A
Attualità
Attualità, 20/2007, 15/11/2007, pag. 710

Pedro Arrupe e la Compagnia di Gesù: profeta del rinnovamento conciliare

P.-H. Kolvenbach

Fra poche settimane, il 5 gennaio 2008, si aprirà la XXXV Congregazione generale della Compagnia di Gesù, su richiesta del preposito generale p. Peter-Hans Kolvenbach sj accolta da Benedetto XVI. Per la prima volta nel mezzo millennio di vita dell'ordine religioso, i gesuiti potranno discutere e accettare le dimissioni di p. Kolvebach e decidere una nuova normativa per quella specifica carica, che finora era a vita. In vista di questo storico evento, che accade quasi in concomitanza con il centenario della nascita di Pedro Arrupe - il precedente preposito generale, nato a Bilbao il 14 novembre 1907 -, il profilo che p. Kolvenbach traccia del proprio predecessore come profondo rinnovatore della Compagnia nella fedeltà al principio conciliare dell'«aggiornamento» offre una traccia del cammino che a suo avviso attende la Compagnia: è proprio nella ricerca di forme nuove che si manifesta nell'attualità il cambiamento che viene dallo Spirito. E questo si può declinare più in generale in riferimento alla vita consacrata, come lo stesso p. Kolvenbach chiarisce nell'intervista concessa a Il Regno.

Nuova pagina 1

Studio del mese

 

Pedro Arrupe e la Compagnia di Ges�

 

Profeta del rinnovamento conciliare

 

Fra poche settimane, il 5 gennaio 2008, si aprir� la XXXV Congregazione generale della Compagnia di Ges�, su richiesta del preposito generale p. Peter-Hans Kolvenbach sj accolta da Benedetto XVI. Per la prima volta nel mezzo millennio di vita dell�ordine religioso, i gesuiti potranno discutere e accettare le dimissioni di p. Kolvebach e decidere una nuova normativa per quella specifica carica, che finora era a vita. In vista di questo storico evento, che accade quasi in concomitanza con il centenario della nascita di Pedro Arrupe � il precedente preposito generale, nato a Bilbao il 14 novembre 1907 �, il profilo che p. Kolvenbach traccia del proprio predecessore come profondo rinnovatore della Compagnia nella fedelt� al principio conciliare dell��aggiornamento� offre una traccia del cammino che a suo avviso attende la Compagnia: � proprio nella ricerca di forme nuove che si manifesta nell�attualit� il cambiamento che viene dallo Spirito. E questo si pu� declinare pi� in generale in riferimento alla vita consacrata, come lo stesso p. Kolvenbach chiarisce nell�intervista concessa a Il Regno.

 

 

      Dalla convocazione della XXXV Congregazione generale (febbraio 2006; cf. Regno-att. 4,2006,95), al 450� della morte del fondatore, Ignazio di Loyola (luglio 2006; cf. Regno-doc. 9,2006,275), fino al primo centenario della nascita del penultimo preposito generale, Pedro Arrupe (novembre 2007): � il cammino che ha condotto la Compagnia di Ges� alla storica Congregazione generale che si aprir� il 5 gennaio prossimo, e che per la prima volta nella storia dell�ordine su richiesta del generale in carica p. Kolvenbach che il papa Benedetto XVI ha accolto elegger� il nuovo preposito generale e modificher� la norma che prevede che tale elezione sia �a vita�.

      In questo contesto, la rilettura che p. Kolvenbach offre in queste pagine della figura e del messaggio di p. Arrupe va ben al di l� del dato celebrativo, proponendo nuovamente (lo avevamo gi� sottolineato nel 2001, nel decennale della morte; cf. Regno-att. 4,2001,88) il profilo del gesuita basco come quello di un vero e proprio rifondatore della Compagnia, dopo sant�Ignazio: Arrupe, dice in sostanza Kolvenbach, sta alla Chiesa del Novecento come Ignazio sta alla Chiesa del Cinquecento. E in ci� si svela la sua pi� profonda fedelt� al carisma di fondazione: �difficilmente qualcuno pu� dirsi ignaziano se non percorre la via della novit��, afferma Kolvenbach, se non cammina �al livello delle vette�, perch� la Compagnia di Ges� secondo l�insegnamento unanime di Paolo VI e di Giovanni Paolo II ��, per cos� dire, un test della vitalit� della Chiesa attraverso i secoli: essa costituisce in qualche modo un crocevia in cui si incontrano in modo molto significativo le difficolt�, le tentazioni, gli sforzi e le imprese, la perennit� e i successi della Chiesa intera�. (Red.)

 

 

Prima di entrare nel tema della figura e del messaggio di p. Pedro Arrupe, di cui commemoriamo in questi giorni la nascita, un secolo fa, nella citt� di Bilbao, voglio farvi una confessione. Quantunque io ne sia il successore come preposito generale della Compagnia di Ges�, devo dire che i miei incontri con lui sono stati purtroppo molto rari. Io risiedevo nel Medio Oriente, ed � a tutti nota la situazione esplosiva di quei luoghi, per cui durante la lunga guerra civile nel Libano i contatti con Roma furono difficili e sporadici. Quando poi mi fu possibile vedere p. Arrupe tutti i giorni, poich� vivevamo insieme nella curia generalizia, la sua grave malattia rendeva ormai quasi impossibile un�autentica conversazione per la sua incapacit� di esprimersi, sebbene sono certo che avesse tanti consigli da darmi.

                Tuttavia, sebbene la sua capacit� di esprimersi fosse molto limitata, rimaneva la testimonianza delle parole che aveva detto per il mondo. E queste testimonianze ci restituiscono un p. Arrupe testimone fedele del concilio Vaticano II. Alcuni lo hanno chiamato �l�uomo dell�utopia�, altri ne hanno parlato come di �un mistico e un profeta per il nostro secolo�, e altri ancora gli hanno riconosciuto di aver fatto tante cose nuove, nel nome del Signore, il quale ci dice nel libro dell�Apocalisse: �Ecco, io faccio nuove tutte le cose� (Ap 21,5). Questo � il profilo caratteristico della figura e del messaggio di p. Pedro Arrupe che vorrei mettere in evidenza.

 

L�orrore di Hiroshima

                Il 22 maggio 1965 p. Arrupe fu eletto preposito generale della Compagnia di Ges�. Prima di questo momento si era confrontato, nella sua vita, con molti eventi inattesi, con grandi cambiamenti e profonde novit�. Un �colpo della grazia�, a Lourdes, gli aveva fatto abbandonare la sua promettente carriera di medico per diventare gesuita, mettendosi in cammino dietro il suo compatriota basco Ignazio di Loyola per farsi guidare verso Dio. Gli avvenimenti della politica nazionale lo spinsero all�esilio, incamminandolo in una nuova esperienza internazionale che lo pose dinanzi alla sfida di apprendere nuove lingue e di affrontare diversi cambiamenti culturali, in Europa e negli Stati Uniti.

                Tutte queste esperienze di sradicamento non spensero in lui il desiderio di seguire le orme di un altro suo compatriota, Francesco Saverio. Le tante traversie non estinsero il suo desiderio di annunciare la buona notizia del Signore in Giappone, un paese che, ricco di una cultura religiosa perfetta, sembra non aver bisogno di alcuna buona notizia che venga da oltre confine. In �questo Giappone incredibile� far� l�esperienza dell�isolamento in una cella della prigione di Yamaguchi, perch� accusato di spionaggio. Arriver� a dire che quest�esperienza inattesa fu un evento di grazia, poich� nella solitudine, in compagnia solo del Signore, visse �il mese pi� istruttivo della (sua) vita�.

                Un�altra novit� vissuta in Giappone fu il contatto con l�invenzione moderna dell�orrore umano, che prende il nome di bomba atomica di Hiroshima. Quando, il giorno dopo il cataclisma, celebr� la santa eucaristia dinanzi ai moltissimi corpi che giacevano sul terreno, p. Arrupe rimase quasi paralizzato nel momento in cui, alla presenza di tanta crudele sofferenza, doveva dire �Dominus vobiscum�. Senza dubbio, contro ogni apparenza, il Signore � con voi.

                Circa trent�anni pi� tardi, quando p. Arrupe visit� il Libano e io lo accompagnai per mostrargli le rovine nel centro di Beirut, a un certo punto gli raccontai che dopo una terribile notte di bombardamenti, allo spuntare del giorno, avevo sentito gli uccelli cantare sugli alberi. Egli mi rispose che neppure a Hiroshima il Signore della vita aveva permesso che l�incredibile potenza della morte avesse l�ultima parola. Dice il Cantico dei cantici: �Forte come la morte � l�amore. (�) Le grandi acque non possono spegnere l�amore n� i fiumi travolgerlo� (Ct 8,6-7).

                Sempre in Giappone egli visse un�altra situazione nuova quando venne nominato responsabile di un importante gruppo di gesuiti, di provenienza internazionale. P. Arrupe esort� quegli apostoli ad abbandonare con generosit� le maniere occidentali di pregare, vivere e lavorare par farsi tutto a tutti, seguendo l�esempio dell�apostolo Paolo. Questa provocazione era orientata a far s� che i giapponesi potessero riconoscere nel volto di Cristo e della sua Chiesa i caratteri giapponesi del loro nativo desiderio religioso. La fedelt� a questo modo nuovo di avvicinarsi all�apostolo Paolo suscitava in alcuni un vero entusiasmo apostolico, ma produceva allo stesso tempo in altri una certa resistenza di principio.

 

Il Concilio come novit� dello Spirito

                Questa � stata la maniera che il Signore ha scelto per preparare p. Arrupe a guidare la Compagnia nel nuovo contesto che lo Spirito Santo aveva ispirato alla Chiesa del concilio Vaticano II, nel mondo e per il mondo. Rivolgendosi ai gesuiti di Roma, l�11 marzo 1967, p. Arrupe richiam� l�attenzione sul fatto che la XXXI Congregazione generale � quella che lo aveva eletto preposito generale � era come un piccolo seme e un richiamo di vita nuova che impegnava la nostra responsabilit� dinanzi a Dio e alla storia. Una terribile responsabilit� dinanzi alla storia, ma soprattutto e ancora di pi� una grave responsabilit� dinanzi a Ges� Cristo. Egli ci ha scelto non per i nostri meriti n� perch� noi lo volevamo, ma secondo la sua libera volont�. Perci� la nostra missione nella Chiesa, anche se limitata e modesta, � affidata alla nostra responsabilit� personale e comunitaria, affinch� confortati e riuniti nel suo Spirito c�incamminiamo verso la realizzazione della storia umana, che corrisponde pienamente al suo disegno di amore. Questa conclusione, che si fa pienamente carico, in Dio, della realt� di una Chiesa in trasformazione e dell�esigenza di scoprire nuovi modi di rispondere alla nascenti necessit� della Chiesa e del mondo, non elimina gli sforzi, le emozioni e i sacrifici che tutti questi cambiamenti e adattamenti richiedono.

                P. Arrupe era realista: da noi si esiger� ancor pi� che dai gesuiti del tempo di sant�Ignazio. Dopo la fine del Concilio chiese a tutti di non lasciarsi impressionare da affermazioni come �la Compagnia non � pi� la stessa�, o come quell�altra, pi� crudele perch� gli sferrava un attacco personale, �quello che Ignazio, un basco, ha costruito, un altro basco lo sta distruggendo�. Prevedendo reazioni di questo tipo, p. Arrupe, al termine della Congregazione, confess� che desiderava impegnarsi in una fedelt� piena e totale al concilio Vaticano II. Un �ottimismo realista, pieno di fiducia nello Spirito Santo, che guida la Chiesa e la Compagnia. Non si tratta di conservare un ricordo nostalgico del passato, n� di cedere al risentimento e allo sconforto per i difficili cambiamenti in corso, dentro la Compagnia e fuori di essa�. Sempre rispettoso delle reazioni degli altri riguardo ai principi e alle concretizzazioni di ogni forma di �aggiornamento�, p. Arrupe afferm� che �pur non potendo esigere da tutti la stessa dose di ottimismo, s�impone a tutti, per lo meno, l�esigenza di non cadere nel pessimismo�, poich� la novit� del Concilio � un dono di Dio, che richiede la nostra totale fedelt�.

                Questo spirito e questo messaggio di p. Arrupe si facevano sentire negli aspetti pi� concreti della vita dei gesuiti e, dato il livello di nervosismo di quel tempo postconciliare, qualunque fatto, anche banale, poteva scatenare delle autentiche tempeste. Cos� avvenne per esempio durante la sua prima visita ai gesuiti di Parigi, appena un anno dopo il Concilio. In quel periodo io ero studente di linguistica alla Sorbona, e quella fu anche la prima occasione in cui potei vederlo veramente comportarsi cos� come i primi gesuiti volevano che si comportasse il �superiore generale�. In una parola, come �uno di noi�: accogliente e aperto al dialogo, senza formalit� e protocolli, senza alcuna ricerca di un culto della personalit�.

                Il provinciale di Parigi, per fare bella figura, aveva imposto a tutti i confratelli di indossare la talare, o almeno un abito clericale e la camicia con il colletto romano. Questa era la regola di allora. Solo due giovani gesuiti, che erano originari del Nord Europa, infransero l�armonia dell�insieme in quanto si presentarono vestiti in giacca e cravatta. Il provinciale tent� invano di allontanarli o di nasconderli dietro gli altri gesuiti, vestiti �come Dio comanda�. La situazione divenne ancora pi� imbarazzante per il provinciale, perch� casualmente i due furono tra i primi a salutare il superiore generale, il quale s�intrattenne amichevolmente con loro conversando sulla situazione della Compagnia di Ges� nell�Europa del Nord, che egli aveva ben conosciuto durante gli anni del suo esilio. L�incidente, come si pu� ben immaginare, non pass� inosservato e fu motivo di vari commenti.

                Qualcosa di simile successe anche il giorno dopo. A causa dei miei impegni all�Universit� io non avevo potuto partecipare all�incontro di p. Arrupe con i gesuiti di Parigi; ma durante la serata all�interno della comunit� affiorarono chiaramente reazioni divergenti. Mentre alcuni si dicevano entusiasti, altri esprimevano parole d�indignazione perch� nel suo discorso p. Arrupe aveva fatto a pezzi alcune sante consuetudini e scosso posizioni ben consolidate da tanti anni, mettendo ogni suo interlocutore, in modo personale, dinanzi alla novit� dello Spirito, che aveva fatto irruzione in forma nuova nella nostra storia. Di conseguenza non era pi� sufficiente una condotta impeccabile, una fedelt� minuziosa e formale al regolamento e all�orario (neppure al pi� tradizionale e sacro), n� bastava l�osservanza perfetta sotto ogni punto di vista per essere un autentico compagno di Ges�. Prima di tutto era necessario accettare senza riserve la novit� cristiana, alla quale lo Spirito chiamava urgentemente la Chiesa, esigendo una disponibilit� apostolica a tutta prova, illuminata dal discernimento orante nell�ascolto dei �segni dei tempi�.

 

Un autentico sconvolgimento nella Compagnia

                Questo fu quanto p. Arrupe disse ai gesuiti di Parigi; e le stesse cose avrebbe, in seguito, detto a tutti, provocando di conseguenza un autentico sconvolgimento nella spiritualit� e nella missione della Compagnia, senza risparmiare alcun aspetto della vita quotidiana.

                Quando, circa dieci anni pi� tardi, p. Arrupe tracci� un bilancio di quella situazione lo fece rinnovando in primo luogo la sua fede nella grazia del Concilio. Conservava un ottimismo realista, che qualcuno ha attribuito a una sua ingenuit� personale che gli avrebbe impedito di vedere la realt� disastrosa della Chiesa postconciliare. In effetti i suoi molteplici contatti e la numerosa corrispondenza che riceveva gli parlavano in continuazione di dimissioni e di fuoriuscite, di situazioni di conflitto all�interno della Chiesa e della Compagnia, di pericolosi malintesi sul rinnovamento in corso e di divergenze su elementi essenziali della nostra fede, fino a mettere in questione quasi tutto quello che era stato amato dalla Chiesa prima del Concilio. P. Arrupe di fatto non negava questa realt�, ma si rifiutava di vedere in essa tutta la verit�.

                In realt� applicando la legge secondo cui una buona notizia non � notizia, e solo una cattiva notizia merita questo nome, tutti gli aspetti negativi legati al postconcilio ricevevano ampia divulgazione nei giornali, nelle riviste e nei programmi televisivi, finendo con l�alimentare un pessimismo che contagiava anche le pi� alte sfere del Vaticano. Malgrado questo quadro cos� fosco, p. Arrupe non si lasciava mai sfuggire dalle labbra una parola che non fosse di fiducia e di speranza, di coraggio e di fede nell�impulso dello Spirito di Dio che rinnova la faccia di questo mondo attraverso la sua Chiesa, attraverso quanti sono stati inviati ad annunciare la buona notizia. La speranza, che non soccombe mai nella notte scura della nostra storia, veniva sintetizzata da p. Arrupe in un proverbio che ripeteva frequentemente, e che il santo padre Benedetto XVI ha ripreso l�estate scorsa parlando del tempo postconciliare a un gruppo di sacerdoti: �Quando cade un albero fa molto rumore, ma se si aprono mille fiori tutto avviene in grande silenzio�.

                Ma tutta questa informazione unilaterale e tendenziosa sulla novit� del Concilio era un male minore, quando raffrontata con una difficolt� pi� essenziale. P. Arrupe ci ricordava frequentemente che in relazione alla grazia e ai benefici del concilio Vaticano II ci comportavamo come i nuovi ricchi, che ostentano la ricchezza che hanno ricevuto per farsi vedere e ammirare, dimenticando per� che questi nuovi tesori ricevuti comportano nuove responsabilit� in relazione agli altri. Corriamo il pericolo di inorgoglirci vanamente per le conquiste del Concilio come, per esempio, l��aggiornamento� e la nuova presenza della Chiesa nel mondo, la libert� di coscienza religiosa e la responsabilit� dei fedeli laici nella Chiesa, il dialogo interreligioso e l�opzione preferenziale per i poveri, l�impegno per lo sviluppo umano e la riscoperta della Scrittura e della liturgia. Questi sono valori innegabili proclamati dal Concilio, ma per divenire frutti dello Spirito esigono una vera conversione dei nostri cuori. In caso contrario, queste conquiste non produrrebbero nient�altro che accomodamenti superficiali o si trasformerebbero in concessioni all�opportunismo, cedendo alle pressioni della moda o delle correnti cosiddette moderne.

                L�irruzione dello Spirito nella vita della Chiesa pu� essere facilmente snaturata e ostacolata dagli uomini. Diceva p. Arrupe: �Siamo straordinariamente creativi al momento di mettere in campo tutti gli ostacoli possibili per tagliare la via all�azione dello Spirito, riducendo cos� il Vangelo a lettera morta. Sono molto convinto di una cosa: senza una profonda conversione personale, non sapremo rispondere alle sfide che il nostro presente ci pone. Al contrario, se riusciremo ad abbattere le barriere che si alzano all�interno di noi stessi faremo una nuova esperienza dell�irruzione di Dio e impareremo che cosa significa essere cristiani nel tempo presente�.

 

Il nuovo � Cristo

                La posizione di p. Arrupe in relazione alla novit� del Concilio presenta altri aspetti caratteristici. Mentre nell�epoca postconciliare tutti dovevano essere, fatalmente, classificati come conservatori o progressisti, in molti hanno osservato che p. Arrupe non si lasciava classificare, perch� si trovava su un livello diverso. E questa posizione non era assolutamente una specie di scelta di compromesso tra la prospettiva degli integralisti, fanatici difensori della purezza del sistema, che deve essere conservato a qualunque costo, e quella dei fautori di un�apertura incondizionata, che corrono il rischio di innovare con una radicalit� che si lascia dietro solo vuoto e rovine. Per p. Arrupe il nuovo non era n� di destra n� di sinistra; non si trova n� nella conservazione del passato n� nell�ossessione del presente, ma nel futuro, secondo la fede professata da sant�Ireneo di Lione: �Sappiate che (Cristo) ha portato con s� tutte le cose nuove che erano state annunziate. E questo �, precisamente, quello che nel tempo passato era stato annunciato: che la Novit� sarebbe dovuta venire per rinnovare e dare la vita all�essere umano� (Adv. Haer. IV, 34, 1).

                Alla luce di Colui che deve venire come nostro futuro, sua santit� Giovanni XXIII, con la convocazione del Concilio, mirava non tanto a una �saggia modernizzazione della Chiesa�, ma a un rinnovamento di essa, alla luce della novit� di Cristo. Cos� dunque, cercando di essere fedele a questo orientamento, p. Arrupe stimol� i suoi confratelli a �colloquiare�, a fare un incontro di persona con Colui che deve venire, il Cristo, �il modello che non � mai passato di moda e che rimane la fonte di ogni nuova ispirazione�. Egli, che � la novit�, rinnova tutte le componenti del nostro essere e della nostra azione apostolica, tanto del presente come del passato. Egli fa rivivere la nostra fedelt� e la nostra audacia, la nostra spiritualit� incarnata e la nostra presenza nel mondo.

                Da questo discorso che guarda a Cristo come nostro futuro p. Arrupe traeva la conclusione pratica che ci saranno cambiamenti che non rappresentano n� capitolazioni, n� sconfitte, ma che rispondono a una vera necessit� e rappresentano un vero progresso. Nella ricerca di nuove forme di vita si possono commettere errori, in parte perch� i cambiamenti devono essere fatti prendendo come base dei punti di riferimento che, a loro volta, sono in movimento; e in parte perch� sono in gioco valori di segno contrastante, che � necessario prendere in considerazione con equilibrio. Comunque, un errore ancora maggiore sarebbe quello di non tentare questa ricerca del nuovo. Tutto il processo di rinnovamento � molto delicato, perch� l�uniformit�, che in altri tempi era praticabile e si poteva imporre a priori, oggi risulta inattuabile in un mondo caratterizzato dall�entrata in scena di nuovi paesi, dall�incontro tra nuove culture e dalla scristianizzazione crescente di paesi che per tradizione sono stati evangelizzatori.

                In questo cammino verso il rinnovamento p. Arrupe ha potuto aiutare tante persone, perch� egli stesso ha dovuto fare un percorso che gli si presentava come un vero esodo. Si � trattato, secondo le parole proferite quando fu eletto superiore generale della Compagnia, di un esodo radicale, pieno di incertezze e di responsabilit�; un esodo che comportava l�abbandono di un insieme di atteggiamenti, concezioni e priorit�. Secondo lo spirito del Concilio era necessario liberarsi di tutto quel passato per adottare altri atteggiamenti, che dovevano essere precisati, chiariti, definiti. Si trattava di uscire da un mondo di sicurezze, affermate ed ereditate dalla tradizione secolare della Chiesa e della Compagnia, per entrare in un mondo ancora in fieri, a noi sconosciuto, ma al quale Dio ci chiamava con la voce del Concilio, del santo padre e delle congregazioni generali.

                Questo percorso comportava numerosi punti oscuri e molte nuove sfide, ma anche tante speranze e possibilit� perch� era, e continua a essere, il cammino di Dio �che fa tutte le cose nuove nel suo Figlio Ges� Cristo, la novit��. Questa � la testimonianza dello stesso p. Arrupe, manifestata il 15 gennaio 1977 nella ricorrenza dei 50 anni della sua entrata nella Compagnia di Ges�.

                Quest�omelia, pronunciata presso la tomba di sant�Ignazio, ci ricorda anche che questo basco del secolo XVI � stato un innovatore che ha aperto molte vie nuove, ha dato impulso a un nuovo spirito missionario nel mondo e ha dato inizio a una nuova forma di vita consacrata, sull�esempio degli apostoli. Inoltre negli Esercizi spirituali sant�Ignazio ha aperto la contemplazione dei misteri della vita di Cristo alle scelte che il Signore ha fatto a nostro favore, per far s� che la nostra vita si conformi a poco a poco alla sua. Perci� difficilmente qualcuno pu� dirsi ignaziano se non percorre la via della novit�.

 

Nella fedelt� al papa

                Come si pu� notare non c�� niente di strano se p. Arrupe, fedele allo spirito del Vaticano II, procedette su questa linea, gi� tracciata da sant�Ignazio, consapevole che si trattava di un percorso impervio sulle vette, lungo il quale possono avvenire cadute e incidenti. Camminare lungo questo sentiero di montagna, per costruire il nuovo nel nome del Signore, richiede capacit� e prudenza. In questo sforzo per introdurre le novit� del Concilio p. Arrupe fece suo il progetto che sua santit� Giovanni Paolo II aveva affidato ai docenti gesuiti dell�Universit� gregoriana di Roma: �Sappiate essere ogni giorno creativi, senza contentarvi facilmente di quanto � stato utile nel passato. Abbiate il coraggio di esplorare nuovi percorsi, anche se con prudenza�.

                Questa consegna del santo padre era molto pertinente, poich� il postconcilio portava con s�, per la Chiesa e per la Compagnia di Ges�, pericoli tutt�altro che immaginari. Per esempio una specie di compiacimento nel non vedere, nel non voler proclamare le meravigliose novit� del Concilio, nel non volerle mettere in pratica, come conseguenza di un certo timore di impegnarsi in un nuovo percorso senza conoscere in anticipo fin dove ci porta e ci conduce. In certi momenti p. Arrupe si lamentava perch� anche i gesuiti non centravano l�obiettivo: i pi� anziani perch� tentati di fuggire dalle novit�, i pi� giovani perch� trasportati da una precipitazione incosciente.

                Tuttavia la resistenza passiva che riscontrava tra i suoi confratelli gesuiti ad accogliere il desiderio dei vicari di Cristo in terra di �attuare le novit� del Concilio� non scoraggi� affatto p. Arrupe nel suo progetto di indicare le porte che lo Spirito aveva aperto e che nessuno poteva chiudere. Seguendo gli stimoli provenienti dal Concilio e alla sua luce c�erano molte cose da fare; molte volte si trattava di camminare su terreni senza percorsi segnati, e senza poter utilizzare mappe gi� pronte con i tracciati delle vie da seguire. Come ripeteva Giovanni Paolo II, bisognava andare avanti, ma con prudenza.

                Sull�interpretazione di questo consiglio del papa tuttavia non vi era unanimit�, come non c�era concordanza sulla portata di questa linea di prudenza. In questo percorso tra le vette quando era necessario volta a volta misurare i passi, rallentare o addirittura fare marcia indietro? Appoggiandosi sull�esperienza di sant�Ignazio, p. Arrupe affidava la prudenza al discernimento orante: dinanzi a Dio, nel Signore, tutta la verit� nella sua complessit� viene analizzata per discernere quello che Dio vuole realizzare con noi. Si tratta, come potete verificare, di una vera riflessione �olistica�, che non si ferma su aspetti parziali o particolari della realt� e che neppure si lascia suggestionare dalle ideologie o correnti alla moda. Non segue idee fisse e pietrificate, ma sceglie dalla lunga storia del rapporto di Dio con noi, dal vecchio e dal nuovo tutto quanto � necessario per costruire la citt� di Dio con gli uomini, una terra nuova e un cielo nuovo.

 

Il criterio: l�amore

                Quest�apertura orante � il segno distintivo della prudenza di p. Arrupe. Nel suo stile personale di mettere in pratica la novit� del Concilio, egli riconosce che lo Spirito non ci spinge mai a tornare indietro, ma che al contrario ci d� animo per ricercare incessantemente la via di Cristo. Cos�, dunque, fortificati dallo Spirito dobbiamo valutare quello che facciamo per vedere, alla luce del Signore, se � ci� che si potrebbe e si dovrebbe fare. P. Arrupe sottolinea che � essenziale raggruppare o interpretare i fatti, come pure analizzare le tendenze; ma questo non � ancora il vero discernimento. L�autentico discernimento consiste nello scrutare i segni dei tempi e nell�interpretarli alla luce del Vangelo, per mezzo della preghiera, offerta per tutte le realt� umane.

                � lieto di vedere che quest�opera, ardua e delicata, esige una costante trasformazione interiore, una vera �metanoia� o conversione a Cristo crocifisso e che, d�altra parte, essa comporta per ognuno di noi la liberazione da tutto quello che pu� turbare la nostra capacit� di giudizio od occupare inutilmente il nostro cuore. Solo in questo modo sar� possibile rimanere costantemente all�ascolto e a disposizione dello Spirito.

                Grazie alla pratica di questo discernimento orante, praticato nella Chiesa, con la Chiesa e per la Chiesa, p. Arrupe vive intensamente l�aggiornamento voluto dal Concilio. Dietro le parole dei vari documenti del Concilio riconosce la rivelazione dello Spirito, che tutto rinnova. Nelle formule e nelle affermazioni dei testi percepisce la nuova fede, espressione della tradizione viva e della passione per l�unit� di tutta l�umanit� nel suo Signore.

                Sebbene il cambiamento messo in moto dal Concilio sia stato in certi momenti troppo rapido e sconcertante, mentre ora tende a fermarsi, p. Arrupe desidera che l��aggiornamento� continui, anche per il solo fatto che il nostro mondo cambia e si trasforma, obbligando la Chiesa a offrire nuove risposte alle nuove necessit�. Se queste risposte portano oggi i nomi ben conosciuti di dialogo e inculturazione, spiritualit� e Chiesa dei laici, sviluppo e pace, promozione della giustizia nel mondo per mezzo di una chiara e netta opzione preferenziale per i poveri, possiamo dire che tutte queste risposte hanno trovato un luogo privilegiato nell��aggiornamento� voluto da p. Arrupe.

                Anche in relazione a questi punti si � manifestata molta resistenza all�attuazione degli orientamenti del Concilio, nonostante il richiamo alla prudenza del compianto santo padre Giovanni Paolo II. Se desideriamo lavorare per la giustizia, in modo serio e fino alle ultime conseguenze, la croce apparir� immediatamente sul nostro orizzonte. Se ci manterremo fedeli al nostro carisma sacerdotale e religioso, anche quando agiamo con prudenza vedremo ergersi contro di noi tutti quelli che, nella societ� industriale di oggi, praticano l�ingiustizia; anche quelli che sono considerati eccellenti cristiani e che, forse, sono stati nostri benefattori, nostri amici e finanche membri della nostra famiglia: tutti ci accuseranno di essere marxisti e sovversivi.

                Ci escluderanno dalla loro amicizia, ci priveranno della loro antica fiducia e del loro sostegno economico. Siamo disposti ad assumere la responsabilit� di metterci sulla via della croce pi� pesante, a essere vittime dell�incomprensione delle autorit� civili ed ecclesiastiche, e perfino dei nostri migliori amici? Siamo veramente disposti a offrire una vera testimonianza con la nostra vita, il nostro lavoro e il nostro stile di vita?

                Per p. Arrupe questa impostazione era una conseguenza logica della novit� che viene alla Chiesa dalla sua legge fondamentale, il comandamento nuovo dell�amore: �Come io vi ho amato cos� amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli� (Gv 13,34). Era prevedibile, e magari fino a un certo punto scontata, l�indignazione che questa impostazione ha suscitato? Il comandamento nuovo dell�amore c�invita a fare sempre il primo passo verso la riconciliazione, a salutare fraternamente quelli che non ci salutano, ad amare non solo quelli che ci sono vicini, ma anche quelli che si allontanano da noi, amici e nemici. Ancor di pi�, nella nostra carit� cristiana non dobbiamo contentarci di dare le nostre cose, ma dobbiamo dare noi stessi e la nostra vita, per divenire cos�, a immagine del Signore, persone al servizio degli altri.

                � evidente che il nostro egoismo reagisce con tutte le forze contro questo comandamento nuovo, anche se non abbiamo ancora parlato dell�ingiustizia che c�� nel mondo, dell�oppressione e della schiavit�; anche queste sono piaghe intollerabili del nostro tempo, cosiddetto moderno, che i media ci pongono dinanzi agli occhi e che il mondo dei poveri deve sopportare senza speranza e senza aiuti.

 

La scelta sociale

                Nel suo sforzo di dare un nuovo impulso al comandamento nuovo e di portarlo alle sue estreme conseguenze, p. Arrupe si poneva in stretta continuit� con il Concilio e con i sinodi, con le dichiarazioni dei papi e dei vescovi, bench� per costume e prudenza le loro esigenze pratiche non raggiungessero il livello delle vette che Arrupe desiderava seguire. Ogni conversione al sociale potrebbe allontanare il cristiano dalla spiritualit�, bench� tale alienazione non sia assolutamente indispensabile. Ogni opzione e lotta per la liberazione degli oppressi, ogni difesa dei poveri e ogni testimonianza della giustizia pu� condurre all�ingiustizia della violenza e dell�odio, quantunque questo cambiamento di valori non s�imponga giocoforza.

                Laddove il papa Giovanni Paolo II afferma che non � sufficiente la lotta per la giustizia contro le strutture ingiuste, ma che � necessario che questa lotta sia messa al servizio della carit� e da essa condizionata, p. Arrupe esprime una posizione che mi permetto di giudicare pi� articolata, sottolineando in primo luogo che la carit� non � di per se stessa autentica. La carit� pu� essere falsa o solo apparente; insomma, diventa un�ingiustizia camuffata quando, andando al di fuori della legge, si concede a una persona per benevolenza ci� che le � dovuto per diritto. Concretamente, l�elemosina non deve costituire una specie di sotterfugio per non riconoscere a una persona ci� che le si deve per giustizia.

                Inoltre p. Arrupe si mostra meno reticente in relazione alla giustizia. Infatti, mai si � parlato tanto di essa e mai la si � disprezzata in modo pi� evidente. Concorda con Giovanni Paolo II che nella carit� l�amore al prossimo e la promozione della giustizia si trovano inseparabilmente uniti nel nuovo comandamento dell�amore. La lettura che il Concilio fa del Vangelo afferma che non si ama se non si pratica la giustizia, e che la giustizia si degrada e diventa ingiustizia se, a sua volta, non � praticata con amore.

                Per dirla ancora pi� chiaramente, la sua fiducia nella giustizia, vissuta alla luce del Vangelo, punta verso nuove espressioni e nuove sensibilit�: la giustizia, vissuta nella prospettiva del Vangelo � in se stessa sacramento dell�amore e della misericordia di Dio. In questo modo p. Arrupe desidera riaffermare, nella linea della pi� autentica tradizione ignaziana, che l�amore non deve essere posto nelle parole, ma deve tradursi in azioni concrete di giustizia.

                Stiamo parlando della novit� del Concilio, che porta fino alle ultime conseguenze il nuovo comandamento dell�amore, anche con il rischio di presentarlo come un�utopia e di suscitare la diffidenza e il sospetto, quando si scopre, a partire da questa prospettiva, la dimensione sociale del Vangelo. Quando pi� tardi appare il problema del dialogo con il mondo, non solo tra le religioni e i credenti, ma anche nel contesto delle grandi ideologie, p. Arrupe, invece di chiudere a priori e di colpo la porta al dialogo, fa crescere nella Compagnia l�esigenza di studiare gli elementi positivi di quelle ideologie. Nel caso concreto del marxismo, dice con fermezza che la Compagnia di Ges� non pu� mai accettare un�ideologia che ha come fondamento essenziale l�ateismo. Ma allo stesso tempo afferma con chiarezza che si devono studiare con seriet� gli elementi di verit� che esso possiede. E questa posizione fondamentale viene applicata come un metodo necessario tanto nel dialogo con il marxismo quanto con le altre ideologie e religioni.

                Non dobbiamo, forse, riconoscere come una novit� del Concilio, che crede nella presenza dei semina Verbi, gli elementi validi presenti nell�induismo, nell�islam, nel buddhismo e nelle altre religioni? Non dobbiamo riconoscere quei semina Verbi come un punto di partenza per un dialogo costruttivo con gli altri? Ancora una volta p. Arrupe si � posto in prima fila per camminare al livello delle vette, quando ha proclamato la novit� dello spirito del Concilio, che propone l�esigenze dell�apertura e del dialogo. Il suo linguaggio, nel contenuto e nell�espressione, rimane totalmente fedele alla richiesta del Signore, che ci dice �il vostro �s�� sia s�, e il vostro �no� no� (Gc 5,12), senza ambiguit� linguistiche e senza abili diplomazie.

                In questo linguaggio franco e chiaro, il punto di partenza viene sempre messo in relazione alla situazione presente: non si perde in raffronti con il passato, nel momento di accogliere la novit�, che � sempre presente per chi guarda nella prospettiva del futuro. Di fatto, queste prospettive sono state proposte da Colui che deve venire per fare nuove tutte le cose. E proprio nella ricerca di forme nuove si manifesta nell�attualit� il cambiamento che viene dallo Spirito. Poich� Colui che fa la nostra storia � l�alfa e l�omega, colui che era, che � e che sar�. P. Arrupe non poteva immaginare un cambiamento che fosse in radicale rottura col passato, o una discontinuit� che supponesse l�abbandono di una santa tradizione, poich� in questo caso si sarebbe creato un vuoto difficile da colmare.

 

Continuit�, cambiamento e novit�

                In questa prospettiva dobbiamo riconoscere che l�immissione della dimensione sociale nel corpo della Chiesa si realizza nella continuit� con il contenuto del comandamento nuovo del Vangelo. E per quanto concerne la Compagnia di Ges�, l�apostolato sociale si ritrova senza dubbio in nuce nell�azione sociale di sant�Ignazio. Continuit�, certamente, ma anche cambiamento e novit�. � bene ricordare, a questo punto, che sua santit� Benedetto XVI ha riconosciuto sant�Ignazio come un santo sociale, e permettetemi di citare solo lui tra tanti altri testimoni della storia che esprimono la stessa convinzione. Pertanto vedere in tutto questo processo solo una specie di capitolazione alle ideologie marxiste o socialiste sarebbe semplicemente un�interpretazione falsa.

                Tutto quello che p. Arrupe ha realizzato lo ha fatto dando una risposta fedele all�appello di Giovanni Paolo II, il quale disse che la Chiesa nel tempo presente si aspettava che la Compagnia contribuisse efficacemente a mettere in pratica il concilio Vaticano II, per far procedere tutta la Chiesa lungo la via tracciata dal Concilio; allo stesso tempo gli chiese di convincere tutti quelli che, per disgrazia, si sentissero tentati a percorrere le vie del progressismo o dell�integralismo (27.2.1982). Precedentemente, mosso dalla fiducia nella forza spirituale della Compagnia, che si fonda nell�esperienza di Dio mediata da sant�Ignazio, il papa Paolo VI (3.12.1974) aveva indicato la Compagnia di Ges� come il luogo in cui la novit� del Concilio avrebbe dovuto prendere forma. �La vostra Compagnia, in poche parole, costituisce un test della vitalit� della Chiesa attraverso i secoli; costituisce un crocevia di percorsi, nel quale confluiscono, in modo significativo, le difficolt�, le tentazioni, gli sforzi e le realizzazioni, la continuit� e il successo della Chiesa intera�.

                P. Arrupe procedette lungo questa via delle vette. Cerc� di ricevere la novit� del Concilio, nel cui seno si svilupp� l�ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuit� con una Chiesa viva, poich� � il Signore a dare la Vita. Facendo uso di questa terminologia, introdotta dal papa Benedetto XVI, comprendiamo che questa ermeneutica della riforma si distingue chiaramente dall�ermeneutica della rottura e della discontinuit�, con la quale si cerca il cambiamento per il cambiamento, come se la Chiesa dovesse ri-fondarsi e non ri-formarsi (22.12.2005).

                Queste citazioni degli interventi pontifici che ho appena ricordato e messo in relazione all�azione rinnovatrice di p. Arrupe potrebbero sorprendere quanti hanno letto questo capitolo della storia postconciliare unicamente come un conflitto della Compagnia di Ges� con il papato. La documentazione di lettere e discorsi dei papi che ho citato non contraddice affatto i nuovi orientamenti, difesi con rigore e con fervore da p. Arrupe. Allo tesso tempo, per�, � doveroso riconoscere che quella documentazione contiene segni di cautela, di preoccupazione e di restrizione in relazione a questo cammino in avanti lungo le vette. All�interno della Compagnia le preoccupazioni dei papi venivano utilizzate in vari luoghi per fomentare la resistenza contro il rinnovamento proposto da p. Arrupe. Simultaneamente alcune espressioni di p. Arrupe venivano interpretate alla leggera e utilizzate come giustificazione per iniziative e comportamenti estranei alla missione della Compagnia, per dare un valore quasi predominante alla promozione umana e al progresso sociale.

                Tanto le decisioni del Concilio quanto la loro realizzazione, che p. Arrupe voleva stimolare, richiedevano l�irruzione dello Spirito di Dio nella nostra storia e non una semplice riorganizzazione. Come ho ricordato all�inizio di questa esposizione, lo stesso p. Arrupe constatava che noi uomini abbiamo una straordinaria capacit� creativa quando si tratta di frapporre ostacoli all�azione dello Spirito. Per questo il Vangelo diventa lettera morta, e noi non siamo capaci di comprendere la radicalit� del messaggio evangelico. A causa del nostro egoismo sfrenato finiamo col minimizzarlo e nel contempo non c�impegniamo nelle riforme personali e sociali necessarie, perch� abbiamo paura delle ricadute sulle nostre persone.

 

Un rinnovatore profondo

                P. Arrupe era fermamente convinto di una cosa: senza una profonda conversione personale, non saremo capaci di rispondere alle grandi sfide che il tempo presente ci propone. E conseguentemente egli cerc� di vivere, anche con sofferenza personale, il valore conciliare del rispetto della libert� di scelta; per questo si rifiut� di ricorrere all�argomento dell�autorit� e del potere, per imporre ci� che egli sapeva provenire solo dallo Spirito. Il suo comportamento, attingendo a tutta la sua fede personale, sar� sempre orientato a proporre, e non a imporre, anche correndo il rischio di essere accusato di avere poco polso o seconde intenzioni. Come evitare le ambiguit� della parola di Dio, quando viene pronunciata con parole umane? � questo uno dei prezzi da pagare per andare avanti, aprendo sentieri sulle vette.

                Le due ultime omelie di p. Arrupe riflettono bene questa figura di uomo che sto delineando: non di un audace si tratta, ma di un rinnovatore profondo. A Manila pronunzi� un�omelia che contiene questa prima testimonianza: �Faccio riferimento alla ri-formulazione della finalit� della Compagnia, a partire dalla difesa e dalla propagazione della fede, al servizio della fede e della promozione della giustizia. La nuova formula non � assolutamente riduttiva, de-viazionista e dis-giuntiva: essa, al contrario, rende espliciti i contenuti presenti, in germe, nell�antica formulazione, facendo riferimento pi� esplicito alle necessit� presenti della Chiesa e dell�umanit�, al cui servizio siamo impegnati per vocazione�. Tutto l�uomo e tutto il messaggio di p. Arrupe sono presenti in questo denso periodo.

                La seconda omelia, risalente all�inizio del settembre 1983, fu letta in localit� La Storta, luogo ignaziano per eccellenza, dove sant�Ignazio sent� che la sua preghiera di diventare compagno di Cristo e servitore della sua missione era stata accolta. P. Arrupe non era pi� in condizione di pronunciare quest�omelia, che per� aveva redatto personalmente: �Chiedo al Signore che questa celebrazione, che per me � un addio e una conclusione, sia per voi e per tutta la Compagnia, qui rappresentata, il punto di partenza, con rinnovato entusiasmo, di una nuova fase di servizio�.

                Durante i nove anni che seguirono queste parole, perso in un�apparente inutilit�, incapace di comunicare, ma capace solo di soffrire una lenta agonia, p. Arrupe si sent� come non mai nelle mani del Signore. Queste sono sue parole. Consider� la sua persona sofferente come la realizzazione di quello che aveva desiderato durante tutta la sua vita: la profonda esperienza che ogni iniziativa sta nelle mani del Signore.

                Questo deve essere un messaggio anche per tutti i confratelli che si trovano nella pienezza della vita attiva: nessuno consumi tutte le sue energie nel lavoro; il centro di gravit� della vita non sia posto nelle cose da fare, ma in Dio. Il messaggio che oggi vi lascio � un messaggio di piena disponibilit� al Signore. Vi esorto a cercare, senza sosta, quello che dobbiamo fare di pi� utile per il suo servizio, e a porlo in pratica nel miglior modo possibile, con amore e totale abnegazione. Cerchiamo di avere un senso di Dio molto personale. Questa � la figura e il messaggio di p. Pedro Arrupe, nato a Bilbao cento anni fa.

 

Peter-Hans Kolvenbach sj*

 

                * Questo testo, che pubblichiamo per gentile concessione dell�autore in una nostra traduzione dallo spagnolo, � stato pronunciato dal preposito generale della Compagnia di Ges� all�Universidad de Deusto, Bilbao, il 13 novembre 2007.

 

 

 

 

Intervista a p. Peter-Hans Kolvenbach

 

 

La vita consacrata � dono dello Spirito

 

 

Padre Kolvenbach, lei � preposito generale della Compagnia di Ges� dal 1983, succedendo a p. Arrupe, e si potr� dimettere dall�incarico nella prossima Congregazione generale (la XXXV, che si aprir� il 7 gennaio 2008). Ha vissuto in prima persona una stagione lunga e importante della vita religiosa. Essa sembra compressa in un paradosso: da un lato la piena valorizzazione magisteriale (dalla Perfectae caritatis alla Vita consecrata) e un�acuta esigenza ecclesiale, dall�altro un calo numerico importante sia per le comunit� femminili sia per quelle maschili. Si � dato una spiegazione?

                �Le spiegazioni non mancano. Una � la denatalit�, l�altra la scomparsa delle famiglie numerose. Pi� in profondit�: la gioiosa fioritura dei movimenti ecclesiali fa s� che per servire la Chiesa ci siano oggi altre strade oltre al seminario o al noviziato. Normalmente le vocazioni alla vita consacrata nascono in un clima di fervore religioso; il �freddo inverno� delle nostre Chiese potrebbe spiegare l�esiguit� delle vocazioni.

                Nella vita consacrata ci sono pi� spiegazioni alla crisi. Noi come religiosi non possiamo �assumere del personale�, anche se per la Chiesa ci sono tanti impegni importanti che aspettano. � il Signore che chiama e noi possiamo soltanto accompagnare e aiutare la scoperta di questa chiamata di Dio. Da qui la responsabilit� della vita consacrata di poter invitare quelli e quelle che sono in ricerca a venire e vedere (cf. Gv 1,39) che cosa significa concretamente la vita consacrata, poich� � il Signore che chiama.

                Proprio oggi assistiamo sia alla nascita di nuove famiglie religiose sia allo stesso tempo alla morte di altre; non perch� abbiano agito male o siano travolte dalla corruzione, ma perch� il Signore offre alla sua Chiesa dei nuovi doni di cui essa ha bisogno. Perch� mentre la Chiesa non potrebbe essere Chiesa senza clero e laicato, a rigore, essa � Chiesa anche senza una o pi� famiglie religiose operanti nei nostri giorni. Il Vaticano II l�ha sottolineato bene definendo la vita consacrata come un dono dello Spirito alla Chiesa, che ne ha bisogno per mettere in rilievo l�una o l�altra caratteristica dell�inesauribile ricchezza della persona del Signore: talora il Signore in preghiera, altrove il Signore povero, o ancora il Signore predicatore, il Signore in missione, il Signore che ama i poveri, il Signore che insegna ecc. Sono delle qualit� del Signore che ogni famiglia religiosa incarna per la Chiesa. Quella qualit� di vita spirituale determina quantit� e numero, anche delle vocazioni�.

 

Domande scomode all�Europa

                � La �tenuta� degli ordini religiosi e congregazioni internazionali � spesso dovuta alla crescita delle province religiose in Asia, Africa e, in parte, in America Latina. Per la prima volta, la vita consacrata mette radici fuori dei territori europei. Cosa pu� significare per il futuro della vita religiosa questa dislocazione? E che cosa si deve pensare dei compiti dei religiosi in Europa?

                �Questo � vero, ma non bisogna dimenticare che la vita consacrata � iniziata nel IV secolo in Egitto, cio� fuori dell�Europa, con sant�Antonio il copto. Sulle tracce dei grandi esploratori dei continenti ci sono stati immediatamente dei monaci, dei religiosi �mendicanti� che li hanno seguiti per piantare la croce fuori dell�Europa. Senza dubbio l�inculturazione della vita consacrata non � stata immediata, ma gi� nel XVI secolo una vita consacrata autoctona appariva in Giappone e, un po� pi� tardi, anche in Brasile.

                Grazie a fondatori e fondatrici europei l�ispirazione arriv� per lo pi� dall�Europa. Ma grazie alla spinta della passione apostolica di san Paolo � farsi tutto a tutti (cf. 1Cor 9,22) � e con l�inserimento nella cultura, nella lingua e nella spiritualit� degli altri continenti, l�inculturazione non tard� ad arricchire anche il carisma d�origine di una famiglia religiosa. Grazie ad abbondanti vocazioni fuori dell�Europa e del Nord America, questa inculturazione si � oggi accelerata, ponendo a noi della vecchia Europa le domande: che avete fatto della vostra vocazione? Avete abbandonato il vostro primo amore (cf. Ap 2,4)? Come diceva l�allora card. J. Ratzinger, l�inculturazione della vita consacrata � propriamente un�inter-culturazione dove, in una stessa famiglia religiosa, l�Europa con la sua cultura e gli altri continenti con le loro tradizioni s�arricchiscono reciprocamente in uno scambio di doni�.

                � Negli ultimi decenni si � contrapposta spesso alla crisi della vita consacrata la vitalit� dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunit� e fondazioni. � una contrapposizione pertinente? Che cosa possono dire le nuove forze a quelle tradizionali e viceversa? Quali collaborazioni sono possibili?

                �Sua santit� Giovanni Paolo II ci ha insegnato a considerare la fioritura dei movimenti ecclesiali come un frutto dello Spirito. Le famiglie religiose hanno preparato questa fioritura quando hanno raccolto intorno a loro gruppi di laici, come gli oblati e i �donati�, come gli associati e i �terz�ordini�. Sostenuti dalla convinzione del Vaticano II dell�universale chiamata alla santit� e alla perfezione, i laici si sono lasciati prendere dallo Spirito per vivere il loro battesimo fino alle sue conseguenze pi� radicali. Bisogna sapere �affidare al Signore� questa vita nuova, questo nuovo cammino nella Chiesa.

                Se la vita consacrata ha pensato un tempo di essere �la parte migliore�, oggi essa sa di essere una �differenza� e una �diversit�� cristiana, in grado di creare uno stile di vita specifico che, 24 ore su 24, segue il Signore ovunque egli vada. I movimenti ecclesiali prendono spesso dalla vita consacrata espressioni specifiche come nella vita di preghiera o nella vita comune, ma con una freschezza che a sua volta ispira la vita consacrata a rinnovarsi�.

 

Mi aspettano i codici

                � La sua presenza nell�Unione dei superiori generali � sempre stata attiva e apprezzata. Quali sono gli elementi pi� significativi di questa esperienza di collaborazione tra religiosi? E cosa dire delle sollecitazioni per una cooperazione pi� stretta con le superiore maggiori delle famiglie femminili?

                �L�Unione dei superiori generali (USG) � stata per me un aiuto indispensabile come per tanti miei colleghi. Mi dispiace che per via di un calendario e di un�agenda pieni non mi sia stato sempre possibile partecipare alle riunioni. L�USG offre l�opportunit� di una vera formazione permanente ed � anche un�occasione d�incontrarsi come amici nel Signore. Malgrado il desiderio crescente di aiutarsi a vicenda di fronte alle pesanti responsabilit� nella Chiesa e per il mondo, � complicato unire le forze su un obiettivo comune da realizzare, com�� accaduto a suo tempo nei Balcani od oggi nel Sud del Sudan. Sebbene la maggior parte delle famiglie religiose apostoliche sia sovraccarica di attivit�, questo non toglie la necessit� di una maggiore collaborazione per non abbandonare gli impegni di vitale importanza per la Chiesa. In questo senso s�impone, pur nel rispetto della diversit� e della specificit�, un legame pi� stretto con la vita consacrata femminile, che da sola costituisce l�80% dell�insieme della vita consacrata�.

                � Lei ha conosciuto, direttamente o indirettamente, i passaggi pi� difficili per una famiglia religiosa: la minaccia di una separazione (la �vera compagnia�), l�intervento della Santa Sede sugli organi di governo (immediatamente prima della sua elezione), una difficile esposizione mediale, i ripetuti ammonimenti della Congregazione per la dottrina della fede verso alcuni dei teologi gesuiti pi� noti (da Dupuis a Sobrino ecc.). Con quali atteggiamenti interiori li ha affrontati? Che cosa ha chiesto ai suoi confratelli in quei frangenti?

                �Il gesuita � per vocazione un uomo in missione, desideroso di seguire il suo Signore continuando la sua missione tra la gente del nostro tempo, soprattutto l� dove il messaggio del Signore non � ancora conosciuto, o conosciuto male. Sua santit� Paolo VI nel 1974, ripreso da papa Giovanni Paolo II nel 1982, insistette affinch� i gesuiti fossero nei territori di frontiera, tra fede e mondo moderno, fede e scienza, fede e cultura, fede e giustizia, per comunicare ovunque la parola di Dio. � una bella vocazione, ma i papi, giustamente realisti, sottolinearono anche come questa missione implicasse �in modo molto significativo le difficolt�, le tentazioni, gli sforzi e le imprese, la perennit� e i successi della Chiesa intera�. Giovanni Paolo II aggiunse che chiedeva ai gesuiti d�aiutare il papa e il collegio apostolico a far progredire tutta la Chiesa sul grande cammino tracciato dal Concilio e a convincere coloro che sono, purtroppo, tentati dalle scorciatoie del progressismo ideologico come dell�integralismo conservatore, a �ritornare con umilt� e con gioia nella comunione senza ombra con i loro pastori e con i loro fratelli che soffrono dei loro atteggiamenti e della loro assenza�. Voleva che i gesuiti si levassero �come un sol uomo, per questa missione di unit� nella verit� e carit��.1 Ecco l�atteggiamento che ci � chiesto nella maggioranza delle situazioni conflittuali e delicate. Allora come al tempo d�Ignazio i gesuiti fanno riferimento al vicario di Cristo in terra per non vagolare errando per le strade e per chiedere la via da seguire per la maggior gloria di Dio e per il vero bene di tutta l�umanit�. In questo senso alla Compagnia di Ges� � chiesto di �sentire cum Ecclesia�, cio� di crescere in unione con la Chiesa del Signore con e sotto Pietro�.

                � Dopo il proprio ritiro il card. Martini si � dedicato, fra Roma e Gerusalemme, agli amati codici. Lei non � un biblista, ma certamente un filologo. C�� qualche codice anche nel suo futuro?

                �Pi� che un filologo, mi considero un linguista. Come il card. Martini ritrover� i codici, non in greco biblico, ma in armeno classico e in arabo cristiano�.

 

 a cura di

Lorenzo Prezzi

 

 

                1 Giovanni Paolo II, Discorso ai provinciali della Compagnia di Ges�, 27.2.1982, n. 2.6.7, che cita Paolo VI, Discorso in occasione della XXXII Congregazione generale della Compagnia di Ges�, 3.12.1974.

Tipo Studio del mese
Tema Ministeri - Vita religiosa Pastorale - Liturgia - Catechesi Teologia
Area EUROPA
Nazioni

Leggi anche

Documenti, 2006-9

A tutta la Compagnia

P.-H. Kolvenbach
Con questa lettera inviata a tutti i membri dell’ordine, il preposito generale della Compagnia di Gesù P.H. Kolvenbach convoca la 35° Congregazione generale, chiamata a eleggere il suo successore (stampa da files in nostro possesso; nostra traduzione dallo spagnolo). Cf. Regno-att. 4,2006,95.
Attualità, 2006-2

I gesuiti e l'arte: la gloria di Dio abita tra gli uomini

P.-H. Kolvenbach, A. Dall'Asta
C’è un sorgivo legame tra la Compagnia di Gesù e l’arte, tendente a negare che tra Parola e immagine via sia contrapposizione, e a ricercare una possibile integrazione e complementarietà. Fin da Ignazio di Loyola si può parlare di una riflessione sull’immagine e sulla sua valenza simbolica, sulla sua possibilità di interrogare la vita del credente, sulla sua capacità di porsi come luogo di «rivelazione» tra Dio e il fedele. La Compagnia ha aiutato certamente a portare a compimento anche mediante l’articolazione di un preciso programma iconografico – come accadde nel barocco – le diverse componenti teologiche, antropologiche e politiche di epoche diverse. Lo studio di p. Peter-Hans Kolvenbach, preposito generale della Compagnia di Gesù, ripercorre lo sviluppo del rapporto tra la Compagnia e l’arte. La riflessione si allarga con il testo di Piero Stefani anche al rapporto tra arte, scienza e fede, proprio a partire dal ruolo teologico e culturale svolto dai gesuiti. Ne è un esempio, attraverso l’elaborazione del concetto di «apparenza reale», lo sviluppo dell’adorazione eucaristica.
Documenti, 2001-21

Kolvenbach: spiritualità del dialogo

P.-H. Kolvenbach - X Assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi
Sinodo dei Vescovi - X Assemblea generale ordinaria Sinodo dei Vescovi X Assemblea generale ordinaria Il vescovo servitore della comunione "Delineare il profilo dell�immagine del vescovo di cui la Chiesa ha bisogno per compiere la sua missione all�inizio di questo millennio": l�affermazione del card. Bergoglio sintetizza la direzione principale in cui la X Assemblea...