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Attualità
Attualità, 12/2000, 15/06/2000, pag. 428

Prete operaio: una vita bella

C. Carlevaris

I LETTORI CI SCRIVONO

 

I LETTORI CI SCRIVONO

Prete operaio:
una vita bella

Carissimo direttore,

ti mando il mio "santino" dei 50 anni di ordinazione sacerdotale. È per te con l�autorizzazione di usarlo se credi che possa essere utile a qualcuno. Si tratta dell�intervento che ho pronunciato il 25-26 febbraio scorso a Cuneo in occasione del convegno

1968: l�anno degli studenti. 1969: l�anno degli operai. Cordiali saluti,

 

Carlo Carlevaris

"Ho vissuto i miei vent�anni di fabbrica come operaio, militante sindacale, dal 1967 al 1986, dopo oltre dieci anni di presenza in aziende come cappellano del lavoro. A Torino gli anni 1955-60, che hanno preceduto il Sessantotto operaio, sono stati caratterizzati da una presenza sindacale fortemente politicizzata, con tensioni molto pesanti tra il movimento operaio e il padronato, dapprima condizionato da presenze sindacali spesso massimaliste e poi duramente determinato a ridimensionarle con tutti i mezzi. Questa mia presenza l�ho vissuta con le stesse motivazioni evangeliche ma evidentemente con collocazioni e atteggiamenti diversi.

Mi preme evidenziare in questo ricordo-testimonianza un solo aspetto, che tuttavia mi pare una chiave interpretativa di una delle condizioni che determinavano l�atteggiamento reciproco fra la sinistra e la Chiesa del tempo.

Parto da un�espressione che mi ha accompagnato in tutti quegli anni. "Tu sei un bravo delegato, peccato che sei un prete": dicevano i compagni che mi votavano nel consiglio di fabbrica. Tra il clero e i benpensanti cristiani si mormorava: "Carlo è un bravo prete, peccato che sia comunista" Dietro queste semplici e schematiche valutazioni c�è tanta storia, non solo a Torino e in quegli anni, ma in particolare nel tempo che ha preceduto e accompagnato il biennio 1968-1969: la paura della Chiesa nei confronti del movimento operaio e in particolare della sinistra. E la sfiducia della sinistra nei riguardi della Chiesa.

La paura della Chiesa era certamente motivata da fatti contingenti e da situazioni storiche anche assai pesanti: la filosofia marxista, materialista e atea, l�esperienza dolorosa della "Chiesa del silenzio" oltre la "cortina di ferro", la prassi frequente del PCI e di molti suoi militanti.

La sfiducia della sinistra aveva motivi non lievi di fronte a un protestantesimo che è stato in qualche modo la culla giustificante del capitalismo e a un cattolicesimo con il potere delle sue istituzioni sul piano politico, con le sue strutture economiche concorrenziali sul piano sociale, e con la forza del suo denaro sul piano economico.

L�esperienza dei credenti, dei cattolici di sinistra, dei preti operai si colloca in questo conteso che fa da supporto e da cornice degli anni del dopo guerra. Anche la mia presenza nel mondo operaio dal 1953 a oggi ha risentito di questo clima, di questi condizionamenti e spiega questa testimonianza che mi è stata chiesta come uno degli elementi interpretativi del Sessantotto operaio.

Sono cresciuto in una famiglia con alterne vicende economiche e poi con gravi difficoltà al momento dell�inizio dei miei studi. La scuola elementare in un borgo operaio torinese, l�"avviamento al lavoro" in attesa di un impiego ritenuto necessario da mia madre, ormai vedova con tre figli, e poi la proposta di studiare in vista di una possibile vocazione sacerdotale, da parte di un sacerdote-sociologo, il can. A. Cantono, confinato dal regime fascista e messo prudentemente a tacere dalla Chiesa. Il Cottolengo mi accolse provvidenzialmente per gli studi. Fu la culla della mia formazione, cui attribuisco quanto di buono ho poi potuto fare insieme ai poveri e con gli operai.

Diventato prete nel 1950, sono stato per due anni accanto a un anziano parroco nella periferia di Torino, dove scopro gli apprendisti delle "boite" che giocano al pallone nella strada davanti all�officina nella pausa del mezzogiorno. Qualcuno crede di vedermi come un possibile cappellano del lavoro e mi ritrovo dal 1953 al 1963 presso FIAT, Lancia, Michelin a Torino. Il ruolo del cappellano è definito come "assistenza religiosa e morale agli operai". Per noi era un�occasione per seminare il Vangelo in quel terreno non facile, partecipando non al lavoro, ma alle vicende personali e familiari dei lavoratori. In quel tempo era certamente il modo più immediato, anche se relativo, di partecipare alla vita dell�operaio.

Per le aziende, in particolare per la FIAT, questa nostra presenza poteva essere funzionale al suo sforzo di ammorbidire i rapporti con i militanti e in particolare con i comunisti. In realtà le commissioni interne, sia alla Grandi motori FIAT come alla Lancia e alla Michelin, erano prevalentemente costituite e condizionate da uomini del PCI.

La FIAT aveva necessità di neutralizzarle e lo fece, come è noto, attraverso sistemi legali e illegali: isolamento di attivisti, licenziamenti, reparti e officine di "confino", discriminazioni di vario genere. Alla Grandi motori, in particolare, il ricatto morale era: "Bisogna cambiare il colore della commissione interna per potere continuare ad avere le commesse di lavoro dagli USA".

Il cappellano, entrato in fabbrica in nome della carità e della giustizia del Vangelo, è spettatore inerme di questa situazione, di questa impari lotta. Da una parte gli uomini che difendono diritti, posti di lavoro, pane per i figli, che spesso a questo fine usano strumenti discutibili e che spesso sono anche nemici dichiarati della Chiesa. Dall�altra parte, avversari che non mancano di dichiararsi cristiani, che difendono il lavoro, ma che sacrificano uomini in condizione di necessità verso i quali l�uso della forza del potere e del denaro diventa comunque lecita e arbitrariamente usata: i forti contro i deboli. Mi rendo presto conto che la presenza mia e della Chiesa può essere strumentalizzata. La mia stessa missione diventa espressione e compromissione a vantaggio del più forte. C�è dentro di me lo spogliamento di certezze e di ingenuità. Man mano che il braccio della FIAT si fa più pesante, in me cresce il bisogno di chiarezza, di scelte precise.

Dal 1954 sono assistente diocesano di Azione cattolica per i giovani lavoratori. Vivo insieme questo duplice ruolo: di giorno in fabbrica con il gavettino, la sera nelle associazioni parrocchiali. Mi rendo conto presto che la mentalità delle parrocchie e dell�ACI è lontana dalla vita, dal lavoro, dalle lotte e sofferenze collettive della fabbrica. I giovani sono a servizio della struttura parrocchiale, dei ragazzi, del movimento, ma non si sentono responsabili della vita sociale, della fabbrica. Molti di loro dicono: "Questo non è compito nostro". Oppure: "Non voglio sporcarmi le mani con i comunisti". Bisogna ricomporre questa rottura. Nasce l�ACI operaia con l�introduzione della mentalità e il metodo della gioventù operaia cattolica (JOC). Dopo qualche anno, i primi giovani di ACI sono presenti nell�azione operaia e vengono eletti nelle commissioni interne con i comunisti. È uno scandalo e, in alcuni casi di pronunciamenti ufficiali, diventa un fatto intollerabile da parte della gerarchia ecclesiastica torinese. Il movimento di ACI operaia deve tornare all�ovile. Devo lasciare l�incarico.

Ma la FIAT vuole la mia testa. Alcuni cattolici FIAT fanno pressione al Sant�Uffizio in Vaticano: "la sua predicazione, la sua attività pastorale contraddicono la fede, o meglio la sana dottrina sociale della Chiesa". È ancora l�istituzione-Chiesa che prevale. È ancora la sua paura nei confronti di quei giovani sindacalisti cattolici che, sia pure in coerenza con il Vangelo e con gravi rischi professionali, si impegnano contro un padronato che essi giudicano oppressivo dei diritti dei più deboli e con il quale, con i militanti della sinistra comunista, vogliono un confronto serio e alla pari. Quei giovani e io stesso diventiamo così, agli occhi della gerarchia e dell�opinione pubblica, i catto-comunisti che bisogna fare tacere. Il movimento torinese si scioglie e l�assistente è prudentemente allontanato dalla FIAT. Il vescovo coadiutore di un anziano vescovo di Torino cede alle pressioni di Roma e della FIAT, grande benefattrice delle opere diocesane e nemica della sinistra.

Per me seguono anni difficili, spesso lontano da Torino dove, secondo il consiglio del vescovo, non devo più farmi notare, in attesa che passi la bufera. Vale ancora la pena portare il peso di un sacerdozio che è visto con sospetto e messo in discussione? L�amicizia di preti e di giovani cattolici che si sono impegnati con me, mi sostengono. Mi ripetono quanto io più volte avevo loro suggerito con le parole di Cardijn, fondatore della JOC: "Fiorisci dove il Signore ti ha piantato". Dal Cottolengo, alla periferia, alla fabbrica. La spiritualità di Charles de Foucauld, delle Piccole sorelle di Gesù mi induce a fare una nuova scelta di vita. Resterò in qualche modo ai margini dell�istituzione, ma cercherò di essere vicino ai deboli e ai poveri.

La Chiesa è sempre stata, ha sempre inteso voler essere a servizio, "per" i poveri; spesso è stata anche al loro fianco, "con loro". Forse si può fare un passo in più: per loro, ma anche "come loro". Ed ecco la scelta operaia. I preti-operai erano già presenti da tempo in Francia, in Belgio. Vi scoprii figure meravigliose. In Italia uno o due avevano incominciato a lavorare nella discrezione. A Torino arriva un vescovo-padre, amico dei poveri. P. Pellegrino accetta di fare con alcuni amici un piano di pastorale particolare: la missione operaia. Lui, uomo di scuola, ha scoperto i poveri di Torino tra gli immigrati del Sud, sfruttati nelle grandi aziende e guardati con sospetto da molti.

Con lui vi è a Torino una stagione nuova. È un vescovo che viene nella mia soffitta a incontrarsi con i miei compagni comunisti. È un vescovo che va alla Tenda rossa a sostegno dei metalmeccanici. È il vescovo di Camminare insieme, la lettera pastorale che anche il sindaco comunista di Torino, Diego Novelli, porta in discussione nelle sezioni del partito comunista (PCI). Nascono i preti operai, le suore operaie. Chierici, alla vigilia dell�ordinazione, vanno a fare gli operai per due, tre anni per prepararsi a essere preti di un popolo che essi devono conoscere con la loro condivisione di casa, di lavoro, di militanza operaia. Cominciano anche per me i venti anni di metalmeccanico, di commissione interna, di consiglio di fabbrica (350 operai), di partecipazione alla militanza sindacale a Torino, di presenza nelle lotte operaie di quegli anni, dal 1967 al 1986.

Con Pellegrino cala la paura della Chiesa per la sinistra e molti uomini e donne di quell�area cominciano a guardare alla Chiesa in una maniera diversa. Al vescovo che verrà dopo Pellegrino, che mi chiese quanti operai avevo convertito, dovetti rispondere forse nessuno, ma che non ero andato in fabbrica per convertire ma per condividere, capire, voler bene a quella fetta di umanità che è ancora l�anello debole delle nostre società capitalistiche. Credo che per molti di loro la sfiducia totale nella Chiesa sia venuta meno. Se ci sono giovani cattolici così, preti così, vescovi così, la Chiesa non è tutta da buttare. È poco come "produzione" di un prete operaio? È tutto quello che noi preti operai abbiamo saputo o potuto dare.

Nella Chiesa quella paura si è un po� incrinata, nel mondo operaio quella sfiducia è un po� diminuita, ma soprattutto noi abbiamo avuto la gioia di vivere una vita che abbiamo sentito più vicina al Vangelo e spesso ci è parso che Gesù Cristo varcasse con noi quei cancelli, fosse con noi per le strade nelle manifestazioni, ci sostenesse nella lotta per la giustizia. Abbiamo certamente fatto degli errori sui quali oggi mi viene quasi da sorridere. La nostra vita è stata bella".

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