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l'Ospite

Gandhi, la politica e il fattore spirituale

A 150 anni dalla nascita di Gandhi, che posto ha la realtà spirituale in politica?

In questa nostra epoca segnata dal cambiamento, l’utopia «transumanistica» e la crisi dell’equilibrio ecologico sono i due sintomi più significativi dell’attuale mutazione dell’umano, di cui si cerca un senso (Christoph Theobald).

Gandhi (a 150 anni dalla nascita) con l’attuazione della sua rivoluzione non-violenta è un modello della nuova visione di cui c’è bisogno nell’epoca post-moderna. In Gandhi emerge come si possa risvegliare in un intero popolo la speranza di un atteggiamento nuovo, «inaudito». Cioè come lo spirito divenga una realtà politica.

Tale speranza incoraggia a porsi in modo nuovo la domanda decisiva sul futuro del politico, pur in tutta la sua dura concretezza: impareremo a calcolare in modo del tutto spassionato, a valutare senza illusioni i rapporti economici, demografici, militari, riconoscendo però al tempo stesso che lo spirito è realtà?

Capiremo che un’idea viva è reale ed efficace almeno quanto un colpo di granata? Impareremo a vedere l’importanza sul piano politico, sul piano della Realpolitik, della realtà spirituale? Della verità? Della giustizia? Della condotta morale? Del carattere e dei sentimenti nobili? Non solo come un lusso che ci si concede dopo, non come una decorazione della realtà propria della politica, ma come un fattore essenziale, decisivo, nel calcolo politico complessivo? Non come un abbandono ideologico della realtà sicura, che mette a rischio il calcolo, ma come parte importante di questo stesso calcolo?

Questa è l’unica politica che in futuro potrà operare. E non perché il mondo debba divenire migliore e acquisire più morale. A poco a poco la terra viene interamente dominata e calcolata. Il numero degli abitanti diventa sempre più grande, la tecnica bellica sempre più distruttiva, la vita economica di ogni popolo sempre più complicata e sempre più profondamente intrecciata con quella di ogni altro popolo.

La vita spirituale dell’uomo moderno è sempre più minacciata sotto molti aspetti. E da tutto ciò si sviluppa una situazione così complicata, esigente, gravida di sventure, che i metodi della politica, che fino a oggi si definisce realistica, ci appaiono necessariamente come metodi primitivi, altrettanto primitivi della pedagogia del «bastone» di vecchio stile rispetto a un’umanità differenziata.

Questo nuovo fattore politico che entra in campo nell’epoca post-moderna è il fattore spirituale. Qui si trova il nocciolo della questione, cui sono collegate una serie di implicazioni: la necessaria capacità di vigilanza, giudizio, sacrificio, disciplina che deve dimostrare un popolo, che sia abituato a considerare l’anima più reale del corpo.

Queste infatti erano le precondizioni che hanno preparato il campo in India per l’azione rivoluzionaria di Gandhi e la messa in pratica di un’altra sorta di agire e di storia: forse proprio gli indiani sono chiamati a insegnarcelo.  

La politica è una politica laica e propriamente umana, dell’amministrazione del mondo e dell’azione creativa, genuinamente politica e cristianamente ispirata, orientata verso il trascendente.

Servendo il Dio invisibile, e dunque contro ogni tentativo di sacralizzazione pagana del potere politico, l’uomo mette in moto la storia nel segno della propria autentica libertà, cioè della propria vera essenza.

Ritorna così in questa luce l’intero quadro normativo per l’esistenza politica: la tensione fra singola persona e stato (tensione di auto-appartenenza e autorità) mantenuta integra e vitale nell’autentica libertà dell’uomo, che si manifesta nel suo agire politico a partire dalla propria interiorità e in direzione della trascendenza. «Teonomia del mondo e dello stato da un lato e autonomia della libertà umana e politica dall’altro non sono contrastanti, ma vanno insieme» (W. Kasper).

Commenti

  • 20/01/2020 Adele Savoia

    Le mie considerazioni sul tema in oggetto concernono il mondo occidentale. Il problema della perdita di “umanità” degli uomini di oggi va affrontato non soltanto dal punto di vista religioso, in senso lato, ma anche dal punto di vista “laico”.

    Il senso dell’umano, infatti, non viene riconosciuto soltanto dalle religioni ma anche da correnti filosofiche laiche, che hanno trovato riconoscimento (anche politico), nelle Costituzioni moderne. La questione va affrontata considerando l’uomo come “persona”, superando la visione meramente “biologica” dell’uomo.

    Non necessariamente l’uomo razionale può definirsi “persona” nel senso che questa parola ha acquisito nel linguaggio filosofico, secondo cui persona è l’individuo che agisce in modo autocosciente, conscio della responsabilità delle proprie azioni nei confronti della comunità in cui vive, il che comporta che l’individuo non vive di puro istinto ma, in virtù della sua appartenenza a una comunità (non ristretta al “proprio” universo) e per propria libera scelta, “accetta” di rinunciare a parte dei suoi interessi individuali legati ai puri istinti di sopravvivenza.

    Il concetto di persona, nel senso suddetto, è frutto di un’evoluzione in campo filosofico che ha avuto un suo sviluppo soprattutto a seguito dell’affermarsi del pensiero cristiano, che ha parlato di “persona” a proposito della Santissima Trinità, conferendo a tale termine una dignità nuova.

    L’uomo che si considera parte di un gruppo (concetto che può arrivare fino all’umanità tutta), vede l’altro come persona avente una dignità pari alla sua, persino - a volte - “uguale” a se stesso, il che induce al rispetto dell’altro e al riconoscimento del ruolo fondamentale nella società di ciascuna persona, che porta il suo contributo al benessere e progresso di tutto il gruppo.

    Questo concetto di persona va messo in contrapposizione con quello di individuo, che anche se vive in un gruppo, mantiene il suo “individualismo” dove l’IO prende il posto del NOI. Questa involuzione etica degli uomini di oggi è stata posta in relazione alla tesi che l’insegnamento di K. Woityla/Giovanni Paolo II sull’uomo trova nel "principio personalista" la sua chiave di volta (cf. Comitato “Cardinale Carlo Caffarra” 2001 - Individuo o persona?).

    L’individualismo porta l’uomo a pensare a se stesso come centro dell’universo, e a quelli che vivono intorno a lui come mezzi per raggiungere i suoi fini, non come persone con cui condividere un progetto. A volte vi è un falso concetto di solidarietà tra soggetti di un gruppo ristretto, perché a unire questi soggetti non è un legame comune tra persone ma l’utilità del singolo, che trova eco negli interessi dei singoli individui mossi da eguale egocentrismo.

    La malattia del nostro tempo è proprio questo individualismo, determinato da fattori diversi. Innanzitutto il superamento di due “credi” del passato, in teoria considerati opposti tra loro, che si concretizza da un lato con la marginalizzazione della religione, in particolare quella cristiana, che è diventata una prerogativa di pochi, chiusi in un ambito definito, dall’altro con il superamento e la condanna delle teorie “socialiste”, che pur se considerate materialiste tendevano a vedere i componenti il popolo tutti di pari dignità.

    Oggi prevalgono le teorie dell’affermazione personale, della vittoria dei più bravi, più forti, più belli, senza spazio per quelli che non rispondono a questi canoni. Anche le situazioni di crisi economiche e carenza di lavoro portano gli individui a pensare solo a sopravvivere, senza spazio per gli altri.

    Un altro fattore è il progresso tecnologico, che ha reso l’individuo sempre più autonomo e solo, perché - anche se apparentemente le sue relazioni “virtuali” sono potenzialmente infinite - hanno limitato i suoi rapporti interpersonali fisici che portano a “vedere” il prorprio interlocutore, cioè a guardarlo con consapevolezza di una persona degna della mia attenzione.

    L’acquisita incapacità di vedere nell’altro una “persona come me”, determina un'insensibilità, un fastidio riguardo alle difficoltà e alle sofferenze degli altri visti come ostacolo al proprio successo o come pesi inutili della propria vita. Il fine esclusivo è la realizzazione di se stesso, a qualsiasi prezzo.

    Anche la rincorsa del successo a ogni costo ci porta a vivere a una velocità tale che non c’è spazio per quelli che intralciano il nostro percorso. (In tal senso vedi le considerazioni di Alberto Frigerio: “Il superuomo o l’uomo nuovo? Ecologia dell’umano” - https://www.tempi.it - in cui la visione attuale dell’uomo/individuo viene messa in relazione al concetto di superuomo di Nietzsche e alla visione futurista, che “ci offrono una mirabile immagine, è la concezione di libertà, intesa come auto-determinazione assoluta, sganciata da ogni forma di alterità – natura, altri, Dio”).

    D’altra parte anche le persone che credono in principi di fratellanza, presi dalle necessità della vita quotidiana, trovano difficilmente tempo per i fratelli meno fortunati, e inoltre di fronte a tante situazioni disperate del mondo, per una sorta di autodifesa, si tende a voltare lo sguardo, autoassolvendosi con il pretesto che non abbiamo tempo e occasione di intervenire.

    Questo modo di vedere ci porta a isolarci, rinchiusi nel nostro piccolo mondo che esclude chiunque non appartenga ai “nostri”. Per poter sopravvivere conservando la nostra identità umana, dobbiamo recuperare una visione del mondo in cui le “persone” che ci sono intorno, tornino a far parte della nostra vita, assumendovi un ruolo fondamentale perché con una dignità pari alla mia (vedi in tal senso E. Mounier: Il personalismo, AVE Editrice).

    Per un altro verso, la necessità di sentirsi parte dell’umanità è stata sottolineata anche da Eric Fromm (L’arte di amare).

    Se tutto questo è vero, è necessario che “gli uomini di buona volontà” si adoperino per far fronte alla deriva in cui versa oggi l’umanità. Occorre impegnarsi subito a vari livelli, sia politico (laico) che religioso (non solo il mondo cattolico), non ci si può limitare a denunciare ma bisogna agire nel concreto. Questo coinvolge direttamente ogni singolo cattolico, non soltanto coloro che vestono l’abito talare; in quanto cattolici abbiamo una responsabilità nei confronti dei fratelli tutti (cattolici o no) e del mondo che Dio ci ha affidato.

    La nostra responsabilità deriva dai doni della Grazia e dalla Fede che nostro Padre ci ha dato. Non possiamo ritenere questi doni nostra esclusiva “proprietà” ma dobbiamo condividerli, fali conoscere ai nostri fratelli, più che con le parole con la nostra vita. Dobbiamo uscire dai nostri piccoli mondi e andare tra i fratelli, soprattutto quelli che ci sembrano più immeritevoioli della nostra attenzione, perché egoisti, individualisti e falsamente convinti di essere i padroni del mondo. Sono proprio questi fratelli che hanno bisogno di cambiare prospettiva, di capire che il loro modo di agire sta sprofondando il nostro mondo nella barbarie.

    In quest’ottica mi sembra che le considerazioni di p. Bruno Marra  traccino la strada giusta, peraltro già percorsa con successo da Gandhi; la spiritualità a cui fa riferimento è quella che appartiene, consapevolmente o no, a ogni uomo ed è ciò che induce a guardare l’altro come persona, quindi va riscoperta e deve diventare l’elemento unificante dell’umanità necessario per la ricerca del bene comune che è lo scopo stesso dell’esistere… è la percezione che l’ALTRO (Dio, uomo, mondo) non è un oggetto, un chiunque senza volto, un elemento individuale indistinto, un concorrente o rivale, ma è presenza, il tu della com-presenza, della com-unione. Questo è il terreno su cui si gioca la trasfigurazione da INDIVIDUO a PERSONA (Prof. Gianni Fusco – Università LUMSA).

    Solo rifiutando la violenza, distruggendo i muri (reali o virtuali) che ci separano e perseguendo il bene comune di tutti gli uomini, sarà possibile ricostruire un mondo in cui valga la pena di vivere che, per noi cattolici, è la missione che Gesù ci affidato quando ci ha ritenuto degni del suo Amore.

  • 17/01/2020 Valeria

    In questi primi giorni dell'anno è tornata prepotentemente d'attualità la riflessione di padre Marra su realtà spirituale e realtà politica. Lo scontro tra Usa e Iran sembra più richiamarsi all'antico detto "si vis pacem, para bellum".

    Eppure, proprio i terribili, angoscianti avvenimenti degli ultimi giorni ci ricordano che, se è difficile realizzare nella quotidianità l'attuazione della realtà spirituale nella realtà politica, non considerare la visione ideale dei rapporti internazionali significa togliere valore alla stessa realtà politica. Occorre ricordare che la politica statunitense non si è sempre mossa sul binario della Realpolitik, ma fin dalle origini ha percorso insieme i due canali della ragion di stato e della libertà umana e politica.

    I due aspetti sono stati sempre ben presenti nella visione politica statunitense, che ha avuto sempre i suoi momenti migliori quando è riuscita a conciliare il pragmatismo della cosiddetta dottrina Monroe, ovvero l'ingerenza degli Usa nella politica interna di tutto il continente americano, e l'idealismo dei Quattordici punti di Wilson, che alla politica delle grandi potenze opponeva la libertà dei popoli

    Così è avvenuto durante la seconda guerra mondiale, in cui gli Usa da un lato hanno difeso i loro interessi economici, dall'altro hanno garantito le libertà del mondo occidentale. Così è stato considerato Kennedy, che ha affermato i principi delle libertà individuali, pur mantenendo la visione statica di un mondo diviso in due.

    Così non è ora con Trump, che non riesce a farsi espressione di una visione del mondo che vada oltre il giardino degli Usa, affermando un'idea di sceriffo del mondo, più che di alfiere delle libertà degli individui e dei popoli. In questo senso è chiara l'assenza di una visione ecologica nella politica statunitense, che considera nemica ogni realtà non in linea con il proprio pensiero autoreferenziale.

    Solo nel momento in cui la visione politica statunitense supererà questo blocco autoreferenziale della visione del proprio giardino sarà possibile che vi sia un ritorno ai valori idealistici, sempre presente in una parte della propria storia e, perché no, un primo decisivo interrogarsi sulla questione ecologica, rifiutata finora in gran parte.

  • 13/01/2020 Giulia Rosa

    Ferma restando la qualità delle opinioni espresse, bisogna approfondire l’argomento partendo dalla considerazione che nessun uomo vive appieno la propria esistenza fino ai momenti più amari.

    Ognuno, dal peccato originale in poi, resta un tratto indietro rispetto al compito umano, vive nel compromesso rispetto alla «confessione» della verità del proprio essere e all’operare del proprio divenire umano.

    Mai raggiungiamo interamene l’immagine della nostra povera natura; in noi si apre una fenditura fra idea ed esistenza, tra quello nella cui direzione è abbozzata la nostra vita e quello secondo cui effettivamente viviamo. In noi resta sempre un’apparenza che inganna, una promessa che non si compie; «un’opera frammentaria» e un «enigma» per grazia occultato a se stesso (1Cor 13,9-12), estraneo al proprio «io», mai del tutto unito e familiare con la profondità del nostro essere: si tratta di un rifiuto congenito della propria umanità.

    E questo libero rifiuto di sé è la radice di ogni colpa umana, e la tentazione di quel rifiuto è tutta la tentazione dell’uomo. In conclusione una pienezza di senso dell’umano non si raggiunge mai. Vale la pena ricordare quanto sostiene ERACLITO: «Le opinioni umane sono soltanto giochi di fanciulli» (Frammento 70).

  • 13/01/2020 Matteo Prodi

    Articolo affascinante: il come si costruisce un popolo è davvero la domanda di oggi, cui la politica deve saper rispondere. Gandhi insegna una strda. Speriamo che qualcuno la rintracci.

  • 13/01/2020 Enzo Granese

    Una fede coraggiosa e adulta deve avere la capacità di affrontare e assumere la complessità del tempo presente. In questa complessità il credente è chiamato a relazionarsi anche con l’istituzione politica, non per cristianizzarla ma perché essa sia se stessa, cioè svolga il ruolo per il quale è stata concepita.

    Il credente ha il compito di umanizzare le istituzioni promuovendo il Regno di Dio nella storia in quanto valore autenticamente umano che conduce a Cristo. La politica non ha come fine soltanto realizzare una convivenza ordinata e pacifica, ma parimenti compiere la ricerca del rendere onore a Dio e orientare l’uomo alla vita eterna. Il vivere bene implica l’adesione ai valori evangelici e comporta la partecipazione dei cittadini alla gestione della vita pubblica.

    La politica è una delle attività più significative, perché influisce in modo decisivo sull’esistenza umana, interessando gli aspetti fondamentali della vita e dello stare insieme. L’azione evangelizzatrice ha un nesso inscindibile con la promozione umana. Infatti da essa scaturiscono orientamenti che possono contribuire in modo determinante al processo dello sviluppo umano. Pertanto il forte legame tra evangelizzazione e promozione umana si fonda su ragioni di ordine antropologico, teologico ed evangelico: «Di ordine antropologico, perché l’uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma è condizionato dalle questioni sociali ed economiche. Di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della redenzione, che arriva fino alle situazioni molto concrete dell’ingiustizia da combattere e della giustizia da restaurare. Di ordine eminentemente evangelico, qual è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo, senza promuovere nella giustizia e nella pace vera l’autentica crescita dell’uomo?» (PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, n. 31).

    L’annuncio evangelico certamente è destinato a ispirare i comportamenti personali e sociali di chi l’accoglie in piena libertà. Sicuramente il discorso cristiano non è senza ricaduta sul piano dell’agire politico, ma non si può parlare di ingerenza. Quest’ultima si verificherebbe se si intervenisse direttamente in questioni di politica. Tuttavia, pur se non si interviene in modo diretto, non si può essere affatto indifferente verso le scelte politiche.

    E’ dovere del cristiano giudicare se queste vengono fatte coerentemente con il Vangelo e l’insegnamento sociale cristiano. La Chiesa non partecipa alle lotte di potere, non si schiera con l’uno o l’altro partito, non preferisce un determinato assetto istituzionale a un altro, ma annuncia la salvezza, illuminando le soluzioni dei problemi dell’umanità alla luce della Parola di Dio. Essa non può restare neutrale di fronte ai gravi problemi della società, ma è tenuta a prendere una chiara posizione ogni qualvolta lo esigono la giustizia e la carità, per indicare in Cristo il senso ultimo delle vicende umane, per condannare violenze e soprusi, per incoraggiare le scelte più significative in favore dell’uomo, della sua dignità e libertà.

    Soprattutto, la Chiesa è chiamata a formare le coscienze dei fedeli laici, ai quali spetta il compito di testimoniare con la propria vita i valori d’ispirazione cristiana e di promuovere il rispetto integrale della persona. Eppure, nonostante tutta la buona volontà di non ingerirsi in ambiti altrui, si possono dare casi eccezionali di persone, gruppi e situazioni in cui può apparire opportuno o addirittura necessario svolgere una funzione di aiuto e di supplenza in rapporto alle istituzioni carenti e disorientate, per sostenere la causa della giustizia e della pace.

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