%, quelli del Sud 13%, e quelli delle Isole il 2%. Le strutture di seconda accoglienza accolgono a Nord il 7% delle persone, al Centro il 3%, al Sud il 4% e nelle Isole il 3%.
Le parrocchie accolgono nel Nord l’11% dei beneficiari, nel Centro l’1%, nel Sud il 2% e nelle Isole il 5%. Il dato sulle famiglie presenta la percentuale dell’1% al Nord, mentre al Centro, Sud e Isole dello 0%, sebbene ci sia una presenza numerica tanto di famiglie quanto di accolti .
Le 5 regioni italiane dove le diocesi ospitano, indistintamente nei CAS, SPRAR, parrocchie e famiglie, il maggior numero di persone sono: Lombardia (5.711), Triveneto (2.748), Piemonte-Valle d’Aosta (2.147), Sicilia (2.118), Calabria (1.772).
Relativamente ai CAS, le 5 regioni italiane col maggior numero di accolti sono: Lombardia (3.405), Triveneto (1.672); Piemonte-Valle d’Aosta (1.659), Calabria (1.304), Toscana (1.243).
Relativamente alle strutture di seconda accoglienza, le 5 regioni italiane col maggior numero di accolti sono: Triveneto (614 accolti), Lombardia (559), Sicilia (557), Campania (385), Calabria (381).
Relativamente alle parrocchie, le regioni italiane col maggior numero di accolti sono: Lombardia (1.739), Sicilia (1.196), Triveneto (423), Piemonte Valle d’Aosta (339), Campania (166).
Infine, in riferimento alle famiglie, le 5 regioni italiane col maggior numero di accolti sono: Sicilia (79), Liguria (53), Piemonte-Valle d’Aosta (47), Triveneto (39), Campania (32).
Considerato che le diocesi che hanno risposto compilando la scheda di monitoraggio sono 199 (nonostante ce ne siano 29 che non compiono accoglienza o non dispongano di strutture per metterla in atto) si può presumere che le accoglienze attive siano pari o superiori a 1/5 dell’intero sistema d’accoglienza in Italia.
Alcune proposte
Voglio premettere che, quanto ora dico, lo dico con senso di grande rispetto per quello che l’Italia va facendo. Lo dico con spirito di grande collaborazione. Rispetto e collaborazione sono le due direttrici sulle quali si muovono le scelte e le proposte della Chiesa italiana per migliorare l’accoglienza.
Rimane necessario aprire la possibilità di un permesso di soggiorno umanitario anche per i numerosi «diniegati» (stimati nei prossimi mesi in 40.000), per evitare la situazione d’irregolarità per molte persone, soprattutto al Sud, che genererebbe sfruttamento, non tutela della dignità della persona e insicurezza. Ripartire dalla legalità è fondamentale sia per chi potrà fermarsi in Italia sia per chi dovrà rientrare nel proprio paese. La legalità e l’impegno a farla rispettare è il primo passo verso una politica seria e intelligente d’accoglienza e d’inclusione dei migranti.
Segnalare all’Europa con preoccupazione gli esiti delle politiche di gestione dei flussi migratori: gli hotspot, la relocation e i rimpatri sono misure di controllo delle frontiere che stanno operando una vera e propria selezione di nazionalità ammesse nell’Unione (Siria ecc.), lasciando migliaia di persone escluse dall’ingresso bloccate senza altra prospettiva che quella di rivolgersi ai trafficanti. In Italia sono già attivi 3 hotspot (Lampedusa, Trapani e Pozzallo), che di fatto sono centri chiusi che somigliano più a dei centri d’identificazione ed espulsione (CIE) che a dei centri d’accoglienza, nei quali al momento si sta operando, attraverso le identificazioni condotte da Frontex, Europol ed Easo, una preselezione fra migranti ai quali viene consentito di presentare la domanda d’asilo e altri ai quali questa possibilità viene negata, sulla base della provenienza da una nazione considerata sicura.
Vorrei far notare che ciò contravviene al principio contenuto nella Convenzione di Ginevra e recepito dall’ordinamento italiano secondo cui la domanda di protezione internazionale può essere presentata da tutti e tutti hanno diritto a un esame individuale e completo della domanda. A chi proviene invece dall’Africa subsahariana viene spesso notificato un provvedimento di respingimento alla frontiera.
Anche la relocation, che per i decisori politici europei, è finalizzata a trasferire e distribuire fra i paesi dell’Unione i richiedenti asilo individuati negli hotspot, non si sta rivelando né celere né efficace. Le persone che inoltrano tale domanda rimangono in attesa 2 o 3 mesi prima d’essere trasferite in quei (sinora pochi) paesi che hanno dato la disponibilità ad accoglierle. Il sistema non è infatti basato sull’obbligatorietà per i paesi dell’Unione di mettere a disposizione delle quote per accogliere i richiedenti asilo trasferiti dai paesi a più forte pressione migratoria, come l’Italia e la Grecia.
Né fra i paesi resisi disponibili vi sono al momento quelli nei quali c’è maggiore richiesta da parte dei migranti (nord Europa). Rispetto a una previsione europea di ricollocare dall’Italia 39.000 persone nell’arco di due anni, a un ritmo di 1.600 al mese, la realtà attuale parla di appena 190 persone trasferite al dicembre 2015 (ovvero dopo 3 mesi dall’attivazione del meccanismo).
Inoltre solo ai cittadini eritrei, iracheni e siriani viene consentita tale possibilità; tutte nazionalità, a eccezione di quella eritrea, poco presenti fra quelle che arrivano in Italia. Occorre dunque trovare procedure d’identificazione e di ricollocamento comuni in Europa che tengano conto del rispetto della dignità umana e dei diritti umani delle persone e che siano realmente funzionanti e basate sulla solidarietà di tutti i paesi dell’Unione. Occorre inoltre trovare modalità nuove di gestione dei flussi delle persone in arrivo in Europa, siano essi migranti o richiedenti asilo, realmente comuni e che prevedano la possibilità di avere quote certe per ogni paese europeo e che cerchino, per quanto possibile, d’incrociare le disponibilità date dai diversi paesi con i desideri e le aspettative delle persone in arrivo.
Un sistema integrato
Riuscire a dare una risposta più competente e più celere alle persone che fanno domanda di protezione internazionale, da una parte riformando il sistema delle commissioni territoriali, prevedendo più formazione e personale dedicato; dall’altra aumentandone il numero per arrivare a dare a tutti una risposta entro i sei mesi che le normative europee già prevedono e nello stesso tempo provando anche ad accorciare i tempi dei ricorsi dei «denegati», che al momento aspettano anche più di un anno per riuscire ad avere una risposta. I tempi lunghi d’attesa, infatti, portano le persone a rimanere in accoglienza senza una risposta anche per un anno e mezzo – due anni, con la dimissione o l’allontanamento dal centro di accoglienza, e i conseguenti rischi dell’irreperibilità, d’insicurezza e di sfruttamento delle persone.
Arrivare ad avere un sistema unico e diffuso d’accoglienza in Italia, che risponda a medesimi standard e procedure e sia sottoposto a puntuali controlli e verifiche rispetto ai servizi che deve erogare e rispetto alla trasparenza nella gestione dei fondi. Per questo sarebbe utile che l’accoglienza dei rifugiati, nella prospettiva della Legge quadro sui servizi alla persona e della Legge 328, possa vedere come gli altri servizi sociali, la possibilità di un accreditamento da parte di enti e strutture del privato sociale e del non profit, un piano di zona e un tavolo territoriale, superando l’empasse di una logica statalista che vede solo i Comuni e nessun altro come soggetti proponenti un progetto d’accoglienza dei rifugiati.
Accogliere con trasparenza e apertura è un reciproco vantaggio sia per chi viene accolto che per chi fa accoglienza. Il rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia del Ministero dell’interno dell’ottobre 2015 ha evidenziato come i soldi spesi per l’accoglienza delle persone hanno una ricaduta positiva anche sui Comuni e le comunità accoglienti, evidenziando che dei 30-35 euro giornalieri solo 2,50 (meno del 10%) è dato direttamente agli ospiti, mentre per l’accoglienza circa il 37% serve per la retribuzione di operatori e professionisti e circa il 23% va in spese relative ad affitto di locali, acquisti di beni alimentari e abbigliamento: tutte cose che sono una ricaduta positiva sull’economia locale della comunità che fa accoglienza.
L’accoglienza dei migranti e dei rifugiati, seppur ottima, se non è seguita, sin da quando le persone hanno la certezza di poter rimanere in Italia, da un serio programma d’inserimento abitativo e lavorativo crea solo marginalizzazione, rischio di sfruttamento e frustrazione. Per questo, servono programmi specifici a livello nazionale e regionale volti a facilitare l’inserimento socio-economico, abitativo dei titolari di protezione internazionale, come di ogni altra persona che in quel territorio si trova in situazione di difficoltà rispetto alla casa o al lavoro. Al riguardo, può essere preziosa la sinergia stato, terzo settore e Chiesa (come alcune esperienze dimostrano in diverse realtà italiane).
Minori al centro
Rispetto ai minori stranieri non accompagnati2 bisogna davvero riuscire a superare la prima accoglienza in centri collettivi spesso inadeguati (oserei dire piccoli orfanatrofi) e arrivare a forme diversificate d’accoglienza che prevedano non solo accoglienze in centri piccoli, ma anche affidamenti familiari o appartamenti in semi-autonomia; a un sistema d’accoglienza familiare, unico e interno al sistema di accoglienza per richiedenti asilo nazionale, cosa che si è dichiarato già nella Conferenza stato-regioni del luglio 2014, ma che si è ancora lontani dall’aver realizzato.
Infine, occorre affidare i minori non accompagnati, in tempi brevi, a tutori specifici, volontari e formati, evitando cumuli di tutele, assolutamente inutili e inefficaci, ad assessori e sindaci.
L’impegno per riconoscere il diritto di rimanere nella propria terra, non a parole ma nei fatti attraverso programmi di cooperazione internazionale. La Chiesa in Italia, grazie all’8 per mille, ha destinato, nel 2015, 93 milioni di euro per circa 750 progetti nei paesi poveri e in guerra o segnati da disastri ambientali e persecuzione politica e religiosa in tutti i continenti, oltre che per il rientro assistito nei paesi d’origine. 1000 progetti diocesani sono stati nel 2016, nell’anno giubilare, nei paesi d’origine dei richiedenti asilo e rifugiati, anche in collaborazione con la FOCSIV e i 12.000 operatori internazionali, missionari del mondo cattolico.
L’iniziativa continuerà anche nel 2017, con l’iniziativa «Liberi di partire, liberi di restare»3 a opera di Migrantes, Caritas, Missio, Apostolato del mare e Ufficio aiuti al Terzo mondo della CEI, con progetti in Nigeria e Mali, in Marocco e nei porti d’arrivo in Italia.
Migrantes e Caritas presteranno la loro opera, a partire da maggio-giugno 2017, per rendere operativo l’accordo tra CEI e il Ministero degli esteri per accogliere in Italia, sul modello della Comunità di S. Egidio, 500 richiedenti asilo provenienti dall’Etiopia e originari di Sud Sudan, Eritrea e Somalia.
Accogliere anche con le parole
Parlare delle migrazioni e dello spostamento delle persone con competenza e serietà per superare finalmente un’informazione allarmistica e ideologica del fenomeno,4 che troppo spesso dimentica il popolo dei migranti, 5 milioni, per fermarsi a esasperare alcuni casi. Nello specifico, poi, dei richiedenti asilo, non siamo di fronte a un’invasione del nostro paese (siamo stati sia l’anno scorso sia quest’anno intorno a 3 richiedenti asilo ogni mille abitanti), ma siamo di fronte a un momento di grande sofferenza del mondo in cui il numero dei conflitti (di cui la nostra parte di mondo ha la sua responsabilità sia nella creazione sia nella mancata gestione) e il numero di spostamenti forzati di persone per cambiamenti climatici è davvero molto elevato.
Sarebbe ingenuo pensare che tutti questi spostamenti forzati di persone in fuga da guerre e conflitti e da cambiamenti climatici, sempre più numerosi, violenti e imprevisti, non abbia una ricaduta anche in Europa e in Italia; e non saranno i controlli alle frontiere a fermare le persone in fuga, che sono state obbligate a spostarsi; né saranno sufficienti occasionali e sporadici corridoi umanitari non condivisi e costruiti dentro un sistema europeo.
I volti dei migranti, siano essi costretti a mettersi in viaggio per la fame e la sete, la guerra e i disastri ambientali, perseguitati politici o religiosi e vittime di tratta, chiedono una comunità attenta ad «accogliere», «tutelare», «promuovere», «integrare». Sono i quattro verbi che papa Francesco ha usato parlando a un seminario internazionale su «Migrazioni e pace» e che, ci auguriamo, possano segnare l’impegno di tutti.
Nunzio Galantino
* Il testo che qui presentiamo costituisce il discorso che mons. Galantino, segretario generale CEI e vescovo emerito di Cassano all’Jonio, ha tenuto l’11 aprile al Centro Astalli di Roma e che era intitolato «L’accoglienza dei migranti forzati oggi nella Chiesa in Italia».
1 Il 2016 vede una costante negli sbarchi rispetto al 2015, con la prospettiva di una possibile crescita ulteriore nei prossimi mesi, visto il permanere della situazione di instabilità nel Medio Oriente e il rischio di una instabilità grave nel Nord Africa, accanto alle situazioni drammatiche dei Paesi subsahariani e del Corno d’Africa.
La situazione internazionale, in questi ultimi 25 anni, ha visto un crescendo di paesi vivere uno stato di guerra, insicurezza e instabilità. Alle 33 guerre e guerriglie in atto, e ai 59 paesi nel mondo dove la libertà politica e religiosa è violata o a rischio, si sommano gli oltre 2.000 disastri ambientali gravi tra il 2000 e il 2012, come anche una nuova tratta degli esseri umani (2 milioni e mezzo lo scorso anno): nel 2015 circa 60 milioni di persone si sono messe in cammino forzatamente, poiché gli è stato negato il diritto di rimanere nella propria terra.
2 Il 29 marzo 2017 la Camera ha approvato in via definitiva la legge per la protezione dei minori stranieri non accompagnati. Il testo è stato approvato a Montecitorio con 375 voti a favore, 13 contrari e 41 astenuti. Nel 2016 più di 25.800 minori, tra cui anche bambini con meno di 10 anni di età, sono arrivati in Italia via mare senza genitori o figure adulte di riferimento, più del doppio rispetto al 2015 quando erano 12.360. Dall’inizio dell’anno, secondo le stime di Save the children, sono arrivati più di 3.360 minori, di cui almeno 3.000 non accompagnati. Ecco cosa cambia con la nuova legge.
Per la prima volta sono disciplinate per legge le modalità e le procedure d’accertamento dell’età e dell’identificazione, garantendone l’uniformità a livello nazionale. Prima dell’approvazione del disegno di legge non esisteva infatti un provvedimento di attribuzione dell’età, che d’ora in poi sarà invece notificato sia al minore sia al tutore provvisorio, assicurando così anche la possibilità di ricorso. È garantita inoltre maggiore assistenza, prevedendo la presenza dei mediatori culturali durante tutta la procedura.
È regolato il sistema d’accoglienza integrato tra strutture di prima accoglienza dedicate esclusivamente ai minori, all’interno delle quali i minori possono risiedere non più di 30 giorni, e SPRAR, con strutture diffuse su tutto il territorio nazionale, che la legge estende ai minori stranieri non accompagnati.
È prevista per tutti la necessità di svolgere indagini familiari da parte delle autorità competenti nel superiore interesse del minore e sono disciplinate le modalità di comunicazione degli esiti delle indagini sia al minore sia al tutore. La competenza sul rimpatrio assistito passa inoltre da un organo amministrativo, la Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche d’integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al Tribunale per i minorenni, organo costituzionalmente dedicato alla determinazione dell’interesse del minore.
Spariscono i permessi di soggiorno usati per consuetudine o mai usati, come per esempio il permesso di soggiorno per affidamento, attesa affidamento, integrazione del minore, e si fa invece riferimento ai soli permessi di soggiorno per minore età e per motivi familiari, qualora il minore non accompagnato sia sottoposto a tutela o sia in affidamento. Il minore potrà richiedere direttamente il permesso di soggiorno alla questura competente, anche in assenza della nomina del tutore.
Entro tre mesi dalla data d’entrata in vigore della legge, ogni tribunale per i minorenni dovrà istituire un elenco di «tutori volontari» disponibili ad assumere la tutela anche dei minori stranieri non accompagnati per assicurare a ogni minore una figura adulta di riferimento adeguatamente formata. La legge promuove poi lo sviluppo dell’affido familiare come strada prioritaria d’accoglienza rispetto alle strutture.
Sono previste maggiori tutele per il diritto all’istruzione e alla salute, con misure che superano gli impedimenti burocratici che negli anni non hanno consentito ai minori non accompagnati di esercitare in pieno questi diritti, come per esempio la possibilità di procedere all’iscrizione al Servizio sanitario nazionale, anche prima della nomina del tutore e l’attivazione di specifiche convenzioni per l’apprendistato, nonché la possibilità d’acquisire i titoli conclusivi dei corsi di studio, anche quando, al compimento della maggiore età, non si possieda un permesso di soggiorno.
È prevista infine la possibilità, esercitata al momento sulla base di un vecchio decreto, d’assistere i neomaggiorenni fino ai 21 anni di età qualora ci sia bisogno di un percorso più lungo d’integrazione in Italia.
Per la prima volta sono sanciti anche per i minori stranieri non accompagnati il «diritto all’ascolto» nei procedimenti amministrativi e giudiziari che li riguardano, e il diritto all’assistenza legale, avvalendosi, in base alla normativa vigente, del gratuito patrocinio a spese dello stato. È prevista inoltre la possibilità per le associazioni di tutela di ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per annullare atti della pubblica amministrazione che si ritengano lesivi dei diritti dei minori non accompagnati e d’intervenire nei giudizi che li riguardano.
Una particolare attenzione viene infine dedicata dalla legge ai minori vittime di tratta, mentre sul fronte della cooperazione internazionale l’Italia s’impegna a favorire tra i paesi un approccio integrato per la tutela e la protezione dei minori.
3 Un’iniziativa straordinaria che si sviluppi su un livello «culturale e pastorale generale sui fenomeni migratori» e che costituisca un’occasione di «finanziamento e realizzazione di progetti mirati e concreti». Sono gli obiettivi di «Liberi di partire, liberi di restare», la campagna che la Conferenza episcopale italiana avvia sul tema delle migrazioni, dopo essersi impegnata durante l’anno giubilare per il «diritto a rimanere nella propria terra» riuscendo «a mobilitare in modo significativo l’attenzione di molte comunità cristiane in particolare e dell’opinione pubblica in generale».
«Ma le problematiche di fondo legate ai crescenti flussi migratori nel mondo – si legge in una nota – restano inalterate sia dal punto di vista concreto, sia dal punto di vista della percezione di tali fenomeni a livello culturale, mediatico, sociale».
«I grandi flussi migratori in atto di tali popolazioni, senza alcuna tutela dei loro diritti umani fondamentali, vanno a inserirsi in una crisi internazionale ed europea sempre più pesante», prosegue la nota, nella quale si sottolinea che «i migranti sono diventati spesso “merce di scambio” per scopi politici o per baratti governativi».
«Ne consegue che accogliere i migranti non è sufficiente, ma occorre un approccio culturale, politico e pastorale ampio», afferma la CEI, secondo la quale «è necessario allargare le strategie d’intervento, anche le nostre, includendo un’attenzione e una progettazione a partire dalle realtà locali nei paesi d’origine, in quelli di transito e in Italia, che si vada ad aggiungere in modo organico a quanto già si sta facendo». Tra i beneficiari privilegiati vi saranno i migranti minorenni e le loro famiglie, le vittime di tratta e le fasce più deboli (SIR, 23.3.2017).
4 D. Fassini, N. Scavo, «Contro i migranti anche il fango via web», in Avvenire, 26.3.2017, 10.