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Il Regno delle Donne

10 dicembre 1948-2018 / Diritti umani: per le donne, un obiettivo e una responsabilità

A 70 anni dalla proclamazione della Dichiarazione universale appare sempre più evidente che i diritti non sono universali se non si concretizzano in tutti i luoghi del quotidiano; è quindi a partire dal quotidiano, soprattutto oggi, che bisogna insegnarli e difenderli.

Eleaonor Roosevelt scriveva, nel 1958, che i diritti universali iniziano «in piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti. In assenza di interventi organizzati di cittadini per sostenere chi è vicino alla loro casa, guarderemo invano al progresso nel mondo più vasto. Quindi noi crediamo che il destino dei diritti umani è nelle mani di tutti i cittadini (e cittadine, ndr) in tutte le nostre comunità».

Diritti da difendere e… da insegnare

Quanto spesso dimentichiamo questa grande verità: quei diritti che chiamiamo “universali” sono innanzitutto “individuali”, ci riguardano in prima persona, nei luoghi in cui stiamo. Ci appartengono, ci definiscono facenti parte di una categoria più grande, l’essere umano. Ed è per questo che siamo chiamati noi, tutte e tutti, a esserne primi difensori in quei piccoli posti che sono le nostre case e scuole, i luoghi di lavoro e i quartieri. Luoghi in cui esprimiamo quotidianamente chi siamo, dimenticando che quella espressione è politica; e della politica dovrebbe essere la parte più nobile. Perché è dall’unione di tutti quegli “io” che si determina l’identità di una comunità, di un popolo.

Ma per essere riconosciuti e difesi, questi diritti, devono essere innanzitutto insegnati. Perché si abbia coscienza e conoscenza che quel che ci spetta, a tutti e tutte, sin dall’infanzia, non è un privilegio, ma un qualcosa che nasce da un comune principio di eguaglianza che va difeso.

Questo insegnamento, che passa inizialmente, come ogni cosa che doniamo durante l’infanzia, attraverso l’oralità e l’esempio, richiama a una responsabilità primaria noi donne, che spesso di questi diritti siamo prive proprio a partire da quei piccoli contesti in cui abitiamo. Le case, dove si registra il maggior numero dei 106 femminicidi avvenuti finora quest’anno (viene uccisa una donna ogni 72 ore), dove la divisione dei ruoli continua a essere iniqua e la cura nostro esclusivo appannaggio.

I luoghi di lavoro, dove continuano diseguaglianze, discriminazioni e molestie: per il gender gap retributivo, noi, dal 3 di novembre, è come se lavorassimo gratis rispetto ai colleghi; e sono quasi 9 milioni le donne, tra i 15-60 anni, che nel nostro paese hanno subito molestie sul luogo di lavoro.

Le strade, dove ancora oggi la violenza è qualcosa che ha a che fare con il nostro modo di vestire, da qui i processi in cui continuiamo a essere oggetto di dibattito e non soggetto. Le chiese, dove vige ancora un impedimento di genere che disconosce un protagonismo femminile antico che camminava accanto al Cristo.

Dalla consapevolezza delle differenze al ritorno della responsabilità civile

Noi, che spesso ci troviamo a insegnare le prime piccole grandi parole ai nostri figli e figlie, a spiegare cosa è giusto e sbagliato, i diritti e i doveri, il rispetto delle regole, purtroppo spesso siamo le prime a non aver acquisito la consapevolezza di quanto la differenza si segni in quel piccolo contesto. Noi – che sentiamo l’esigenza di contribuire a generare un mondo differente, che abbia un passo diverso, di chi accompagna e cammina accanto – dobbiamo declinare parole inclusive di un genere che non viene ancora declinato, il nostro, a partire dalle nostre case e scuole; pretendere e difendere ruoli paritari, essere il primo esempio concreto di un’eguaglianza quotidiana.

Dobbiamo essere coscienti che l’individualità di quel diritto universale ci appartiene, facendo risuonare, ancora e ancora, il monito di Eleaonor Roosevelt.

Ecco perché si deve partire dal piccolo per abbracciare il grande, soprattutto in questo triste anniversario dei 70 anni della Dichiarazione dei diritti umani, che vede i diritti restringersi, diventare privilegio di un numero sempre più esiguo di persone. Ma è proprio quando i diritti vanno in sottrazione, quando, cambiando natura, vestono l’abito delle concessioni o della carità, e chi li difende viene tacciato di buonismo, perché la solidarietà viene criminalizzata o peggio si trasforma in invidia sociale, che occorre riavvolgere il nastro della storia.

Tornare alle parole e al significato di quella Dichiarazione che, proclamando universali i diritti, ha tagliato in due il corso storico dell’umanità, vuol dire riappropriarsi del grande ideale dell’uguaglianza e di una responsabilità civile che sembriamo aver smarrito.

 

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