Indifferentemente dal colore politico del partito che ha ricevuto più voti in ciascuna di tali elezioni, i rispettivi leader hanno sempre rivendicato per sé di essere «nuovi» rispetto al ceto politico tradizionale. Una novità reale, nel caso del Movimento 5 Stelle nel 2013. Parziale, nel caso di Renzi alle europee del 2014 e di Salvini nel 2018 e nel 2019, più legata al messaggio politico che alla loro personalità, essendo tutti leader di partiti in campo da tempo. Alle scorse elezioni è stata Giorgia Meloni a presentarsi con questa stessa novità, perché coerentemente all’opposizione di tutti i governi dal 2013 a oggi, nonostante fossero lei stessa e i suoi uomini (si pensi a La Russa) tutti politici di lunga data.
Sono trascorsi dieci anni dalla morte del cardinale Carlo Maria Martini, avvenuta all’Aloisianum di Gallarate il 31 agosto 2012. Alla fine del 1979 l’illustre gesuita – docente di critica testuale, rettore del Pontificio istituto biblico, poi dell’Università gregoriana – si vide obbligato da papa Giovanni Paolo II ad abbandonare la ricerca scientifica, così da mettersi a servizio da vescovo all’annuncio della parola di Dio; dunque, in una forma del tutto inedita per lui che fino ad allora aveva indossato i panni dell’esegeta e del teologo.
È utile valutare i risultati delle elezioni presidenziali francesi del 10 e del 24 aprile scorso e le successive legislative del 13 e 19 giugno alla luce della storia elettorale nella quale s’iscrivono. Lo farò osservando tre loro aspetti: l’andamento della partecipazione elettorale dal 2002 in poi; alcuni dati relativi al profilo sociologico e ideologico dei tre maggiori elettorati nelle due ultime tornate e le dimensioni della vittoria di Macron.
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