Un Manifesto che fa confusione
Non c’è dubbio che il «Manifesto di fede» pubblicato dal card. Gerhard Müller contiene molte dichiarazioni di fede, che ogni cattolico retto può approvare con tutto il cuore. Alcune delle affermazioni saranno anche condivise cordialmente da molti cristiani protestanti. È bene ricordare queste verità fondamentali, in modo che nei dibattiti attuali apparentemente più importanti non si perdano. E fin qui, tutto bene.
Non va bene, tuttavia, che alcune verità siano esposte con un rilievo tale, che l’altra metà è nascosta. Solo un esempio: è indubbiamente vero che la confessione di Dio uno e trino significa una differenza fondamentale nel credere in Dio e nell’immagine dell’uomo rispetto ad altre religioni. Ma non ci sono somiglianze nella fede nell’unico Dio, specialmente con gli ebrei e i musulmani? E queste somiglianze non sono oggi fondamentali per la pace nel mondo e nella società? La verità dimezzata non è la verità cattolica!
In altri luoghi ci sono affermazioni generali che così non possono stare in piedi, come quando si dice che la coscienza dei fedeli non è adeguatamente formata. Questa frase in tale forma generica è offensiva per molti credenti. E cosa diranno molti, pensando ai preti accusati di violenza? La loro coscienza è adeguatamente formata? Che cosa devono provare le vittime degli abusi sentendo una frase espressa in modo indifferenziato come «il sacerdote continua l’opera di salvezza sulla terra»? Ma è la giusta distinzione a fare il teologo!
In altri passi non si tratta di un manifesto di fede, ma di un manifesto di convinzioni teologiche private che non può essere universalmente vincolante. Anche in questo caso solo un esempio: sull’affermazione che i divorziati risposati civilmente e cristiani non cattolici non possono ricevere l’eucaristia fruttuosamente, il Manifesto invoca il n. 1457 del Catechismo della Chiesa cattolica.
Ho controllato due volte e non ho trovato quella frase. Non conosco altre dichiarazioni dogmaticamente vincolanti in cui la frase si trovi in questa forma. Per inciso, il Manifesto parla di divorziati risposati, il cui primo matrimonio è ancora valido «davanti a Dio». Quindi evidentemente assume che ve ne siano anche, il cui primo matrimonio non sia valido davanti a Dio. Chi può decidere questo, e che si fa in tal caso?
Anche per la disciplina ecclesiastica del celibato c’è un appello al Catechismo, n. 1579. Ma purtroppo impreciso. C’è la parola «normalmente», che nel Manifesto è soppressa. Ci sono infatti nella Chiesa cattolica sacerdoti che sono sposati: nelle Chiese orientali in comunione con Roma, ex protestanti o – come disposto recentemente da papa Benedetto XVI – pastori che erano in precedenza anglicani. Anche se personalmente sono convinto che si debba ripensare di nuovo e più profondamente il significato del celibato scelto liberamente, almeno la discussione sui viri probati non può essere proibita.
Sono rimasto totalmente inorridito poi quando ho letto dell’«inganno dell’Anticristo», verso la fine del Manifesto. È una reminiscenza quasi letterale dell’argomentazione di Martin Lutero. Anche Lutero ha giustamente criticato molto nella Chiesa. Ma l’accusa dell’Anticristo era – come riconoscono oggi pure i nostri partner del dialogo luterani – anche allora inappropriata. Dietro al Manifesto c’è dunque un Lutero redivivo? Uno che difende giustamente le riforme nella Chiesa, ma le vuole attuare oltre il papa e contro di lui? Non voglio crederci, perché ciò potrebbe solo portare a confusione e divisione. Questo scardinerebbe la Chiesa cattolica.
* La dichiarazione del card. Walter Kasper, già presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, è stata pubblicata il 10 febbraio dal portale tedesco katholisch.de. La traduzione dal tedesco è nostra.