Perché la questione degli abusi e delle violenze (in primis su minori) nella Chiesa costituisce una sfida per la teologia? Perché, soprattutto in ambito tedesco, si parla di esse come di un «complesso sistemico»? Che relazione c’è tra la crisi innescata dalla pedofilia e la liturgia? Gli studi che sono stati effettuati prima negli USA e soprattutto in Germania hanno messo in luce il fatto che la pedofilia nella Chiesa è resa possibile grazie a un complesso insieme di fattori – «il modo di gestire il potere, la maniera di comprendere la sessualità, le forme di vita sacerdotale» – agiti dai singoli soggetti colpevoli. Per questo fine è stato avviato il Cammino sinodale tedesco e per questo motivo lo studio che qui presentiamo analizza «le dinamiche specifiche del potere sacralizzato». E lo fa puntando all’ambito liturgico, perché qui si rende particolarmente visibile il «potere» vissuto nella Chiesa, i suoi codici, le sue pratiche, le sue logiche, la sua estetica. Il rischio maggiore, quello dell’«autoreferenzialità», è quello di diventare come un corpo con «una grande testa» ma quasi privo di membra, cioè una liturgia clericale priva della teologia battesimale che dà forma alla comunità che celebra.
A leggere il bel documento della Commissione teologica internazionale su La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (Regno-doc. 11,2018,329; Regno-att. 12, 2018,334), si ha la rassicurante impressione che tutto sia teologicamente ben documentato e argomentato, pronto per essere accolto e attuato nella prassi pastorale delle Chiese. Ma, a una osservazione più attenta, sembra che dopo un fuoco iniziale, tutto vada a spegnersi, a esaurirsi perché ogni volta è come se lo scritto non avesse risorse adeguate per incidere e durare.
Lo scorso 9 novembre, nello scenario suggestivo della cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore, si è aperto il V Convegno nazionale della Chiesa italiana collocato, come i precedenti, a metà del cammino del decennio (2010-2020, guidato dagli Orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo). Pubblichiamo il saluto del card. Betori, arcivescovo di Firenze, che era la città ospitante l’evento dedicato all’umanesimo cristiano («In Gesù Cristo il nuovo umanesimo»), e la prolusione di mons. Nosiglia, arci-vescovo di Torino, presidente del Comitato organizzatore del Convegno. «Lo stile sinodale – vissuto sia a livello di Comitato preparatorio sia nel cammino delle Chiese locali – deve accompagnare il lavoro di questi giorni e sarebbe già un grande risultato se da Firenze la sinodalità divenisse lo stile di ogni comunità ecclesiale», auspicava Nosiglia, ponendo l’attenzione sull’importanza del metodo, il primo e forse il più atteso dei risultati a cui ambiva il Convegno fiorentino. «Firenze, la città che ci ospita, ci offre il contesto propizio per respirare una cura dell’umano scaturito dalla fede, che si è espressa particolarmente con il linguaggio della bellezza, della creazione artistica, della cultura e della carità, senza soluzione di continuità».
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