R. Gatti
Il paradigma liberale, che ha fatto della concezione procedurale la propria identità culturale e filosofica, mostra oramai il limite di una dismissione di fatto della responsabilità della politica di fronte a manifestazioni storiche profonde e gravi del male, e finisce col dover rinunciare allo stesso primato della decisione politica di fronte alle decisioni economiche o scientifiche che riguardano i destini dell’umanità.
La tesi per la quale l’unica alternativa al prometeismo, che trasforma tragicamente la politica in luogo di salvezza intramondana, sia l’adesione a una logica disincantata e indifferente, la quale finisce col condannare la politica a una resa di fronte ai molti e decisivi mali che tormentano l’esistenza comune, è oggi da superare.
Una cultura che estromette definitivamente il problema del male (e del bene) dall’agenda dei problemi inerenti alla politica finisce col vietarsi, in linea di principio, ogni possibilità che si possa storicamente costruire, attraverso l’agire politico, uno spazio strumentale idoneo per cercare di far fronte alle diverse e spesso drammatiche forme del male con le quali gli uomini hanno a che fare in questa intricata fase di passaggio della storia della civiltà.
L’ipotesi che qui ospitiamo si muove sulla possibilità che la riflessione sul rapporto tra la politica e il male possa trovare un terreno adeguato d’analisi, assumendo come punto di riferimento il tema dell’identità politica o, meglio, il nesso tra costituzione dell’identità e vita politica.
Studio del mese, 15/10/2001, pag. 707