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Documenti, 3/2023, 01/02/2023, pag. 101

Con tutto il cuore

Gruppo di lavoro sinodale formato da sacerdoti che hanno un orientamento omosessuale

«Crediamo che una visione più limpida sull’orientamento sessuale, scientificamente fondata e spiritualmente in ascolto delle chiamate di Dio, possa portare maggiore serenità alla Chiesa; essa permetterebbe a tutti i suoi presbiteri e religiosi di stare a testa alta con tutti ed essere più pacificati e riconciliati, sinceri, perché meno gravati da pregiudizi e più liberi. Sarebbe un dono per tutti, omosessuali ed eterosessuali presenti nei presbiteri e nelle comunità religiose; sarebbero eliminate le falsità nei rapporti coi confratelli; crescerebbe per tutti la capacità di ascolto e la sensibilità».

Tra i contributi di gruppi sinodali che sono stati inviati alla Conferenza episcopale italiana e alla Segreteria del Sinodo dei vescovi nell’aprile 2022 c’è anche questo documento, intitolato Con tutto il cuore, che è il risultato della condivisione di una cinquantina di preti con orientamento omosessuale o bisessuale, che si sono incontrati tra febbraio e marzo 2022. Insieme ad altri testi è poi stato pubblicato in un fascicolo scaricabile dal sito Gionata.org.

I partecipanti al gruppo sinodale sono convinti che «di grande aiuto potrebbe essere un documento ufficiale sul tema, frutto di un serio lavoro sinodale come questo».

Stampa da file in nostro possesso.

Questo contributo al cammino sinodale è il frutto della condivisione di circa cinquanta sacerdoti – diocesani e religiosi – con orientamento omosessuale o bisessuale, riuniti in vari incontri tra febbraio e marzo 2022, in almeno sette piccoli gruppi o con un lavoro individuale.

Invitati dalla rete degli operatori pastorali con persone LGBT+, hanno accettato di mettersi in gioco per raccontare il loro vissuto, le loro difficoltà e le loro speranze; nella convinzione – con tutto il cuore – che la fedeltà del Signore alla loro vita e alla loro vocazione riempia di fecondità il loro ministero nella Chiesa.

Insieme hanno avuto il coraggio di guardare oltre il timore del pettegolezzo, della derisione o, peggio ancora, del giudizio e dell’esclusione – nella consapevolezza d’essere minoranza mal tollerata – perché alla Chiesa in cammino sinodale non manchi la loro voce. Ha detto uno di loro: «Il fine di questa lettera non è recriminare un diritto, ma il forte desiderio che da domani ogni anima che si avvicina, che entra in Chiesa possa sentirsi accolta da Dio stesso, dalla sua Parola, dal suo essere Amore; che non ci siano più persone che vanno via, che lasciano un cammino spirituale per paura di non essere accettate, di essere rifiutate». Ora saranno loro a parlare in prima persona.

Solitudini, ferite, silenzi
Solitudini

Del nostro orientamento omosessuale non possiamo parlare apertamente con i nostri familiari, gli amici e le amiche; tantomeno con altri preti o laici impegnati. La Chiesa non è un contesto dove trovare immediatamente accoglienza, soprattutto per noi. Ma grazie a Dio ci sono spesso eccezioni.

Il coming out con le persone giuste permette tanta libertà di espressione, pace con Dio e con sé stessi, senso di autenticità. Quando accade, si sperimenta rispetto e l’amicizia si intensifica. I mesi della pandemia sono stati anche un tempo di grazia: alcune iniziative on-line dei cristiani LGBT+ e dei loro genitori sono state l’occasione per conoscere anche altri presbiteri omosessuali, una vera boccata d’aria buona.

Anche quanti hanno conquistato serenità riferiscono della fatica della solitudine, il non aver confratelli con cui potersi incontrare e parlare; raccontano di come nella comunità e nel presbiterio si debba essere sempre attenti per evitare giudizi, emarginazione e sospetto. Nei servizi pastorali è sempre presente la preoccupazione di stare nascosti e di fare attenzione a tutto, sguardi e gesti. Pesa davvero tanto l’omofobia di certi preti e purtroppo anche di vescovi. Alla fine il silenzio appare come l’unica via di sopravvivenza. Si vive nella paura di dare scandalo anche solo per essere omosessuali. Per capire quanto pesi l’ambiente ecclesiale sul cammino spirituale e pastorale di un presbitero bastano le parole di un confratello: «Nel mio cammino spirituale sono caduto in una prostrazione profonda, che mi ha fatto sentire rinnegato da Dio». Ci si sente spiritualmente soli e ci si deve arrangiare nel cercare occasioni e percorsi che portino una certa guarigione delle ferite, a trovare pace con l’aiuto del Signore; dovendo spesso combattere un doppio stigma per la discriminazione anche da parte della «comunità omosessuale» per appartenere alla Chiesa cattolica.

«Se poi vai in crisi e chiedi un tempo di riflessione, puoi essere discriminato per il tuo orientamento. Vedi i preti eterosessuali sostenuti e incoraggiati, mentre noi omosessuali ci dobbiamo arrangiare». Molti presbiteri e religiosi sperimentano questa profonda solitudine; una sorta di condanna per ciò che si è. Si vive una dolorosa lacerazione tra come ci si scopre, creati da Dio, e cosa gli altri si aspettano invece da noi. Spesso si è costretti a rinnegare sé stessi in nome di una spiritualità ipocrita, dagli effetti devastanti. Abbiamo ascoltato storie di consacrati lacerati dai sensi di colpa fino a lasciare la vita presbiterale e, in alcuni casi, togliersi la vita: tentazione terribile, anche per qualcuno di noi.

Ferite

Una ferita profonda: la parola dura della Chiesa. Non parliamo solo delle prese di posizione dottrinali nei riguardi dell’omosessualità e delle persone che la vivono (che comunque ci feriscono «nella carne»); parliamo in particolare delle parole rivolte a noi, preti e religiosi omosessuali, per il solo fatto di esserlo. Quanto affermato nell’ultima Ratio (2016) per la formazione dei sacerdoti (cf. n. 199), attualmente in vigore, ripropone pregiudizialmente una prassi che da molti anni si ripete negli ambienti formativi senza alcuna giustificazione, non solo scientifica, ma ormai neanche più teologica o morale. La Ratio riprende l’istruzione della Congregazione per l’educazione cattolica del 2005 che, ignorando intenzionalmente il termine «orientamento sessuale», afferma che chi presenta «tendenze omosessuali profondamente radicate» non può essere ammesso al seminario e agli ordini sacri. La motivazione, che sembrerebbe fondata su dati psicosociali («le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne»), in realtà non ha e non può avere alcun fondamento se non quello di un superficiale pregiudizio, e le nostre storie ne sono la testimonianza.

Questo è tanto più evidente se notiamo che le persone con «tendenze omosessuali profondamente radicate» non possono essere ammesse nei seminari, secondo la Ratio, allo stesso modo di chi «pratica» l’omosessualità; come non può essere ammesso chi «pratica» l’eterosessualità, ma non per questo si afferma che anche gli eterosessuali, per il solo fatto di esserlo, non possano essere ammessi in seminario. Il pregiudizio su di noi è evidente.

Su questo pregiudizio si è fondata la formazione nei seminari e negli istituti religiosi riguardo le persone omosessuali. Per la stragrande maggioranza di noi il percorso seminaristico è stato difficile e vessatorio – una caccia alle streghe – senza tener conto della formazione integrale della persona. Piuttosto, la formazione sembrava pensata per persone asessuate. Si guardava alla sessualità quasi esclusivamente come pericolo e peccato. L’unica soluzione prospettata era la confessione immediata dei peccati sessuali e la repressione di amicizie e bisogni relazionali in genere. Qualcuno si è sentito dire che il suo orientamento omosessuale era segno di immaturità passeggera, che richiedeva ulteriori cammini, compreso il cambiamento del proprio orientamento innato attraverso terapie riparative. Queste modalità formative sono ancora attuate in vari seminari italiani.

Uno di noi commenta: «Non c’è bisogno di grandi ricerche sociologiche per rendersi conto che l’omosessualità è una realtà ampiamente presente nel clero, e che la Chiesa dovrebbe considerarla con maggiore onestà e verità. Negare il tema, o illudersi di risolverlo mettendo un “filtro” in seminario, non sta dando risultati visibili. Soprattutto, costringe le persone omosessuali a grandi tensioni personali, che non raramente si esprimono in rigidità (specialmente nei confronti delle persone LGBT+), doppie vite o crisi nella scelta di vita presbiterale».

Molti di noi, raccontando il proprio percorso personale, sottolineano il terribile ruolo giocato dall’omofobia interiorizzata, accompagnata e sostenuta da visioni negative di sé stessi, eccessive pretese di perfezionismi, sublimazioni, che non riescono a fare i conti con la propria umanità o severe, quanto inconcludenti, spiritualizzazioni. Proprio il rifiuto di sé, la non accoglienza dei limiti e la negazione del proprio orientamento sono stati per molti la difficoltà peggiore da superare; anzi, a volte questo ha portato a un’«omofobia di rimando» proprio nei confronti delle stesse persone LGBT+.

Preti gay omofobi, che scaricano all’esterno il conflitto che è in loro; non esprimono pace, ma vivono un ministero distonico soffocando il proprio essere con il clericalismo. Così lo stigma omofobico s’insinua nella nostra psiche, ci ferisce nel profondo, ci toglie la felicità, il benessere, la salute mentale, la pace interiore, la libertà, l’amore. Lentamente, in molti di noi s’insinuano una stanchezza e una perdita di forza nel ministero; un fuoco interiore, che brucia e consuma, perché non possiamo essere come vorremmo, tanto da pensare che sia bene intraprendere vie diverse dal ministero o dalla vita religiosa. Coloro che lasciano il sacerdozio e la vita consacrata a motivo del loro orientamento sessuale, sono dimenticati; di loro – semplicemente – non si parla più. Non vengono aiutati a cercare lavoro, a recuperare una stabilità sociale ed economica; certamente non in prossimità dei luoghi dove sono vissuti. L’omofobia è odio (violenza) che infetta le nostre famiglie, la società e la nostra Chiesa.

Silenzi

Esclusione, isolamento, silenzio… Silenzi che dentro scavano abissi di disperazione. È innegabile che esista anche la realtà di «festini» tra preti; l’anima perde valore: nello scambio di messaggi e nei contatti si va solo ai dettagli fisici. Queste situazioni ambigue forse sono dovute proprio al fatto che tutto deve essere taciuto. Dietro a queste storie ci sono solitudine e disperazione. Spesso negli ambienti clericali non ci si può aprire affettivamente e voler bene davvero, e questo porta a un «bisogno di amore» che si vive male. Ci si riduce a cercare solo «snack» per placare la «fame», senza rispondere veramente alle domande profonde sulla propria identità.

Il disordine nella vita di certi preti omosessuali può promuovere il giudizio negativo generalizzato nei confronti di tutti; eppure non si comprende che l’eterosessualità in quanto tale non è garanzia certa di vita sessuale ordinata nel celibato: i fatti lo dimostrano ampiamente. Essere presbitero o religioso omosessuale non equivale automaticamente all’esercizio disordinato della sessualità. Ci sembrano necessari, piuttosto, percorsi di maturazione alla vita affettiva e sessuale per i presbiteri e i religiosi tutti, indipendentemente dal loro orientamento. Chi a partire dalla propria eterosessualità, chi con la propria omosessualità, potranno essere sostenuti nell’integrare questo «tratto» della personalità nella propria vita ed esprimere col linguaggio della verginità per il Regno la propria sessualità. È tempo che la Chiesa si spenda con decisione perché al suo interno nessuno utilizzi più quegli equivoci che troppo spesso portano alla equivalenza: «omosessualità = vizio o depravazione», o peggio ancora «omosessualità = pedofilia».

Una testimonianza diretta riassume quanto detto finora: «Mi sento costretto al silenzio da me stesso e dalle risonanze che, dal pensiero della Chiesa e da tante esperienze e discorsi concreti, si riflettono su di me. Il cammino di accettazione e di integrazione è iniziato da poco e pesano le mie paure, le mie fatiche, le mie ferite, i silenzi: tutto questo si riversa sul mio cammino spirituale che va liberato dalle precomprensioni, dagli ostacoli, dai fraintendimenti, dalle colpevolizzazioni che ho interiorizzato da tanto tempo e che mi rendono fragile, contraddittorio e spesso turbato. Feriscono tutte le parole, i documenti e le posizioni che rendono colpevole di disordini gravi chi cerca di esprimere quello che è; soprattutto chi è nella Chiesa si sente sempre sbagliato nel dare spazio ai propri sentimenti e al proprio essere.

La principale grande difficoltà è stata quella di dissimulare sempre quello che io sentivo e provavo, inizialmente con me stesso – e questa è stata, forse, la più grande sofferenza – e poi, ma anche simultaneamente, con gli altri, con la famiglia, con la comunità; e questo ormai ha tracciato un volto di me decisamente sfuocato per gli altri, ma che, a ben guardare, non nasconde i tratti di una sofferenza intima profonda. La paura, il rigorismo, l’incapacità di vero ascolto rendono questa carità (dell’accoglienza) solo teorica e quindi mi verrebbe da dire che molti nella Chiesa non sono capaci di vera carità. L’ascolto vero di Dio e delle persone può lasciare a Dio la libertà della vocazione. Non è più sostenibile che il criterio per l’ammissione sia l’orientamento sessuale, ma piuttosto la buona e sana capacità di relazionarsi. La Chiesa non dovrebbe temere di conoscere veramente le persone con orientamento omosessuale».

Concludiamo con le parole di un nostro confratello religioso: «Se Dio mi ha chiamato conoscendomi nel profondo per quello che sono, non mi è lecito rinnegare me stesso. Lui trasfigura e io non posso falsificare. Quello che vorrei gridare dai tetti ai vescovi, ai superiori di comunità, ai formatori e ai rettori di seminario è proprio questo: aiutate i futuri consacrati e consacrate, o quanti sono già consacrati, a vivere nella sua verità, ma anche nella propria verità. Se chiederete loro di “nascondere” e di “nascondersi” questo non farà altro che creare “bipolarità” nella vocazione di queste anime. Se abbiamo accettato di dire il nostro fiat a Dio, noi per primi crediamo e vogliamo darci interamente a lui, alla Chiesa, ai fratelli e alle sorelle, ma nella verità…».

Il dono della vocazione e del servizio
La vocazione

Per superare stereotipi, pregiudizi e luoghi comuni è fondamentale incontrare le persone, ascoltare le loro storie e accogliere con umiltà le indicazioni delle scienze umane, senza arroccamenti ideologici.

Aprirci a più adeguate riletture teologiche: bibliche, morali e pastorali. Il Signore apre vie impensate, e la propria vita si fa profezia per altri: «Diventare prete a pensarci bene era una follia, anche per il fatto di essere omosessuale (e di aver sentito che le persone “con una tendenza omosessuale fortemente radicata” non vengono ammesse all’ordinazione presbiterale). Un profondo senso di inadeguatezza mi paralizzava: perché il Signore, al posto mio, non chiamava qualcuno di più capace, o quantomeno con le “carte in regola”? Sulla mia pelle ho scoperto che essere presbitero e omosessuale non è “impossibile a Dio”. (…) Desidero tutelare il mio vescovo e i formatori del seminario che hanno deciso di ordinarmi sapendo della mia omosessualità. Il desiderio di Dio che io entrassi in seminario mi sembrava talmente chiaro, che doveva diventare anche il mio».

Ecco la necessità di non rinnegare come il Signore ci ha creati e di ribadire ancora l’importanza del cammino di verità con noi stessi: accettare di essere omosessuali, guardarsi con simpatia come amati da Dio e detentori di una condizione che – se accolta e gestita – può diventare un dono per molti fratelli e sorelle LGBT+ e per le loro famiglie. Accettarsi e sentirsi amati e chiamati da Dio ha voluto dire per molti aprirsi a una nuova vita presbiterale e religiosa, con un amore e un desiderio di operare per il Vangelo mai sperimentati prima. Abbiamo condiviso tra noi che occorre avere «il coraggio di riconoscere che la Chiesa non costruisce la vocazione ma può solo riconoscerla, e assistere a questo miracolo tra Dio e l’uomo». È la bellezza della libertà di Dio che chiama al ministero e alla vita consacrata; in questo sperimentiamo sulla nostra pelle come tutto ciò non abbia nulla a che fare con l’orientamento sessuale. Davvero Dio chiama chi sceglie, come Gesù chiamò i Dodici dopo aver pregato sul monte (Mc3,13).

Con questa consapevolezza ci sembra di essere preti e religiosi migliori, non angosciati e non angoscianti, nonostante fatiche, contraddizioni, debolezze e peccati. Guardarci dentro ci permette di esorcizzare anche altri demoni, sempre in agguato nella vita clericale o religiosa: fariseismo, doppia vita, aspirazione al potere, al denaro, alle cariche, a un’esteriorità liturgica e spirituale. Tutti atteggiamenti racchiusi nella parola «clericalismo». Nessuno si sente arrivato; abbiamo bisogno di conversione, disciplina e serietà morale. Senza più paure e non più gravati da visioni tristi e auto-squalificanti di noi stessi, ci sentiamo in cammino e in crescita.

Il servizio

Consapevoli della nostra esperienza vogliamo con gioia metterla a disposizione della Chiesa in questo cammino sinodale. Abbiamo con tanta fatica conquistato la consapevolezza che essere omosessuali non è un vero ostacolo al ministero e al celibato, ma una ricchezza per il cammino di tutta la Chiesa, che potrà aprire altri canali della grazia di Dio, che la sta interpellando a intraprendere vie nuove. Le nostre comunità parrocchiali e religiose hanno acquistato persone più pacificate, positive e disponibili al servizio del Regno; apostoli meno esigenti, arrabbiati, duri dal punto di vista morale, capaci di comunicare la meraviglia della misericordia di Dio per tutti.

Nei nostri concreti vissuti di uomini omosessuali presbiteri e religiosi abbiamo imparato quanto ogni persona non dipenda esclusivamente dalla propria sessualità, ma da quello che è nel suo cammino di integrazione del proprio vero sé. Come tutti, tra limiti e contraddizioni sappiamo quanto possano essere vere quelle parole che qualcuno ha sentito risuonare nella propria ordinazione diaconale: «La certezza che il celibato sarà per te come una sorgente, dalla quale una più viva fecondità spirituale promanerà nella tua vita».

Indubbiamente vi sono differenze dovute al proprio orientamento sessuale che vanno viste nell’ottica della ricchezza e del completamento: un religioso o una religiosa omosessuali hanno una ricchezza affettiva da poter donare diversa da quella di un eterosessuale; queste diverse ricchezze non sono in antitesi, ma sono l’una arricchimento per l’altra. Infatti non notiamo conflitti, differenze pastorali e spirituali dovuti all’orientamento sessuale. Semmai diversità in senso positivo, doni molteplici di Dio che si integrano: la nostra esperienza di presbiteri e religiosi omosessuali ci ha portati a maturare sensibilità e creatività; è cresciuto il coraggio di intraprendere strade e percorsi pastorali nuovi, la capacità di ascolto profondo, la mancanza di pregiudizi; con meraviglia ci vediamo riconosciuta una sincerità visibile nella vita personale e nella pastorale; il cammino personale compiuto ha fatto crescere l’attenzione alle persone diverse (per abilità, etnia, colore della pelle ecc.) e specialmente alle persone LGBT+ riavvicinandole alla vita ecclesiale, o comunque a una vita più felice.

Lasciamo parlare uno di noi: «I momenti di difficoltà e sofferenza sono stati innumerevoli, arrivando a perdere il senso e il valore dell’esistenza stessa, ma è proprio in quei momenti che ho potuto, attraverso una rilettura successiva, considerare la presenza di un Dio che mi indicava una possibilità nuova, diversa. Anche se mai in una maniera esplicita, cioè senza mai toccare chiaramente i punti nevralgici della sofferenza che provavo, ho percepito un calore accogliente nella famiglia parrocchiale in cui ero inserito, e questo mi ha permesso di fare esperienza di Dio nella verità del suo volto. Figure sacerdotali mature, paterne e fraterne, sono diventate punti di riferimento di grande aiuto per il mio cammino di accettazione e maturità. Un grande aiuto nel trovare sicurezza ed equilibrio nel mio cammino è stato il dono di aver guidato una comunità parrocchiale in cui ho potuto offrire la mia disponibilità e creatività. Questo servizio mi ha aiutato a prendere consapevolezza della possibilità concreta di amare e di sentirmi appagato dell’amore ricevuto e donato, soprattutto riconoscendo la sofferenza nascosta dietro tante situazioni di non accettazione di sé ed emarginazione».

Camminando insieme s’apre il cammino

E allora, non una «conclusione», ma l’apertura a un cammino ulteriore di Chiesa, anche grazie al nostro contributo di sacerdoti, diocesani e religiosi, omosessuali. A partire dalla consapevolezza della chiamata che abbiamo ricevuto, siamo convinti che il dono della vocazione personale debba essere rispettato, offrendo a chi si pone la domanda vocazionale un discernimento sincero, in cui l’omosessualità non sia un tabù e l’orientamento sessuale non sia vincolante nel percorso di discernimento. Una maggiore serenità della Chiesa circa gli orientamenti sessuali avrebbe sicuramente il vantaggio di creare un contesto più adatto per rispondere alla chiamata in maniera libera e, di conseguenza, liberante anche per tutti coloro che si pongono in un cammino di crescita nella fede.

Immaginiamo una Chiesa diversa, più fedele all’uomo e a Dio, capace di riconoscere le meraviglie di Dio nei tanti giovani che manifestano evidenti segni di vocazione e soffrono per non poter accedere al ministero e alla vita consacrata. Come testimonia uno di noi: «Ho avuto una grazia che molti altri non hanno ricevuto. In questi anni ho incontrato tanti ragazzi allontanati dal semina-
rio solo per il fatto di essere omosessuali, senza considerare gli altri loro aspetti. Ovviamente, anche una persona omosessuale deve essere onesta nel lasciarsi conoscere e verificare durante la formazione, come tutti gli altri, accettando anche che la sua vocazione possa non essere riconosciu-
ta dalla Chiesa, come può avvenire per tutti gli altri. Però, non dovrebbero esistere strade sbarrate in partenza».

Crediamo che una visione più limpida sull’orientamento sessuale, scientificamente fondata e spiritualmente in ascolto delle chiamate di Dio, possa portare maggiore serenità alla Chiesa; essa permetterebbe a tutti i suoi presbiteri e religiosi di stare a testa alta con tutti ed essere più pacificati e riconciliati, sinceri, perché meno gravati da pregiudizi e più liberi. Sarebbe un dono per tutti, omosessuali ed eterosessuali presenti nei presbiteri e nelle comunità religiose; sarebbero eliminate le falsità nei rapporti coi confratelli; crescerebbe per tutti la capacità di ascolto e la sensibilità.

Questa libertà interiore e maggiore verità con sé e con gli altri aiuterebbe a evitare doppie o triple vite. La Chiesa potrebbe finalmente superare un’omofobia che si aggiunge anche a quella presente in alcune frange della società. Riteniamo che il cambiamento del messaggio della Chiesa su questi temi sarebbe estremamente positivo per le persone e i gruppi LGBT+ cristiani e non solo, ma per tutta la società. Siamo convinti che di grande aiuto potrebbe essere un documento ufficiale sul tema, frutto di un serio lavoro sinodale come questo. Nutriamo grandi speranze a riguardo.

Tipo Documento
Tema Sinodo dei vescovi Pastorale - Liturgia - Catechesi Ministeri - Vita religiosa
Area EUROPA
Nazioni